Giorno per giorno – 27 Maggio 2010

Carissimi,

“Chiamarono il cieco, dicendogli: Coraggio! Àlzati, ti chiama! Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: Che cosa vuoi che io faccia per te? E il cieco gli rispose: Rabbunì, che io veda di nuovo! E Gesù gli disse: Va’, la tua fede ti ha salvato. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada” (Mc 10, 50-52). Il racconto dei miracoli di Gesù, assai più che proporsi di esaltarne il potere, intende illustrarne in maniera plastica l’insegnamento, offrendoci lo specchio di come agisce Lui e di come siamo e/o rispondiamo noi. Così, aveva ragione stamattina Dulcy a dire che il cieco siamo noi, anche se poi le riusciva difficile specificarne il perché.  Di fatto, ciechi, lo si può essere in molti e svariati modi, ma, qui, lo si è, più propriamente, per la nostra incapacità di accogliere il (e cioè di credere nel) figlio di Dio, in questo suo viaggio verso Gerusalemme, dove sarà ucciso. Ciò che ci fa continuamente problema è fare i conti con l’impotenza di Dio (così come ce lo siamo sempre immaginato) di fronte al male. Sicché la guarigione del cieco rappresenta in realtà la guarigione dei discepoli dalla loro resistenza ad aprirsi a questa nuova rivelazione di Dio. Una guarigione che, per accadere, esige che noi si abbandoni ogni mantello protettivo, ogni visione ingenua o mitica della realtà, come anche ogni attaccamento a cose, persone, idee, che impediscano la libertà del movimento in direzione della verità. E che si manifesta poi nel mettersi concretamente al seguito di Gesù, di ciò che egli significa. In questo senso, Bartimeo è il discepolo “riuscito”, reso consapevole del vicolo “cieco” in cui l’hanno condotto le vecchie categorie religiose, che sono solo una diversa rappresentazione delle ambizioni umane, e disposto al grande balzo verso Gesù, il Dio che si è incarnato, e in qualche modo annullato, nella storia, nella forma del servizio, dell’amore e della dedizione, fino alla morte, e che, se ci stiamo, ci investe della responsabilità di trasformare la storia del mondo nella storia del Regno.

 

Oggi è memoria di Agostino di Canterbury, missionario e pastore,  di Giovanni Calvino, riformatore della Chiesa, e di padre Enrique Pereira Neto, martire  in Brasile.

 

27 AGOSTINHO DE CANTUARIA.jpgDi Agostino sappiamo che era priore del monastero benedettino di Sant’Andrea al Celio di Roma e che, nel 596, fu inviato dal papa Gregorio Magno a evangelizzare l’Inghilterra, con altri quaranta monaci. Quando la comitiva, durante il viaggio, venne a conoscenza della bellicosità dei sassoni, Agostino pensò: è più prudente rinunciare. E, di fatto, tornó a Roma, dicendo al Papa che non era il caso. Ma, inutilmente. Imbarcatisi nuovamente e giunti a destinazione, i timorosi evangelizzatori scoprirono la missione più facile del previsto. La sposa del re, la cattolica Berta, aveva ammansito il cuore del re Etelberto, che si convertì e chiese il battesimo insieme a molti dei suoi sudditi.  Eletto arcivescovo di Canterbury e primate di Inghilterra, Agostino organizzò la nuova giurisdizione ecclesiastica. Contribuì alla diffusione del canto gregoriano in Inghilterra. Morì  il 26 maggio 604, ma la sua memoria, nella chiesa cattolica,  è celebrata oggi.

 

27 Jean Calvin.jpgGiovanni Calvino  (il suo nome in realtà è Jean Cauvin), era nato a Noyon, in Picardia il 10 luglio 1509, da Gérard e Jeanne Le Franc. Il padre, finanziere e uomo di legge, curava gli affari del vescovo locale e sembra che ne seppe quanto basta per divenire anticlericale e morire in seguito scomunicato.  Giovanni, che era stato mandato  a Parigi per studiarvi teologia,  preferì Diritto e si recò a Orleans, dedicandosi poi agli studi umanistici. Intorno al 1532 aderì alla Riforma di Lutero e, dopo essersi dedicato alla lettura e allo studio della Bibbia, nel 1536 pubblicò la prima edizione de L’Istituzione della religione cristiana, in cui espose i principi della sua teologia. Passando da Ginevra, venne invitato da Guillaume Farel a prestare assistenza ai simpatizzanti della Riforma. Ed egli dotò la chiesa ginevrina di un ordinamento giuridico e di una disciplina del culto e redasse per essa un Catechismo e una Confessione di Fede. La sua azione non fu esente da atteggiamenti intolleranti, com’era piuttosto comune a quei tempi. Temporaneamente bandito da Ginevra, sposò Idelette de Bure, vedova di un anabattista, e scrisse numerosi commenti alla Bibbia. Nel 1541 rientrò a Ginevra, organizzando negli anni successivi la vita religiosa, sociale e politica della città elvetica. È forse interessante notare che Calvino, al contrario di Lutero, riteneva doveroso rovesciare lo Stato che coprisse l’ingiustizia con il manto del legittimismo. Sulla sua scia, la Confessione Scozzese del 1560, di chiara ispirazione calvinista, classificherà tra le opere giudicate buone da Dio la resistenza alla tirannia e la difesa degli oppressi. Calvino morì il 27 maggio 1564. Prima di spirare disse: “Signore tu mi schiacci, ma a me basta che sia la tua mano a farlo!”.

 

27 Enrique P. Neto.jpgP. Enrique Pereira Neto era coordinatore della Pastorale dell’Archidiocesi di Olinda e Recife, stretto collaboratore di dom Helder Câmara. Per aver denunciato ripetutamente e apertamente il sistema repressivo del governo militare, cominciò a ricevere minacce di morte, finché il 26 maggio 1969 fu sequestrato dalla polizia. Il suo corpo fu ritrovato il giorno seguente, appeso ad un albero, a testa in giù, con segni evidenti di tortura: lividi e bruciature di sigarette, tagli profondi in tutto il corpo, castrazione e due ferite di arma da fuoco. Aveva 28 anni ed era prete da tre anni e mezzo. I funerali furono presieduti dall’arcivescovo di Recife nella chiesa matrice del bairro Espinheiro. Poi, migliaia di persone seguirono a piedi la bara portata a braccia fino al cimitero di Várzea, a dieci chilometri di distanza dalla chiesa.   

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera di Pietro, cap. 2,2-5. 9-12; Salmo 100; Vangelo di Marco, cap.10, 46-52.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

VESAK - Luna piena di maggio.jpgOggi, plenilunio di Maggio, è per i buddhisti di ogni tradizione e di tutto il mondo la festa di Vesak, che celebra la nascita, l’illuminazione e la dipartita di Buddha Shakyamuni.  Vogliamo ricordarla con le parole di un maestro buddhista del nostro tempo, Thich Nhat Hanh: “Abbiamo costruito cinquantamila testate nucleari, abbastanza per distruggere una ventina di pianeti come la terra. Eppure continuiamo a costruirne e sembra che non ci fermeremo mai. Siamo come sonnambuli che non sanno quello che fanno né cosa stanno causando. Il risveglio dell’umanità dipende dalla nostra capacità di procedere con passi attenti e consapevoli. Perciò il futuro dell’umanità e il futuro della vita sulla terra dipendono dai vostri passi”.  Già, siamo come ciechi, protetti dai nostri miseri mantelli (anche nucleari), siamo chiamati a lasciarli e a metterci in cammino su sentieri di pace!

 

E, per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandovi al brano di una lettera di Gregorio Magno ad Agostino di Canterbury, che ci pare abbia che vedere con tutto quanto siamo venuti dicendo. Ed è, comunque, per oggi, il nostro   

 

PENSIERO DEL GIORNO

Per quanto riguarda segni e miracoli, lo spirito deve stare bene in guardia, per evitare di cercare in essi la sua gloria e di gioirne con una gioia personale, frutto del suo orgoglio. Perché, con i miracoli, ciò che si deve cercare è il beneficio delle anime e la gloria di Colui la cui potenza genera questi segni. Tuttavia il Signore ci ha dato un segno di cui ci possiamo rallegrare, riconoscendo in noi la gloria d’essere stati scelti, quando Egli ha detto: “Da questo vi riconosceranno come miei discepoli, se voi vi amate gli uni gli altri”. Questo è il segno che cercava il profeta quando diceva: “Dammi un segno di benevolenza; vedano e siano confusi i miei nemici”. Dico questo perché desidero che resti nell’umiltà l’anima di chi mi ascolta. Ma è la tua stessa umiltà che ti fa spinge alla fiducia. Perché, io che sono peccatore, ho la fermissima speranza che, per la grazia del nostro Creatore Onnipotente e del nostro Redentore, nostro Signore Gesù Cristo, i tuoi peccati sono ora perdonati e che per questo sei stato scelto per rimettere i peccati degli altri. In futuro, non avrai più da muoverti rimproveri, tu che ti sforzi di riempire di gioia il cielo con la conversione di molti. È di essi di cui parlava il nostro Creatore quando diceva: “C’è più gioia in cielo per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”. E se in cielo c’è una gioia così grande per un solo peccatore convertito, quale gioia, crediamo noi, non procurerà un così grande popolo che si converte dal suo errore! Poiché, giungendo alla fede, egli rigetta con la sua penitenza tutto il male che aveva fatto. Allora in questa gioia del cielo e degli angeli, noi ridiremo il canto degli Angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà” (Grégoire le Grand, Lettres  T. XI, 36).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorfelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Maggio 2010ultima modifica: 2010-05-27T23:29:00+02:00da fraternidade
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