Giorno per giorno – 22 Giugno 2010

Carissimi,

“Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi. Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Mt 7, 6. 12). Stasera a casa di dona Marcela, come del resto era avvenuto stamattina, da Gerson, la prima frase di Gesù aveva lasciato tutti un po’ sorpresi. Ancor più quando avevamo accennato che, con cani e porci, ci si potesse riferire, nel linguaggio del tempo, a pagani e stranieri. Cosa sono le cose sante e le perle che bisogna guardarsi dal proporre loro? Con un linguaggio un po’ più colorito, sembra che Gesù ripeta un insegnamento antico, che suona “Non parlare agli orecchi di uno stolto, perché egli disprezzerà le tue sagge parole” (Pr 23, 9). Che la saggezza popolare ha tradotto poi in espressioni del tipo “Chi lava la testa all’asino perde il sapone e il ranno”. Ma la parola di Gesù, la parola che è Gesù, non è una qualunque parola saggia, è l’annuncio e la verità del Regno. Che è, anzi, proprio il contrario di ciò che normalmente si considera saggezza. Tanto è vero che Paolo la definirà l’ “idiozia della Croce” e che Gesù, nel brano che abbiamo ascoltato oggi, riassume nella figura della “porta stretta”. Agli antipodi della “via larga”, del “così fanno e pensano tutti”, del facile conformismo che ci porta a perseguire i nostri interessi e a soddisfare i nostri desideri (eccoli i “cani” e i “porci”, ci siamo dentro anche noi!), quando è, invece, l’altro che, nella sua povertà, saremmo chiamati a servire, a costo della vita. Sì, questo difficile, esigente, paradossale messaggio di Gesù, del Regno, della Croce, non è una perla che tutti possano intendere. Anzi, facilmente suscita irrisione, disprezzo, rivolta. È per questo che Gesù invita a saper discernere a chi proporlo. Ma, nel contempo, esorta a viverlo nei confronti di tutti. Come dire: annunciare il Vangelo nella forma della testimonianza. Questa è in grado di parlare al cuore più di ogni sempre troppo facile predicazione.

 

Le Chiese cattolica e anglicana fanno oggi memoria di Albano, martire in Britannia, durante la persecuzione di Settimio Severo, e di John Fisher, pastore, umanista e martire in Inghilterra, sotto il regno di Enrico VIII.

 

22 ALBAN.jpgLe prime comunità cristiane furono impiantate nella Britannia Romana sul finire del II secolo e fu la scoperta della loro esistenza che scatenò la persecuzione da parte dell’imperatore Settimio Severo (192-211) all’inizio del III secolo. Albano, in quel tempo, era ufficiale in forza all’esercito romano e abitava nella città-fortezza di Verolamium che sorgeva nei pressi del fiume Ver. Un giorno un vecchio prete, sfuggendo la persecuzione, bussò alla sua porta chiedendo rifugio. Qualcosa del comportamento dell’uomo spinse Albano ad accettare di nasconderlo. Lo rifocillò e cominciò a chiedergli ragione della sua condizione. Il prete gli parlò a lungo della sua fede nel Signore Gesù e il soldato ne restò talmente affascinato da chiedergli di essere battezzato. Nel frattempo, il governatore, scoperto il rifugio del fuggitivo, ne ordinò l’arresto. Appresa la notizia, Albano convinse il prete a restarsene nascosto e a cedergli le vesti.  Si presentò così ai soldati, dicendo: Sono io quello che cercate. Seguirono il processo, la condanna e l’esecuzione.  Sul luogo del supplizio fu eretto un monumento, che, qualche decennio più tardi fu visitato da San Germano di Auxerre. Le invasioni di angli e sassoni nel V secolo distrussero l’organizzazione romana e dispersero le comunità cristiane. In seguito alla nuova evangelizzazione della Britannia, nel VI secolo, sul luogo del martirio di Albano fu edificata una chiesa e la città di Verolamium prese il suo nome,  Saint Albans.

 

22 GIOVANNI FISHER.jpgJohn Fisher era nato a Beverly, nello Yorkshire, nel 1469, figlio di Robert, ricco mercante, e di sua moglie Agnes. Dopo gli studi brillanti all’Università di Cambridge, era stato ordinato prete nel 1491. Nel 1494 incontrò per la prima volta Lady Margaret Beaufort, madre di Enrico VIII e ne divenne confessore e consigliere. Nominato vescovo di Rochester nel 1504, guidò per trent’anni quella che era la più povera delle diocesi, prodigandosi nel ministero della predicazione,  edificando il clero con il suo stile di vita, favorendone inoltre un’adeguata formazione. Amico dell’umanista Erasmo di Rotterdam e di Thomas More, si preoccupò con essi di contrastare il diffondersi delle dottrine luterane, ma, sempre e solo, con la forza della ragione e della persuasione. Nel 1527 scoppiò il conflitto con la corona. Il desiderio del re di vedere dichiarato nullo il matrimonio con Caterina d’Aragona, che non gli aveva dato figli maschi, e di passare a  nuove nozze con Anna Bolena, si scontrò con il diniego del papa e quello, tra gli altri, di un uomo del prestigio di Fisher, che Enrico avrebbe voluto dalla sua parte. Nel 1534 il re fece approvare dal Parlamento la Legge di Successione, con cui si dichiarava nullo il matrimonio con Caterina e legittimo quello con la Bolena, i cui figli entravano pertanto nella linea di successione. Fisher e More rifiutarono di sottoscriverlo. Nella primavera di quello stesso anno entrambi vennero incarcerati nella Torre di Londra. Il 20 maggio 1535, papa Paolo III giocò la carta della nomina a cardinale di Fisher, sperando così di salvargli la vita. Ma ottenne solo che il re, infuriato, premesse per la rapida conclusione del processo e la relativa condanna. Vennero approvate nel contempo la Legge di Supremazia  e il nuovo Statuto sul Tradimento, che  riconosceva come traditori quanti si pronunciassero contro i titoli del re e non lo riconoscessero capo supremo della Chiesa d’Inghilterra. John Fisher non si piegò. Nel processo celebrato il 17 giugno 1535 venne condannato a morte come traditore. Benché anziano e prossimo alla fine per un male incurabile, fu decapitato la mattina del 22 giugno 1535. Il corpo fu lasciato esposto nudo, per l’intera giornata, sul luogo dell’esecuzione, mentre la testa fu messa in mostra sul Ponte di Londra e vi restò fino al 6 luglio, quando fu gettata nel Tamigi, per lasciare posto a quella dell’amico Thomas More.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

2° Libro dei Re, cap.19, 9b-11. 14-21.31-35a.36; Salmo 48; Vangelo di Matteo, cap.7, 6.12-14.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane. 

 

È tutto per stasera. A volte, guardando come vanno le cose, viene davvero da pensare che l’annuncio del Vangelo sia stato proposto, lungo i secoli, a nazioni (quelle che pretendono di dirsi cristiane), sostanzialmente incapaci di intenderlo e soprattutto di tradurlo in pratica. E tuttavia, se è questo che ci suggerisce il “pessimisnmo dell’intelligenza”, ci ostiniamo a credere, con l’ “ottimismo della volontà”, o, meglio e più cristianamente, della grazia, che, in prospettiva, l’esito di questa nostra storia possa essere altro. Forse è questa la lettura che emerge anche da questo brano del “Commento sui salmi” di John Fisher, che vi proponiamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Dapprima Dio liberò il popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto compiendo molte cose straordinarie e prodigiose: gli fece attraversare il Mar Rosso all’asciutto. Lo nutrì nel deserto con cibi venuti dal cielo cioè con la manna e le quaglie. Per calmare la sua sete fece scaturire dalla durissima roccia una inesauribile sorgente d’acqua. Lo rese vittorioso su tutti i nemici che lo osteggiavano. A tempo opportuno fece retrocedere il Giordano in senso opposto alla corrente. Divise e distribuì loro, secondo il numero delle tribù e delle famiglie, la terra promessa. Ma nonostante avesse compiuto queste cose con tanto amore e liberalità, quegli uomini ingrati e veramente immemori di tutto, abbandonarono e ripudiarono il culto di Dio e più di una volta si resero colpevoli dell’empio crimine di idolatria. In seguito egli recise anche noi dall’oleastro dei gentili (cf Rm 11,24) che ci era connaturale – noi che eravamo ancora pagani e che ci lasciavamo trascinare verso gli idoli muti secondo l’impulso del momento (cf 1Cor 12,2) – e ci innestò sul vero ulivo del popolo giudaico, anche spezzandone i rami naturali, e ci rese partecipi della radice feconda della sua grazia. Ancora: egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come offerta a Dio in sacrificio di soave odore, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga (cf Rm 8,32; Ef 5,2; Tt 2,14).  Ma, sebbene tutte queste cose siano non semplici indizi, ma prove certissime del suo immenso amore e della sua generosità verso di noi, noi uomini ben più ingrati, anzi giunti oltre ogni limite di ingratitudine, non consideriamo l’amore di Dio, né riconosciamo la grandezza dei suoi benefici, ma anzi rifiutiamo e quasi disprezziamo colui che ci ha creati e ci ha donato beni così grandi. Neppure la sorprendente misericordia, continuamente dimostrata ai peccatori, ci muove a regolare la vita e i costumi secondo le sue santissime norme. Queste cose sono davvero degne di essere scritte a perpetua memoria delle generazioni venture, perché tutti quelli che in avvenire si chiameranno cristiani, conoscendo tanta bontà di Dio verso di noi, non tralascino mai di celebrare le divine lodi. (John Fisher, Commento sui salmi).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 22 Giugno 2010ultima modifica: 2010-06-22T23:12:00+02:00da fraternidade
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