Giorno per giorno – 08 Giugno 2010

Carissimi,

“Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente” (Mt 5, 13). Nel brano di ieri, Gesù ci diceva a chi si destina il regno di Dio e come esso si manifesta. Questa era (ed è) anche la sua Buona Notizia. Oggi ci dice chi e come devono esserne i latori. Cioè, noi, e Lui, però, per primo. E qui brilla tutta l’umiltà di Gesù, grande come sconfinata era la sua generosità nell’allargare i confini del Regno, ieri. Noi, dice Gesù, siamo un pizzico di sale e siamo la luce che basta. Niente a che vedere con il ridurre tutti a Lui e, per conseguenza, a noi (come spesso invece noi ci arroghiamo di fare).  Il Creatore è stato così fantasticamente “creativo”, che il suo benedetto Figliolo non poteva essere da  meno. Evangelizzare non significa cristianizzare. Gesù, ci dicevamo stasera a casa di Ercy e Genesy, si è scelto solo dodici apostoli e una settantina di discepoli, che potessero fare alla bell’e meglio ciò che Lui aveva fatto egregiamente. Gli altri restassero pure quelli che erano, giudei, pagani, oggi, islamici, buddhisti, induisti, e così via. Persino atei. Ai quali certo il buon Dio ha affidato (sì, anche a loro!) una missione (e che missione!!). Noi dobbiamo solo rispettarli tutti e essere, semmai, quel po’ di luce in più che permette a tutti di vedere la bellezza di ciò che si è e che ci circonda, e quel pizzico di sale in più (un pizzico, non troppo), chissà, come diceva Valdecí, quel po’ di amore in più, che rende belle e importanti anche le cose piccole, i fatti insignificanti, le persone che pensano di valere niente. Questo è evangelizzare, portare la lieta notizia: tu (ogni tu), così come sei, sei amato da Lui e, perciò, necessariamente, da noi. La chiesa è questa cosa qui. O non è.   

 

Se le cose stanno così, nessuno si meraviglierà se le nostre memorie di oggi spaziano da una religione all’altra, da una chiesa all’altra. Ricordiamo infatti Matta el Meskin (Matteo il Povero), monaco copto e maestro spirituale; August Hermann Francke, teologo, pedagogo e filantropo pietista; e Mohammed, profeta dell’Islam.

 

08 MATTA EL MESKIN bis.jpgJussef Scandar era nato a Benha, el Kaliobia (Egitto), nel 1919. Laureatosi brillantemente in farmacia all’Università del Cairo, aveva intrapreso con successo la professione, garantendosi uno stile di vita ricco e invidiabile. Ma, a 29 anni, sentendo la chiamata del Signore che gli chiedeva tutto, lasciò ogni cosa ed entrò in uno dei monasteri più poveri dell’Egitto, Deir Amba Samuil, a Qualmun, dove vivevano ormai solo pochi monaci vecchi e malati. Fu allora che prese il nome di Matta el Meskin. Alla fine degli anni cinquanta, decise di compiere una scelta ancor più radicale, optando per la vita eremitica, nel deserto di Wadi El Rayan, dove, qualche anno più tardi cominciarono a raccogliersi attorno a lui giovani monaci desiderosi di vivere come lui la radicalità dell’evangelo. Nel 1969 la piccola comunità rispose positivamente all’invito del papa Cirillo VI che la voleva nel deserto di Wadi El Natroun, per dare nuovo vigore all’antico monastero di San Macario, abitato da soli sei monaci. In pochi anni il centro spirituale avrebbe conosciuto una sorprendente rinascita spirituale e materiale, arrivando ad ospitare oggi oltre cento monaci e richiamando dai luoghi più disparati pellegrini alla ricerca dell’Assoluto. Matta el Meskin è morto come oggi, l’8 giugno del 2006.   

 

08 Augusto Francke.jpgAugust Hermann Francke nacque a Lubecca (Germania) il 22 marzo 1663. Conseguito nel 1686 il dottorato in teologia all’università di Lipsia, vi divenne professore di ebraico due anni più tardi. Convertito assai presto alle idee di Philipp Jakob Spener, il fondatore del movimento pietista, creò, sull’esempio di quello, delle scuole per la spiegazione pratica e devozionale delle Sacre Scritture, aperte ai suoi concittadini. Osteggiato dall’ortodossia luterana, fu dimesso dall’insegnamento e esonerato dall’incarico di pastore. Accettò allora l’invito di Spener di insegnare lingue orientali nell’Università di Halle, e nel contempo assunse l’incarico di pastore in uno dei più miserabili sobborghi della città. L’impatto con la miseria del popolo, lo spinse a dedicare tutte le sue forze nella creazione di scuole per i figli dei mendicanti e diseredati, case di riposo per anziani e laboratori artigiani, seguiti da un orfanotrofio e infine dall’Istituto Biblico Canstein, dotato di una propria tipografia, che stampò e fece distribuire 80.000 Bibbie complete e 100.000 copie del Nuovo Testamento in soli sette anni. Nominato, nel 1715,  pastore dell’importante chiesa di St. Ulrich e rettore dell’università di Halle, Francke morì l’8 giugno 1727. Le sue fondazioni, attive ancor oggi, furono decisive per lo sviluppo del missionariato luterano pietista del XVIII e XIX secolo.

 

08 Muhammad.jpgMohammed era nato alla Mecca verso il 570 d. C., figlio di Abdallah e di Amina. Rimasto orfano ancora bambino, fu accolto dal nonno paterno e in seguito adottato dallo zio Abd al-Muttalib, che lo introdusse nel mondo del commercio. Entrato al servizi della ricca vedova Khadija, accettò, successivamente, di sposarla. All’età di 35 anni, inquieto e insoddisfatto della vita che conduceva, Mohammed prese a rifugiarsi in una  grotta del monte Hira vicino alla Mecca, dedicandosi alla meditazione. Dopo cinque anni di questa sua ricerca spirituale, la notte del 27 di Ramadan del 610 d.C. udì una voce che gli recitò e gli fece ripetere questa sura:  “Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato, ha creato l’uomo da un grumo di sangue.  Leggi, ché il tuo Signore è il Generosissimo, Colui che ha insegnato mediante il càlamo, che ha insegnato all’uomo quello che non sapeva” (Corano, XCVI, 1-5). Con questa rivelazione (cui seguirono le altre che costituiranno l’insieme del Corano), iniziava la missione profetica di Mohammed, che fu vista da subito come una minaccia dal potere economico che dominava la società meccana del tempo e come tale avversata duramente. Vedendosi abbandonato dal suo stesso clan hascimita, Mohammed decise di fuggire con i suoi discepoli a Yatrib (la futura Medina). Era l’anno 622, che divenne così il primo anno dell’era egiriana (da Hejira = espatrio). Fu redatto un Patto che, sottoscritto da tutte i gruppi presenti in città, dava vita alla Umma, la comunità politica dei credenti. Dopo una serie di battaglie ad esiti alterni, Mohammed e le sue truppe entrarono nel 630 alla Mecca, ponendo fine ai culti idolatrici che vi erano praticati.  Stabilitosi nuovamente a Medina, Mohammed moriva, l’8 giugno 632, poche settimane dopo aver compiuto il suo ultimo pellegrinaggio alla Mecca.  Qui aveva pressantemente invitato gli oltre centomila pellegrini presenti a non dimenticare i princípi da lui predicati: l’uguaglianza tra i popoli e le razze di tutto il mondo, il rispetto reciproco tra uomini e donne, la sollecitudine nei confronti dei subalterni, la  fraternità tra i credenti, la pratica dei cinque pilastri dell’Islam.   

 

I testi che la litugia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1° Libro dei Re, cap.17, 7-16; Salmo 4; Vangelo di Matteo, cap.5, 13-16.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa Nera.

 

Qui, a Goiás, si è aperto stasera il XII Festival Internazionale del Cinema Ambientale, in cui, per sei giorni si succederanno proiezioni di medio e cortometraggi, nonché laboratori, conferenze, tavole rotonde e quant’altro, volti a sensibilizzare le migliaia di partecipanti sulle tematiche ecologiche e ambientali. La speranza è che l’obiettivo venga raggiunto, generando, se possibile, negli organizzatori e nei fruitori, comportamenti coerenti, risparmiando alla città cumuli immeritati di immondizie e il purtroppo abitale inquinamento acustico degli show musicali notturni. L’ambiente si protegge anche così.

 

Noi ci congediamo qui, lasciandovi a una citazione di Matta El Meskin, tratta dal numero di Ottobre 2007, di “Morqos”, rivista mensile del monastero di San Macario, che troviamo tradotta nel sito “Nati dallo Spirito”, e che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Se Cristo ci asciugherà dagli occhi ogni lacrima versata qui, allora ben vengano le lacrime. Di Lui non dice forse Davide: “Raccogli le mie lacrime negli otri tuoi; non sono esse nel tuo registro?” (Sal 56,8)? Così, la “speranza di Cristo” ora ci risplende nei cuori come una forza propellente che ci dona energia per vivere, lontani da impotenza e disperazione. Con essa, superiamo tutte le preoccupazioni e le prove del mondo, non importa se insopportabili fino alla morte. Non v’è forse, dopo la morte, una risurrezione il cui mistero abbiamo già preso in noi? Non siamo risorti con Cristo? Non ci ha offerto forse Cristo il suo Spirito Tuttosanto per assicurarci la risurrezione sin da ora? Non ci ha forse dato una promessa divina: “Io vivo e voi vivrete” (Gv 14,19)? Con che cosa testimoniamo Cristo ora, se non grazie alla speranza che ci proviene da Lui? O come facciamo ad aver fiducia nei tempi stabiliti da Cristo, se non grazie a quella fiducia nella speranza che si è radicata nella nostra carne e scorre nel nostro sangue? (Matta El Meskin, La speranza in Cristo).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 08 Giugno 2010ultima modifica: 2010-06-08T23:24:00+02:00da fraternidade
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