Giorno per giorno – 21 Maggio 2010

Carissimi,

“Gesù disse a Simon Pietro: Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro? Gli rispose: Certo, Signore, tu lo sai che ti amo. Gli disse: Pasci i miei agnelli” (Gv 21, 15). Gesù glielo chiederà tre volte e Pietro gli risponderà ogni volta più apprensivo che sì; Lui, del resto, sa tutto e deve sapere anche questo. Di quanto sia difficile per gli uomini la fedeltà nell’amore; più ancora, per un amore che ci chiede il sacrificio di tutto, persino della vita, senza che noi si sia capito bene che cosa ce ne verrà. Perché, sotto sotto, dietro le grandi parole, che danno voce ai grandi sentimenti, noi eravamo (o, forse, ancora, siamo) abituati a cercare il nostro tornaconto. E quando si profila un qualsiasi pericolo, noi, la cosa più coraggiosa che riusciamo a fare, è fuggire. Per Pietro non era stato diverso. Non aveva avuto abbastanza fiducia nel suo Maestro, ma questi gli rinnova la sua. Così è Dio. E questo è credere e vivere in Dio. Sentirsi raggiunti dal suo sguardo, che non sa neppure essere di rimprovero, e dovrebbe essere di condanna, e sentire la sua voce che dice: Mi ami? Mi ami più di costoro? Il buon Dio dà per scontato che la gran parte della gente non capisca il suo amore e quindi non arrivi ad amarlo. Cerca allora solo qualcuno(a), capace, dopo tentativi, fughe e cadute, di dire sì. E Lui, in cui noi non abbiamo avuto fiducia, subito dopo fa fiducia a noi. Come niente fosse. “Pasci i miei agnelli”.  Dovremmo ricordarcelo e, stasera, dovremmo ricordarlo a don Bernardo Pegoraro, parroco in quel di Vigodarzere,  che, nonostante il cognome, si è dimenticato di pascerle, le sue pecore, o almeno una di esse, proprio la più fragile, di cui Isaia profetizzava “Come un pastore fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri” (Is 40, 11). Lei era solo una piccola musulmana che frequentava l’asilo parrocchiale ed era in ritardo con il pagamento di tre mensilità. Di cui, per altro, il sindaco aveva promesso di farsi carico. Ma il prete, pastore o mercenario, a questo punto non lo sappiamo bene, è stato inflessibile. E la espulsa. Facendo del suo gesto una parabola evangelica al contrario. È un pericolo a cui siamo esposti tutti. Quello di dichiarare a parole di credere in Gesù e perciò di amarlo, dimenticando però, subito dopo,  di fare ciò che Lui ci chiede.

 

Oggi la comunità fa memoria di Christian de Chergé e gli altri Monaci trappisti, martiri a Tibhirine, in Algeria, e Irene McCormack e compagni, martiri in Perù.

 

21 Monaci dell'Atlas.jpgChristian de Chergé era priore del Monastero trappista di Nostra Signora dell’Atlante, che sorge nei pressi di Tibhirine, in Algeria. Lui e i gli altri monaci furono sequestrati la notte tra il 27 e il 28 marzo 1996.  Christian era nato il 18 gennaio 1937 a Colmar ed era monaco dal 1969. Gli altri erano: Luc Dochier, nato il 31 gennaio 1914 à Bourg-le-Péage, monaco dal 1941; Christophe Lebreton, nato l’11 ottobre 1950 a Blois, monaco dal 1974; Bruno Lemarchand, nato il 1º Marzo 1930 a Saint-Maixent, monaco dal 1981; Michel Fleury, nato il 21 maggio 1944 a Sainte-Anne, monaco dal 1981; Célestin Ringeard, nato il 27 luglio 1933 a Touvois, monaco dal 1983, Paul Favre-Miville, nato il 17 aprile 1939 a Vinzier, monaco dal 1984. Il loro sequestro fu rivendicato dal  G.I.A (Gruppo Islamico Armato), con un comunicato che porta la data del 18 aprile. Con un un secondo comunicato del 23 maggio, il gruppo  comunicava che i monaci erano stati decapitati il 21 maggio. Di loro, come atto di supremo sfregio, furono fatte ritrovare solo le teste. I funerali furono celebrati il 2 giugno e le teste dei monaci furono sepolte nel terreno del loro monastero due giorni dopo. Amici della popolazione islamica tra cui avevano scelto di vivere, presenza credente e orante in mezzo ad altri credenti e oranti, avevano voluto restare lì, per essere “oscuri testimoni di una speranza”, anche dopo essere stati ripetutamente avvisati che la loro permanenza era a rischio. Dovevano restare, perché “il monaco – come diceva Chesterton, citato da Christian – è come un albero, sta lì e purifica l’atmosfera”.  Con altri amici musulmani, i monaci avevano creato il Ribat-es-Salam, il Vincolo-di-Pace, che si riuniva periodicamente per approfondire la conoscenza delle rispettive fedi: il primo passo in direzione – o già sua espressione – dell’amore. Profezia, forse, del nostro domani.  

 

21 Irene McCormack.jpgIrene McCormack era nata il 21 agosto 1938, a Kununoppin, nell’Australia occidentale, e aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza in una fattoria, studiando  in un collegio di suore. Poi, nel 1957, aveva scelto di essere lei stessa religiosa tra le suore di san Giuseppe. Dopo molti anni di insegnamento in Australia, nel 1987 era stata mandata in Perù, in un piccolo villaggio sulle Ande,  Huasahuasi. Non era uno scherzo vivere lì, in quegli anni, sotto la minaccia di un gruppo terrorista come Sendero Luminoso, che giudicava più pericolosi coloro che aiutavano i poveri di coloro che li opprimevano. E, coerentemente, li facevano fuori. Anche Irene avrebbe potuto scegliere di andarsene, ma preferì restare. La sera del 21 maggio 1991, giunse nel villaggio una banda di terroristi, secondo i testimoni, tutti giovanissimi ed evidentemente drogati. Presero la suora e quattro uomini, tre cattolici e un evangelico, e nella piazza centrale improvvisarono un processo farsa, accusandoli di essere al soldo degli yankee imperialisti e di gestire i fondi della Caritas, una forma di aiuto ai poveri che loro non tolleravano. I quattro furono condannati a morte come nemici del popolo. Gettati a terra, furono liquidati, uno dopo l’altro, con un colpo a bruciapelo sparato alla testa. Irene fu sepolta a Huasahuasi, secondo il suo espresso desiderio. Ogni mattina, al risveglio soleva dire questa preghiera: O Dio, mio Padre, tu mi ami e mi perdoni, così OGGI io accetto tutto come un dono e chiedo di trovare te, il Signore Donatore, nel dono. Scelgo di affrontare la vita senza paura e di vivere con cuore indiviso ogni momento presente. Possa il mio cuore cantare oggi un canto di ringraziamento riconoscente e di lode. Io sono un’opera d’arte di Dio. Sono preziosa al suo sguardo!”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.25, 13b-21; Salmo 103; Vangelo di Giovanni, cap.21, 15-19.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.25, 13b-21; Salmo 103; Vangelo di Giovanni, cap.21, 15-19.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso. 

 

Noi ci si congeda qui. Abbiamo trovato in rete, nel sito “Lavigerie des Missionaires d’Afrique” una riflessione inedita di Dom Christian de Chergé, dal titolo “Mystère de la Visitation”. Ve ne proponiamo la prima parte, lasciando la seconda per il giorno della Festa della Visitazione, il prossimo 31 Maggio. È questo per oggi il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Posso facilmente immaginare che noi ci troviamo nella situazione di Maria che va a trovare sua cugina Elisabetta e che porta in sé un segreto vivente, che è lo stesso che anche noi possiamo portare, una Buona Notizia vivente. Lei l’ha ricevuta da un angelo. È il suo segreto ed è anche il segreto di Dio. E lei non sa come fare per comunicare questo segreto. Riuscirà a dire qualcosa a Elisabetta? Può dirlo? Come dirlo? Come fare? Deve nasconderlo? Eppure, tutto trabocca in lei, ma lei non lo sa. In primo luogo è il segreto di Dio. E poi succede qualcosa di simile nel seno di Elisabetta. Anch’essa è gravida di un bambino. E ciò che Maria non sa a sufficienza, è il legame, il rapporto tra il bambino che porta lei e quello che porta Elisabetta. E  le sarebbe più facile parlarne, se conoscesse questo legame. Ma, su questo punto specifico, sulla dipendenza reciproca tra i due bambini, lei non ha avuto alcuna rivelazione. Sa solo che esiste un legame, perché è il segno che le è stato dato: sua cugina Elisabetta.  Ed è così della nostra Chiesa, che porta in sé una Buona Notizia – e la nostra Chiesa è ciascuno di noi – e noi siamo venuti un po’ come Maria, in primo luogo per prestare un servizio (che, in definitiva, è questa la sua maggior ambizione)… ma anche, portando questa Buona Notizia, come faremo a dirla… e noi sappiamo che coloro che siamo venuti a trovare, sono un po’ come Elisabetta, anch’essi portano un messaggio che viene da Dio. E la nostra Chiesa non ci dice, e neppure sa, quale sia il legame esatto tra la Buona Notizia che noi portiamo e questo messaggio che fa vivere l’altro. In definitiva, la mia Chiesa non mi dice qual è il legame tra Cristo e l’Islam. Ed io vado verso i musulmani senza sapere qual è questo legame. (Dom Christian de Chergé, Mystère de la Visitation).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Maggio 2010ultima modifica: 2010-05-21T23:42:00+02:00da fraternidade
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