Giorno per giorno – 22 Maggio 2010

Carissimi,

“Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava. Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: Signore, che cosa sarà di lui?” (Gv 21, 20-21).  Gesù aveva appena finito di accennargli “alla morte con cui egli – Pietro – avrebbe glorificato Dio” (v.19), dicendogli, subito dopo: Seguimi. Ed ecco che Pietro, molto umanamente, si preoccupa dell’amico e chiede a Gesù: E lui? Quando, qualche mese fa, chi stava lavorando alla creazione del “Memorial Pedro Recroix”, nel luogo che era stato per tanti anni il laboratorio di scultura del nostro vecchio amico, aveva fissato per oggi la sua inaugurazione, non immaginava certo che il Vangelo del giorno sarebbe stato questo dell’incamminarsi di Pietro (Pedro, per noi) verso la morte e della sua preoccupazione per chi resta. Che il destino di quella che era stata la sua comunità (ma anche, più in generale, della sua gente), insieme,  fosse e non fosse affar suo, il nostro Pedro l’aveva cominciato a imparare da tempo, riuscendo a porre via via un freno alle apprensioni che gli veniva di manifestare di volta in volta, e alimentando ogni volta di più la fiducia in Lui, che sa vedere sempre oltre.  Del resto, se lo stesso Gesù (che è il figlio di Dio) aveva a un certo punto accettato di mettersi da parte, per fare ritorno al Padre, perché mai Pietro – e Pedro – avrebbero dovuto preoccuparsi di ciò che lasciavano? Certo, la situazione non era delle migliori. Ma, con Gesù era stato persino peggio: la comunità dispersa, il sogno sgretolato. Ma egli sapeva che Dio ha sempre una carta di riserva da giocare: quella dello Spirito. Che ha fama di burlone. Gioca a fare grandi cose con gente da niente. Per esempio con un qualunque figlio di falegname. Di Nazareth, per giunta. E come con quei Dodici, pasticcioni che metà sarebbe bastato. E anche con Pedro, il nostro Pedrão, che, fosse dipeso da lui, se ne sarebbe rimasto la vita intera a prendersi cura di buoi e di mucche, ad assistere queste mentre davano alla luce, a trattare le loro malattie e, con tecniche appena un po’ diverse, anche quelle dei confratelli e dei vicini. Ma, lo Spirito, appunto, aveva deciso di metterci anche dell’altro. Ed ecco il suo incontro con il legno, materia viva, di cui intuiva il disegno nascosto, prima ancora di farne emergere le forme con il lavoro ostinato, duro, metodico, di sgorbie, mazzette e scalpelli. Fatto tutt’uno con la preghiera, quella del Nome, da lui trasmessa a più di una generazione di monaci, religiose, preti (persino qualche vescovo) e laici, alla ricerca di un incontro con Dio. “Padre, in nome di Gesù, dammi il tuo Spirito”. Sempre, quando si capisce e quando no. Quando il sogno sembra avverarsi, e quando, improvvisamente, non c’è più. Che ne sarà? Fìdati. Lascia fare a me. E il vecchio Pedro, alla fine, l’ha preso in parola. E si è incamminato dietro a Lui, senza preoccuparsi più. Beh, alla Veglia di Pentecoste, cui è seguita l’inaugurazione del suo memoriale, c’era, stasera, un bel po’ di gente, assieme al vescovo e con padre Marcelo Barros, venuto appositamente per questo, oltre che ad animare un ritiro nel fine settimana. E il Memoriale, si deve dare atto, è, nella sua semplicità, un gioiello luminoso, che raccoglie ciò che è rimasto delle opere di Pedro con la preghiera di cui le ha impregnate; ma anche altri segni del passaggio e della presenza dei benedettini, che avevano sposato “questa” chiesa di Goiás e la sua maniera d’essere. Portarlo a termine e, ora, custodirlo e valorizzarlo è solo un modo per dire, senza altri fini o pretese: grazie, Pedro!  E, forse, non è un caso che  l’idea e gran parte della sua realizzazione  si debbano (nomen omen) alla nostra amica Graças. Che, stasera, infatti, gongolava tutta.

 

Il calendario ci porta oggi la memoria di Rita da Cascia, sposa, madre di famiglia e contemplativa; e anche, per noi almeno, di Israel ben Eliezer, il Baal Shem Tov (Signore del nome buono), mistico, guaritore e carismatico ebreo del XVIII secolo, fondatore del Chassidismo.

 

22 RITA DE CÁSSIA.jpgRita era nata nel 1381, in Umbria, nel villaggio di Roccaporena, da Antonio Lottius e Amata Ferri, una coppia non più giovanissima, che aveva dovuto sudare dodici anni l’arrivo della figlia. Mandata in sposa dai genitori ad un giovane rissoso e violento, tale Paolo di Ferdinando, tanto s’impegnò e fece che, un giorno, ottenne mettesse la testa a posto. Troppo tardi, però, per riuscire a sottrarlo al desiderio di vendetta di antichi rivali che, neanche a dirlo, ne fecero ritrovare il cadavere lungo la strada di casa. E cominciarono le preccupazioni per i figli, Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, perché: Uomini siamo, dobbiamo vendicarlo! E lei cominciò a pregare Dio: piuttosto che farne strumenti di morte, prenditeli con te. E solo una madre sa cosa significa una preghiera così, perché sa cos’è dare la vita. E pensa anche alle altre, di madri. I due figli, vai a sapere come, si ammalarono e morirono entrambi. Lei fu allora a bussare al convento delle agostiniane a Cascia. Le quali, per via della biografia complicata, mica volevano riceverla e la rimandarono a casa. Ma inutilmente, perché Lui la voleva là.  Finalmente ammessa in convento, vi rimase, edificando tutte le buone monachelle, fino alla morte, il 22 maggio 1447.

 

22 BAAL_SHEM_TOV.JPGIsrael ben Eliezer  era nato a Okop, un piccolo viaggio dell’Ucraina, al confine russo-polacco il 18 Elul del 5458 (25 agosto 1698). I suoi genitori,  Eliezer e Sara, erano vecchiotti quando lui nacque e morirono che era ancora bambino. La sua educazione fu allora affidata alla comunità.  Lui era uguale in tutto agli altri bambini, ma anche un po’ diverso. Gli piaceva appartarsi, vagare per campi e foreste, aprendo il suo cuore a Dio.  Divenuto adolescente, lo misero sotto, a lavorare nella scuola locale. Più tardi, cominciò a lavorare nella sinagoga e questo gli permise di studiare e approfondire una gran mole di testi ebraici, compresa la Kabbalah, mantenendo tuttavia sempre la sua immagine di semplicità.  Trasferitosi a Brody, una cittadina vicina, trovò lavoro come insegnante. Qui conobbe, Rabbi Efraim di Brody, che seppe intuire chi si nascondeva dietro quelle semplici apparenze e gli offrì in sposa la figlia, Leah Rochel. Dopo il matrimonio, la coppia si trasferì in un villaggio sui Carpazi, dove, Israel, con l’aiuto della moglie, si dedicò ad una vita di preghiera e di studio.  Fu solo a trentasei anni che egli si manifestò per il maestro che era, stabilendosi dapprima a Talust e poi a Medzibosh, nell’Ucraina occidentale, dove visse per il resto della vita e dove fondò il movimento chassidico. La sua fama si diffuse rapidamente e molti rabbini e studiosi di valore divennero suoi discepoli. Insegnava l’importanza della preghiera gioiosa, del canto, della danza, dell’amore di Dio e del prossimo e diceva che questi cammini portano a Dio come e quanto lo studio della Torah. Il Baal Shem Tov morì il secondo giorno di Shavuoth, la Pentecoste ebraica, il 7 Sivan del 5520 (22 maggio 1760).

 

I testi che la litugia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.28, 16-20. 30-31; Salmo 11; Vangelo di Giovanni, cap.21, 20-25.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad un aneddoto sul Baal Shem Tov, narrato da Martin Buber nel suo  I racconti dei Chassidim” (Garzanti). Racconta di un calzettaio che, a noi, ha fatto venire in mente il vecchio Pedro. Vedete voi, almeno quelli che l’hanno conosciuto, se abbiamo ragione. E, comunque, è questo, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Durante un viaggio il Baalshem sostò in una cittadina di cui non ci è tramandato il nome. Una mattina, prima della preghiera, fumava come al solito la sua pipa e guardava fuori dalla finestra. Ed ecco che vide passare un uomo che portava in mano il mantello da preghiera e i filatteri e incedeva con tanta semplice solennità come se la sua vita lo conducesse alle porte del cielo. Il Baalshem domandò a quel suo fido, nella cui casa egli abitava, chi fosse colui. Gli fu risposto che era un calzettaio che d’estate come d’inverno andava ogni giorno alla sinagoga e recitava la sua preghiera anche se il numero prescritto di dieci fedeli non era completo. Il Baalshem gli disse di condurglielo, ma il padrone di casa rispose: “Quel folle non interromperebbe il suo cammino nemmeno se lo chiamasse l’imperatore stesso”. Dopo la preghiera il Baalshem mandò da lui e gli fece dire che gli portasse quattro paia di calze. Poco dopo  l’uomo era davanti a lui e mostrava la sua merce, onesto lavoro di buona lana di pecora. “Quanto vuoi al paio?” chiese Rabbi Israele. “Un fiorino e mezzo”. “Ti accontenterai bene di un fiorino”. “Allora  avrei detto questo prezzo”. Subito il Baalshem pagò quant’egli aveva chiesto; poi domandò ancora: “Di che ti occupi?”. “Io esercito il mio mestiere”, rispose l’uomo. “E come lo eserciti?”. “Lavoro fino a che ho messo insieme quaranta o cinquanta paia di calze. Allora le metto in una conca con acqua calda e poi le presso fino a che non siano come devono essere”. “E come le vendi?”. “Non esco di casa mai, ma i merciai vengono da me e me le comprano. Mi portano anche della buona lana che hanno acquistato per me, e io li compenso per la loro fatica. Solo in onore del Rabbi sono uscito questa volta di casa”. “Ma quando ti alzi al mattino presto, che fai, prima di andare a pregare?”. “Faccio calze anche allora”. “E come ti regoli per la recitazione dei Salmi”. “I Salmi che so a memoria”, rispose l’uomo, “li dico tra me mentre lavoro”. Quando il calzettaio fu andato a casa, il Baalshem disse agli scolari che lo circondavano: “Oggi ho visto la pietra angolare su cui posa il Tempio, fino a che verrà il Redentore”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 22 Maggio 2010ultima modifica: 2010-05-22T23:59:00+02:00da fraternidade
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