Giorno per giorno – 04 Giugno 2010

Carissimi,

“Gesù continuava a parlare, insegnando nel tempio: Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo: ‘Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi’. Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?” (Mc 12, 35-37). Il titolo del salmo 110,  che Gesù cita, ne attribuisce la paternità a Davide, piuttosto che a un profeta di corte, nel qual caso il “signore” a cui è rivolta la parola di Jhwh, sarebbe lo stesso Davide.  Se, invece, è di quest’ultimo, come anche Gesù assume, è giocoforza che si tratti di un altro personaggio, il re ideale della dinastia davidica, o, in un’epoca successiva, più specificamente, il re messia. Discendente, dunque, di Davide, sì, ma anche qualcosa di più, se lo stesso Davide lo designa come suo  “signore”. Ora, Gesù, compie anche un’altra operazione: tralascia, del salmo, ogni immagine cruenta e bellicista, citando solo il primo versetto, con un unico riferimento ai nemici posti sotto i piedi. Dove, però, la riflessione neotestamentaria dell’espressione vedrà in essi le potenze che opprimono l’uomo, in ultima istanza, il potere del peccato e della morte. Stamattina, ci dicevamo che è come se Gesù ci prendesse per mano e, passo dopo passo, ci accompagnasse a scoprire la sua più vera identità e, nel contempo, la più vera identità di Dio. I discepoli avrebbero capito appieno solo dopo l’esperienza della risurrezione in che senso quell’oscuro (e, del resto,  solo per l’anagrafe) discendente di Davide, era colui che Jhwh chiamò Signore, facendolo sedere alla sua destra. È perché Dio si è specchiato in Lui come sua più vera realtà. Da allora noi sappiamo che l’agire di Dio è l’agire stesso di Gesù, nel suo processo di approssimazione e identificazione con il mondo dei poveri, fatto tutt’uno con essi, con la loro causa per il riscatto e la liberazione da ogni tipo di oppressione, fino a che “egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (1Cor 15, 24-26). Ma, noi, sua Chiesa, crediamo davvero che Gesù di Nazareth, nella sua povertà, nel dono che fa di se stesso, nel servizio all’ultimo posto, nel suo farsi piccolo, nel suo morire per far vivere l’altro, è Dio, è cioè il significato più vero e profondo della nostra vita e della nostra vocazione? O facciamo solo finta?

 

Di chi non ha fatto finta noi si fa quasi ogni giorno memoria. E, oggi, è la volta di José María Gran Cirera, missionario, e di Domingo Batz, laico, martiri in Guatemala, e di Antonio Zawistowski, prete diocesano, e Stanislao Starowieyski, laico, martiri sotto il totalitarismo nazista.

 

04 José Maria Gran Cierera.jpgJosé María Gran Cirera, missionario di 35 anni, nato a Barcellona (Spagna), era parroco a Chajul (Guatemala), ed era fortemente impegnato nell’assistenza e nella difesa degli indios della regione. Il 4 giugno 1980, si recava, assieme a Domingo Batz, a celebrare messa  a Xeixojbitz, un villaggio del circondario. Lungo un sentiero boscoso e solitario incontrarono una pattuglia di soldati che uccisero il primo con sette colpi di pistola, e il secondo con due, lasciando sul terreno un gran numero di volantini firmati dalla guerriglia, per fingere uno scontro a fuoco che non ebbe mai luogo. Sono solo due tra i numerosi missionari e i moltissimi laici assassinati durante gli anni della dittatura che tra il 1960 e il 1996 è costato qualcosa come 200 mila vittime e un milione di profughi.

 

04 Zawistowski.jpgDi Antonio Zawistowski, prete diocesano, e di Stanislao Starowieyski, laico, entrambi polacchi, sappiamo solo che, “sopportando atroci tormenti”, morirono in questa data, il primo nel 1942, il secondo nel 1940, nel lager nazista di Dachau. Furono beatificati da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999, con altri 106 martiri polacchi, tutti vittime del totalitarismo nazista, uccisi in tempi, modi e località diverse. In totale si trattò di 3 vescovi, 52 preti diocesani, 3 seminaristi, 33 religiosi, 8 religiose, 9 laici.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

2ª Lettera a Timoteo, cap.3, 10-17; Salmo 119; Vangelo di Marco, cap.12, 35-37.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

Il 19 agosto 1982, l’Assemblea Generale dell’ONU decideva che il 4 di giugno di ogni anno si celebrasse  la Giornata internazionale per i bambini innocenti vittime delle aggressioni e delle guerre, con l’intento di sensibilizzare la coscienza civile sugli orrori che si abbattono sulla parte più indifesa dell’umanità. Vale la pena che anche noi si si faccia un pensiero, per scuoterci da ogni colpevole torpore e assumere le iniziative del caso.

 

La croce,  che è la gloria dei martiri, è accettare di porsi al seguito di Gesù, essere disposti a soffrire e a morire con Lui, per riscattare il mondo dal dominio dell’ingiustizia, della violenza, dell’oppressione, affinché si affermi la vita nuova del Regno. Del significato della croce dice, appunto, il brano che, congedandoci, vi offriamo in lettura, tratto dal libro “Sequela” (Queriniana) del teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer, martire sotto il totalitarismo nazista. Che è, per oggi, il nostro  

 

PENSIERO DEL GIORNO

La croce non è disagio e duro destino, ma il dolore che ci colpisce solo a causa del nostro attaccamento a Gesù Cristo. La croce non è un dolore casuale, ma è necessario. La croce non è il dolore insito nella nostra normale esistenza, ma dolore che dipende dal fatto di essere cristiani. La croce in genere non è solo essenzialmente dolore, ma soffrire ed essere respinti; e anche qui nel vero senso di essere respinti per Gesù Cristo, non per un qualche altro comportamento o un’altra fede. Una cristianità che non prendeva più sul serio l’impegno di seguire Gesù, che aveva fatto dell’Evangelo solo una consolazione a buon prezzo, e per la quale, del resto, la vita naturale e quella cristiana coincidevano senza alcuna differenza, doveva vedere nella croce il disagio quotidiano, la difficoltà e l’angoscia della nostra vita naturale. Si era dimenticato che la croce significa sempre allo stesso tempo essere respinti, che l’onta del dolore è parte della croce. Una cristianità che non sa distinguere vita civile da vita cristiana, non può più comprendere il segno essenziale del dolore della croce, cioè l’essere nel dolore espulsi, abbandonati dagli uomini, come il salmista lamenta senza fine. Croce significa soffrire con Cristo, passione di Cristo. Solo chi è legato a Cristo, come accade per chi lo segue, si trova sul serio sotto la croce. (Dietrich Bonhoeffer, Sequela).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Giugno 2010ultima modifica: 2010-06-04T23:40:00+02:00da fraternidade
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