Giorno per giorno – 06 Giugno 2010

Carissimi,

“Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei.  Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: Non piangere! E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: Giovinetto, dico a te, alzati!  Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre” (Lc 7, 12-15). Giovedì sera, a casa di e Djarí, ci siamo detti che qualche tempo dopo (uno, due, tre anni), sarebbe stato suo Padre, anzi, il Padre, a trovarsi di fronte a un corteo funebre assai simile a questo, con un figlio unico, anzi il Figlio, di madre vedova portato alla sepoltura. E la scena si sarebbe ripetuta puntualmente nella sua dinamica. E vai a sapere se era stato il Figlio ad imparare dal Padre, o questi dal Figlio. Fatto sta che, in entrambi i casi, un figlio fu restituito alla madre, la vedova di Nain, prima, e poi, Maria, ma, più in generale, la chiesa, o, anche, l’umanità. All’origine c’è, sempre, la compassione di Dio. O che è Dio. Che, ogni tanto, muore, scompare, cioè, dalla storia, quella grande, del mondo, della Chiesa, e quella nostra personale,  e ci lascia tutti come la vedova di Nain, in pianto. Poi, però, arriva Lui, senza che lo si chiami, né lo si implori, perché, di fronte alla morte, ogni morte, ma più ancora di fronte alla morte della pietà, non si crede più a nulla. Arriva Lui (oggi, il suo Spirito, lo stesso Spirito del Padre), e si limita a dire: non piangere. E noi si capisce che sta accadendo qualcosa. Che Lui (la compassione di Dio, che è Dio) è ridestato, rivive, nella storia, quella grande, del mondo, della Chiesa, e quella nostra personale. E, allora, cambia, può cambiare tutto. Sì, forse il tempo di ciò è vicino, proprio perché pare terribilmente lontano. E se non c’è più fede, ci sia almeno un soffio di speranza.       

 

I testi che la liturgia di questa 10ª Domenica del Tempo Comune proporne alla nostra riflessione sono tratti da:

1° Libro dei Re, cap.17, 17-24; Salmo 30; Lettera ai Galati, cap. 1, 11-19; Vangelo di Luca, cap. 7, 11-17.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Comunità e Chiese cristiane.

 

Oggi il calendario ecumenico ci porta la memoria di Martin Buber, maestro e testimone di dialogo, e quella dei Martiri ebrei di Siviglia. 

 

06 M. BUBER.jpgMartin Buber nacque a Vienna, l’8 febbraio 1878, in una famiglia ebrea.  Nella sua visione filosofica e religiosa è centrale la categoria del “dialogo”: con il mondo e con Dio. Questo segnó profondamente tutta la sua riflessione, il suo lavoro e la sua vita. Oltre alle sue opere più specificamente filosofiche, dobbiamo a lui l’organizzazione e la riformulazione degli insegnamenti dei grandi maestri del chassidismo, nonché di numerosi lavori di critica biblica. Nel 1938, fuggendo dalla dittatura e dalla persecuzione nazista, emigrò in Eretz Israel, dove, coerentemente, fece ogni sforzo per favorire il dialogo tra israeliani e palestinesi. Scrisse: “Uno può credere che Dio esiste e vivere alle sue spalle, ma colui che crede in Lui, vive dinanzi al suo volto”. E ancora: “Fede è provare fede nella pienezza della vita, nonostante il corso sperimentato del mondo”. Morì il 6 giugno 1965.

 

06 pogrom.jpgIl 6 giugno 1391, gli abitanti di Siviglia, in Spagna, circondarono il quartiere ebreo e lo incendiarono. Massacrarono circa cinquemila famiglie ebree, vendendo poi molte donne e bambini ai musulmani come schiavi. La maggior parte delle 23 sinagoghe di Siviglia furono distrutte o trasformate in chiese.

 

Aiuto! Come sono lontana dal seguire Gesù veramente! Cosa devo fare?  Ve lo chiedo sul serio: cosa devo fare? Davanti a queste memorie di martiri mi rendo conto che sto solo facendo finta. Sto facendo una vita possibilmente corretta (e anche così mi viene male), ma non certo cristiana. C’ è un baratro in mezzo. Gesù ha detto a quel tipo di lasciare tutto e seguirlo. Io, appena lascio qualcosa, mi ricompro o ricreo qualcos’ altro, cambio giocattolo. Ditemi qualcosa, vi prego!”. Ce lo scriveva stasera una fedele amica di costì, a margine del pensiero del giorno di Dietrich Bonhoeffer, che riportavamo l’altro ieri, e confessiamo che è un’angoscia che, qualche volta, nel redigere queste righe e riportare le memorie di ogni giorno, prende anche noi. È, però, un’angoscia sbagliata. Lungi dal volerci angosciare, Lui desidera solo renderci più veri, più noi stessi. Come suggerisce Martin Buber in un brano tratto dal suo “Il cammino dell’uomo” (Qiqajon), vuole solo aiutarci a trovare la strada che ci permetta di incontrare Lui, la verità della nostra vita e la fonte della sua gioia. Quel brano,  congedandoci, ve lo proponiamo in lettura come nostro   

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’universalità di Dio consiste nella molteplicità infinita dei cammini che conducono a lui, ciascuno dei quali è riservato a un uomo. Alcuni discepoli di un defunto zaddik si recarono dal Veggente di Lublino e si meravigliavano che avesse usi diversi dal loro maestro. “Che Dio è mai – esclamò il Rabbi – quello che può essere servito su un unico cammino?”. Ma dato che ogni uomo può, a partire da dove si trova e dalla propria essenza, giungere a Dio, anche il genere umano in quanto tale può, progredendo su tutti i cammini, giungere fino a lui. Dio non dice: “Questo cammino conduce fino a me, mentre quell’altro no”; dice invece: “Tutto quello che fai può essere un cammino verso di me, a condizione che tu lo faccia in modo tale che ti conduca fino a me”. Ma in che cosa consista ciò che può e deve fare quell’uomo preciso e nessun altro, può rivelarsi all’uomo solo a partire da se stesso. In questo campo, il fatto di guardare quanto un altro ha fatto e di sforzarsi di imitarlo può solo indurre in errore; comportandosi così, infatti, uno perde di vista ciò a cui lui, e lui solo, è chiamato. Il Baal-Shem dice: “Ognuno si comporti conformemente al grado che è il suo. Se non avviene così, e uno si impadronisce del grado del compagno e si lascia sfuggire il proprio, non realizzerà né l’uno né l’altro”. Così il cammino attraverso il quale un uomo avrà accesso a Dio gli può essere indicato unicamente dalla conoscenza del proprio essere, la conoscenza della propria qualità e della propria tendenza essenziale. “In ognuno c’è qualcosa di prezioso che non c’è in nessun altro”. Ma ciò che è prezioso dentro di sé, l’uomo può scoprirlo solo se coglie veramente il proprio sentimento più profondo, il proprio desiderio fondamentale, ciò che muove l’aspetto più intimo del proprio essere. E’ indubbio che l’uomo conosca spesso il proprio sentimento più profondo solo nella forma della passione particolare, nella forma della “cattiva inclinazione” che vuole sviarlo. Conformemente alla sua natura, il desiderio più ardente di un essere umano, tra le diverse cose che incontra, si focalizza innanzitutto su quelle che promettono di colmarlo. L’essenziale è che l’uomo diriga la forza di quello stesso sentimento, di quello stesso impulso, dall’occasionale al necessario, dal relativo all’assoluto: cosi troverà il proprio cammino. (Martin Buber, Il cammino dell’uomo).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Giugno 2010ultima modifica: 2010-06-06T23:00:00+02:00da fraternidade
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