Giorno per giorno – 13 Giugno 2010

Carissimi,

“Gesù gli disse: Simone, ho da dirti qualcosa. Ed egli rispose: Di’ pure, maestro. Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più? Simone rispose: Suppongo sia colui al quale ha condonato di più. Gli disse Gesù: Hai giudicato bene” (Lc 7, 40-43). La fede nel Dio di Gesù ha a che vedere necessariamente con il perdono. Questo è addirittura costitutivo di quella. Senza di esso, senza il perdono ricevuto e poi moltiplicato non conosciamo ancora il Padre che ci si è rivelato in Gesù. Il comportamento della donna che è all’origine di questa breve parabola evangelica, il suo bagnare i piedi del Maestro con le lacrime, asciugarglieli con i capelli, ungerglieli con profumo, rivela che ella ha compreso la totale e piena accessibilità di Dio, oltre ogni regola o censura religiosa, paradossalmente incapace di riconoscerne la presenza. La parola di perdono che Gesù pronuncia dopo il suo gesto, lei la sapeva già prima. La fede è questo “sapere”, che, prima ancora di vedere o di udire alcunché, ti porta a riconoscere il Dio-che-perdona nel Povero a cui tu lavi i piedi, o, più concretamente, al cui servizio ti poni. Sì, Dio perdona, come annuncia anche il profeta Natan a David che ha fatto morire Uria l’Hittita, per prendersene la moglie. “Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai” (2Sm 12, 13), dice il versetto finale della prima lettura che abbiamo ascoltato oggi. Che però prosegue con “Tuttavia, poiché con quest’azione tu hai insultato il Signore, il figlio che ti è nato dovrà morire” (v.14). O, secondo un’altra traduzione: “Poiché con questo comportamento hai portato i nemici del Signore a bestemmiarlo, il figlio che ti è nato certo morirà”.  Noi, stamattina, si era rimasti colpiti proprio da questo versetto, che parrebbe indicare una vendetta di Dio. Ma non lo è. L’adulterio di David va oltre l’episodio in sé, è immagine di un’infedeltà all’alleanza con Dio, al suo progetto, è il tradimento della fiducia con cui Egli si affida a noi, consegnandoci la sua terra e chi la abita. Ogni venir meno della fedeltà al Principio della cura, produce inevitabilmente il suo contrario, la morte. Sì, Dio perdona, ma le conseguenze del peccato – con la riduzione dell’altro a oggetto del mio dominio arbitrario -, permangono, si moltiplicano, travalicano tempi e luoghi. Oltre ogni consapevole previsione. Come possiamo constatare nelle tragedie in atto nei Continenti della fame, nei disastri ecologici, nelle stragi provocate dalle guerre.  Sì, c’è sempre un figlio che muore, dietro ogni tradimento di quel patto originario, ed è giocoforza che sia il più povero, l’anello più debole e indifeso. Con cui, però, noi non ci si rifletterà mai abbastanza, il Figlio di Dio sulla croce (e quindi, lo stesso Dio) ha scelto di identificarsi.  Eppure è urgente capirlo, per cambiare il nostro modo di essere nel mondo, affinché i poveri possano ancora perdonarci, finché c’è tempo.  E la Terra torni a vivere e a farci vivere.      

 

I testi che la liturgia di questa XI Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

2º Libro di Samuele, cap.12, 7-10.13; Salmo 32; Lettera ai Galati, cap.2, 16. 19-21; Vangelo di Luica, cap.7, 36 – 8,3.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Comunità e Chiese cristiane.         

 

Oggi è memoria di Antonio di Padova, evangelizzatore e amico dei poveri.

 

13_ANTONIO_DI PADOVA.jpgNato a Lisbona nel 1195, il giovane Fernando de Bulhões y Taveira de Azevedo entrò nell’Ordine dei Canonici regolari di S. Agostino, e fu ordinato sacerdote a ventiquattro anni. Dopo i primi anni nel convento di Lisbona, chiese ed ottenne di essere trasferito nel monastero della Santa Croce a Coimbra. Qui però, la nomina a priore di un monaco del tutto alieno alla vita ascetica e che, con uno stile di vita dissoluto, contribuì a sperperare in poco tempo le sostanze del monastero e, più ancora, a danneggiarne il buon nome, tanto da esser presto scomunicato da papa Onorio III, la comunità finì per spaccarsi in due: da un lato i sostenitori del priore e del suo stile, dall’altra quanti desideravano invece condurre un vita austera, modesta e tutta dedita a Dio. Tra questi, ovviamente, il giovane Fernando. Quando passarono da Coimbra i primi frati francescani diretti in Marocco, Fernando restò incantato dalla loro radicalità evangelica e intuì che quello sarebbe stato il suo cammino. Entrò così  nell’ordine dei frati minori, cambiando il suo nome in quello di Antonio, e si imbarcó per il Marocco come missionario. Una malattia insorta durante il viaggio frustrò i suoi piani di recarsi ad annunciare il Vangelo alle popolazioni islamiche. Si recò allora in Italia, dove, dopo aver preso parte al Capitolo generale di Assisi, presente lo stesso Francesco d’Assisi, si stabilì. Qui si fece presto conoscere come grande oratore. La sua predicazione, che richiamava moltitudini immense, rifletteva una profonda conoscenza della Sacra Scrittura. Passò come un turbine, combattendo gli errori dottrinari del suo tempo, la corruzione e la rilassatezza del clero, l’arroganza e la prepotenza di ricchi e potenti contro la gente povera e semplice. Ammalatosi, morì il 13 giugno del 1231.

 

Si é concluso oggi il XII Festival Internazionale del Cinema Ambientale, che ha visto premiata la produzione cinese “Hu Xiao de Jin Shu” (Heavy Metal)), del regista Huaqing Jin. Il film racconta la storia di circa cinquantamila lavoratori immigrati delle regioni più povere del Centro-ovest cinese, che demoliscono e riciclano, con metodi primitivi, qualcosa come due milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, in condizioni di vita disumane, affrontando, nella loro lotta per la sopravvivenza, fatiche, sofferenze, gravi malattie e spesso la morte.

 

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda con un testo di Antonio di Padova, tratto da un suo sermone, tenuto nella IV Domenica dopo Pentecoste, sul Vangelo della pagliuzza e della trave. Cui, ogni tanto, vale la pena di fare un pensiero. È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello  e non ti accorgi della trave che è nel tuo?  Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio, e allora potrai vederci bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Lc 6,41-42). Fa’ attenzione a queste tre cose: la pagliuzza, l’occhio e la trave. Nella pagliuzza viene indicata una colpa leggera, nell’occhio la ragione o l’intelletto, nella trave la colpa grave. E la Glossa avverte: In verità, chi pecca non ha diritto di rimproverare un altro peccatore. Su questo abbiamo una concordanza nel secondo libro dei Re, dove si racconta che il Signore proibì a Davide di edificargli un tempio (cf 2Re 7,12-13). Dice Gregorio: Dev’essere assolutamente esente da vizi, colui che si preoccupa di correggere i vizi degli altri: non deve pensare alle cose terrene, non deve accondiscendere a desideri abietti, e quanto più vuol vedere chiaramente negli altri ciò che è da fuggire, tanto più diligentemente deve evitarlo egli stesso sia nella teoria che nella pratica. Un occhio accecato dalla polvere non vede distintamente una macchia in una parte del corpo, e le mani sporche di fango non sono in grado di pulire alcuna lordura. Se vuoi rimproverare qualcuno, vedi prima se tu non sia come lui. E se lo sei, piangi insieme con lui, non pretendere che egli ti obbedisca, ma comandagli e ammoniscilo che insieme con te si sforzi di emendarsi. Se invece non sei come lui, ricordati che forse lo sei stato in passato o saresti potuto esserlo, e quindi sii indulgente, e rimproveralo non spinto dall’odio ma dalla misericordia. I rimproveri e le correzioni dunque non si devono fare se non raramente e quando sono assolutamente necessari e solo nell’inte­resse di Dio, dopo però aver rimosso la trave dal proprio occhio. (Antonio di Padova, Sermone della Domenica IV dopo Pentecoste).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Giugno 2010ultima modifica: 2010-06-13T23:06:00+02:00da fraternidade
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