Giorno per giorno – 12 Giugno 2010

Carissimi,

“Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”  (Mt 5, 37). Se la Legge comandava di “non giurare il falso servndosi del nome di Dio” (Lv 19, 12) e di mantenere i voti e le promesse fatte (cf Nm 30, 3), è perché c’era chi faceva quello e non faceva questo. Nell’economia nuova del Regno che Gesù inaugura, questo non può accadere. Anzi non si deve giurare neppure il vero, né è più necessario, ci sembra di capire, fare voti o promesse che si sia chiamati poi a mantenere. Tutto è trasparenza, dove regna Dio, perché tutto è regolato dalla fiduciosa consegna di sé all’altro (figura dell’Altro) e dalla reciproca accoglienza, ciascuno nella verità del suo essere e tutti nella verità dell’amore.  Ovvero, ciò che non è ancora. E chissà quando accadrà. Noi, Gesù, il cuore di carne che il profeta ci ha promesso, siamo ancora ben lontani dal viverlo. Noi si è ancora qui a sperimentare le parole del Salmista: “Oh tu che t’adorni come d’un manto di gloria / del male che compi, campando di prepotenze. / Il  tuo cervello non cessa un istante dal macchinare ingiustizie / e la tua lingua è come una lama affilata in danno altrui. / Nel male ti trovi a tuo agio più che nel bene; / al vivere legale hai preferito l’inganno. / Parole non escono se non di rovina e di morte / dalle tue perfide labbra” (Sal 52, 3-6), secondo la bella traduzione di Luigi Santucci. Ma verrà il tempo in cui “le anime giuste, vieppiù temendo il Signore, diranno: / mirate l’uomo che non nel Signore volle cercare la sua forza, / ma nelle ricchezze mondane, dal male suo stesso traendo / insane ragioni d’orgoglio. / Io, come olivo fecondo della dimora d’Iddio / ogni speranza ripongo per sempre  nella divina bontà” (vv. 8-10). E, in quell’uomo è un intero sistema che si regge sull’inganno posto sotto accusa. Che finirà, franerà definitivamente. Anzi, ha già cominciato. Se Dio vuole. Come, in effetti, vuole.

 

Oggi facciamo memoria di Medgar Wiley Evers, martire della lotta nonviolenta degli afroamericani, e di Enmegahbowh, primo prete e missionario indiano d’America.  

 

12 MEDGAR EVERS.jpgMedgar Wiley Evers era nato il 2 luglio 1925, a Decatur, nel Mississippi, figlio di  James and Jessie. Aveva frequentato scuola fino a quando, diciottenne, era stato chiamato sotto le armi e spedito in guerra. Al ritorno dal fronte, si era iscritto alla Facoltà di economia e commercio dell’Università statale di Alcorn e, lì, oltre a studiare, come ogni bravo ragazzo, cantava nel coro, giocava a calcio, gareggiava in atletica leggera, redigeva il giornaletto dell’Università. Dopo la laurea, sposò Myrlie Beasley e insieme furono ad abitare a Mound Bayou, dove cominciò la sua lotta per i Dirittti Civili, organizzando il boicottaggio dei distributori di benzia che non permettevano l’uso delle toilette ai neri e creando sezioni locali del NAACP (Associazione nazionale per il progresso della popolazione di colore).  Per mantenere la famiglia, lavorò qualche anno come agente assicurativo, fino al 1954, quando la Corte suprema dichiarò incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole. Chiese allora l’ammissione alla Facoltà di Legge del Mississippi, ma gli fu negata. Questo però richiamò su di lui l’interesse della direzione nazionale del NAACP, che gli propose una collaborazione a tempo pieno. Trasferitosi con la moglie a Jackson, cominciò a investigare gli episodi di violenza contro i neri e si impegnò per fare ammettere all’università James Meredith, che sarebbe diventato di lì a poco il primo afroamericano a varcare i cancelli di un’università del Mississippi. Tutto bene, ma crebbe l’odio nei confronti di Evers. Il quale, la notte del 12 giugno 1963, rientrando a casa, fu ucciso da un proiettile assassino. Il killer, un sostenitore della supremazia dei bianchi, tale Byron De La Beckwith, processato due volte negli anni sessanta, riuscì in entrambi i casi a farla franca. Solo nel 1994, sottoposto nuovamente a processo, sarebbe stato riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo. Medgar Evers, lui, aveva scritto, qualche anno prima di essere ucciso: “Può sembrare strano, ma io amo il Sud. Io non potrei scegliere di vivere altrove. Qui c’è terra, dove un uomo può allevare il suo bestiame, ed io comincerò a farlo un giorno o l’altro. Ci sono laghi dove puoi lanciare l’amo e pescare la tua trota. Qui c’è spazio dove i miei bambini possono giocare e crescere e diventare buoni cittadini. Sempre che l’uomo bianco glielo consenta”.

 

12 ENMEGAHBOWH.jpgEnmegahbowh fu il primo nativo americano ad essere ordinato prete nella Chiesa Episcopale degli Stati Uniti. Era nato nel 1807 da una famiglia dell’etnia Odawa (o Ottawa, da cui traggono il nome alcune città degli Usa e la capitale del Canada), stanziata nelle regioni dell’Ontario, Oklahoma e Michigan. Il suo nome significa “Colui che prega [per il suo popolo] stando in piedi”. Sposato a una donna degli indiani Ojibwa, entrò a far parte di questa tribù. Fu nel 1851, quando era già più che quarantenne, che Enmegahbowh passò dal Midewiwin, la religione sciamanica dei suoi antenati, al cristianesimo, facendosi battezzare da James Lloyd Breck, un missionario venerato come santo dalla Chiesa episcopale. Divenuto diacono, fu mandato, nel 1858, a Crow Wing, nel Minnesota, per aiutare nella fondazione di una nuova missione, di cui assunse la responsabilità, nel 1861. Fu ordinato prete nel 1867. In anni assai difficili, segnati dalle continue prepotenze dei bianchi, e dal comprensibile desiderio di vendetta degli indiani, Enmegahbowh fece di tutto per tutelare i diritti della sua gente e salvaguardare la pace, affrontando ogni rischio e pericolo pur di affermare il messaggio di vita di Gesù. Morì nella riserva indiana della Terra Bianca, nel nord Minnesota, il 12 giugno 1902, all’età di 95 anni. Il calendario episcopale dei santi ne fa memoria in questo giorno.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1° Libro dei Re, cap.19, 19-21; Salmo 16; Vangelo di Matteo, cap.5, 33-37.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Prophets for a New Day” (Profeti per un nuovo giorno), è un volumetto di poesie che la poetessa afroamericana Margaret Walker ha pubblicato nel 1970. In esso gli eroi degli anni sessanta appaiono con i nomi dei profeti biblici: Martin Luther King è Amos, Medgar Evars è Michea e così via. Ed è la poesia dedicata alla nostra memoria di oggi, con il titolo, appunto, “Micah”, che, congedandoci, vi offriamo come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Michea era un giovane del popolo / Che veniva dalle strade del Mississippi /  E al popolo gridava la sua Visione  / Che stava impavido davanti alla folla in attesa / Come un astronauta che sfreccia nello spazio. / Michea era un uomo che parlava contro l’Oppressione /  Gridando: Guai a voi Operatori d’Iniquità! /  Gridando: Guai a voi facitori di violenza! / Gridando: Guai a voi violatori della pace! / Gridando: Guai a voi, miei nemici! / Perché  quando cadrò risorgerò consacrato eternamente. / Quando vacillerò ferito dagli assassini da voi assoldati / Entrerò intatto nuovamente nel mio trionfo eterno!  / Perché i vostri ricchi sono pieni di violenza  / E i sindaci delle vostre città dicono menzogne. / Sono pieni d’inganni. / Noi non li temiamo. / Essi non entreranno nella Città della Benevolenza. / Noi sederemo sotto la nostra vite e il nostro fico in pace. / Ed essi non saranno ricordati nel Libro della Vita. / Michea era un uomo. (Margaret Walker, Micah , in “Prophets for a New Day”).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Giugno 2010ultima modifica: 2010-06-12T23:43:00+02:00da fraternidade
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