Giorno per giorno – 09 Maggio 2010

Carissimi,

“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14, 23). Giovedì sera, la comunità si è ritrovata  a casa di e Djarí, ed era la prima volta dopo le loro nozze, sicché si è trovato il tempo di scherzare un po’ sulla loro vita nuova da sposini. Poi, quando si è trattato di commentare il Vangelo e ci  siamo chiesti: ma come, Dio non ama tutti alla stessa maniera?, e perché qui sembra invece che faccia differenze tra gli uni e gli altri?, Djarí ha risposto: “Beh, che vuol dire?, anche noi ci si vuole tutti bene uguale, però se mi voglio sentire davvero a mio agio, scelgo di andare a casa di compadre Lazinho, che, tra l’altro, so che, un buon bicchiere, me l’offre sempre”. Sì, per Dio dev’essere un po’ come per Djarí: vuol bene a tutti, ma non vuol disturbare nessuno, così va [soprattutto] dove lo ricevono bene. Forse, in un’altra maniera, possiamo metterla anche così: se qualcuno ama davvero l’amore – in questo consiste l’osservare, il custodire, l’ubbidire alla Sua parola – , Dio lo prende come sua casa. Come diceva anche il canto: Dov’è carità e amore, lì c’è Dio. Se non c’è amore, l’abbiamo già messo alla porta. E Lui se ne sta lì, mogio, mogio, in attesa che gli si apra, aprendo al fratello. “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” ( v.26). Ci resta solo da iscriverci a questo corso di recupero. Poi, forse, le cose andranno meglio. E noi riscopriremo, finalmente, in cosa consiste la gioia. O che cosa significa Dio.

 

I testi che la liturgia di questa 6ª Domenica di Pasqua propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.15, 1-2. 22-29; Salmo 67; Libro dell’Apocalisse, cap.21, 10-14.22-23; Vangelo di Giovanni, cap.14, 23-29.

 

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

 

Il calendario ci porta oggi le memorie di Nicolaus Ludwig von Zinzendorf, riformatore religioso e sociale e quella di Luis Dalle, vescovo, amico dei poveri in Perù.

 

09 Nicholaus Ludwig von Zinzendorf.jpgNicolaus Ludwig von Zinzendorf nacque a Dresda il 26 maggio 1700 da una nobile famiglia austriaca protestante. Rimasto a sei anni orfano del padre, fu educato dapprima dalla nonna, Henriette Catharine von Gersdorff, e dal suo padrino di battesimo, Philipp Jakob Spener, fondatore del movimento pietista. Studiò nell’ambiente pietista di Halle, sotto la guida di August Hermann Franke, fondatore delle famose scuole di carità. Laureatosi in Legge, nel 1719, viaggiò per qualche tempo attraverso la  Francia e i Paesi Bassi, dove strinse amicizia con persone di altre confessioni religiose, inclusi cattolici. Cominciò allora a pensare alla possibilità di operare in vista dell’unione tra le chiese. Stabilitosi a Dresda, dove sposò Erdmute Dorothea Reuss, da cui avrebbe avuto dodici figli, otto dei quali morti in tenera età, lavorò per qualche anno in un ufficio governativo di affari giuridici. Subentrato come proprietario nella tenuta della nonna, a Berthelsdorf, decise di mettervi in pratica le idee pietiste di Spener. Nel maggio 1722, accolse un gruppo di Fratelli Boemi, mettendo a loro disposizione una parte del terreno, che ribattezzò Herrnhut  (“Pascolo del Signore”), perché potessero liberamente praticare la loro fede. Ad essi seguirono altri dissidenti religiosi, e, più tardi, lui stesso vi si trasferì con la famiglia, come predicatore laico, redigendo nel 1727 regole comuni per la comunità che si era venuta a formare. Desideroso di dare ad essa un impulso missionario, prese gli ordini religiosi nel 1734 a Tubinga e nel 1737 fu nominato vescovo moravo dal predicatore della corte di Berlino. A partire da allora, missionari furono inviati in numerose regioni di Europa, America, Asia, Africa. Lo stesso von Zinzendorf si impegnò nella fondazione di comunità in Germania, Olanda, Inghilterra, Irlanda e America. Nel 1750 fissò la sua residenza a Londra, ma, cinque anni dopo, dovette far ritorno a Herrnhut, per alcune difficoltà finanziarie della comunità. In quel periodo fu colpito da gravi lutti familiari, compresa la perdita della moglie, nel 1756. Risposatosi nel 1757 con Anna Caritas Nitschmann, dopo solo tre anni, colto da una grave malattia, morì il 9 maggio 1760. La Chiesa Morava conta oggi 700.000 fedeli, la maggior parte dei quali vive nel Terzo Mondo (200.000 nella sola Tanzania).

 

09 LUIS DALLE.jpgLuis Dalle, “Lucho”, era nato in Francia nel 1922, in una famiglia di quindici figli, di cui tre divennero preti, due religiosi e due religiose. Nel 1944, fu inviato nel campo di concentramento nazista di Buchenwald, da cui fu liberato ridotto in fin di vita. Fu un’esperienza tremenda, in cui sperimentò sulla propria pelle cosa significa essere privato di tutti i diritti umani. Missionario francese della Congregazione dei Sacri Cuori, nel 1947, fu inviato in Perù, dove svolse il suo ministero dapprima a Lima, e poi, a partire dal 1968, nel Sud Andino. Nel 1972 venne nominato vescovo della Prelazia di Ayaviri. Profondo conoscitore della realtà peruviana e ecclesiale, “Lucho” seppe inserirsi con molta semplicità tra le popolazioni indigene del Sud andino, valorizzandone la cultura e rivendicando i loro diritti e la loro dignità calpestati quotidianamente. Visse con passione i cambiamenti proposti da Medellín e Puebla, come lettura latinoamericana del Concilio Vaticano II. Morì a 60 anni, il 9 maggio, in un incidente stradale: il vecchio autobus, carico di contadini, su cui viaggiava, cadde in un precipizio. Morì anonimamente, come uno qualunque della sua gente, spogliato del suo anello pastorale, della camicia e dei sandali, corpo irriconoscibile, in paziente attesa con gli altri di essere riconosciuto, due giorni dopo,  nell’obitorio di Arequipa. Ma Lui l’aveva riconosciuto da subito. Perché era in compagnia dei suoi poveri.

 

“È certamente, questa, una delle leggi singolari e difficili del cattolicesimo: difendere le proprie idee e i propri diritti, ma difenderli amando coloro che combattono per ideali opposti; e amare significa essere in ansia per la loro vita, avere a cuore il loro buon nome, saper pregare per loro, essere capaci di offrire in ogni momento un sorrriso di pace, e questo non vuol dire essere fiacco”: lo insegnava Vittorio Bachelet e, forse, anche per questo è morto. Vogliamo ricordarne la lezione in questo giorno, in cui, nel vostro Paese, si è celebrata la  Giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice.

 

“Se amiamo gli altri non come sono, ma come dovrebbero essere, tocchiamo la maschera ma non il volto. Gesù toccava i volti”: è invece la lezione di un prete che ha imparato da Gesù. Che oggi fa gli anni. Auguri, don Angelo!

 

Oggi, qui da noi è il “Dia das mães”, e forse lo è anche da voi. E, giusto stasera, ci è arrivata una lettera da un amico di costì, che ricorda sua mamma, che compirebbe oggi cent’anni. Forse è una storia di altri tempi, e forse no, qui, almeno da noi, se ne trovano ancora di storie simili. Comunque, nel congedarci, in una sorta di omaggio alle mamme, scegliamo di proporvela (rispettando l’anonimato del nostro amico) come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La mia vecchia, se ci fosse, farebbe oggi cent’anni. Dico la “mia” vecchia, anche se, di figli e figlie, ne ha avuti undici, alcuni dei quali l’hanno già seguita. “Mia”, perché ciascuno, la figura della madre, la vive a modo suo. Alle medie, avevo scritto in un tema che lei era bella come una Madonna del Raffaello e che ogni giorno mi aspettava al ritorno da scuola in cima alla scalinata marmorea all’entrata di casa. E il professore si era incuriosito ed era andato a trovarla. Beh, la scala non era proprio di marmo, né si trattava di una scalinata, ma solo di sei gradini, e quella che si era affacciata alla porta, al suono di un campanello, era una donna semplice, che dimostrava più dei suoi anni, con il volto smagrito, e i capelli grigi raccolti a crocchia, come usavano le nonne, e non le mamme, ma forse anche le Madonne del Rinascimento.  Solo qualche anno più tardi, le figlie l’avrebbero convinta a farsi la permanente e poi a metterci anche un po’ di colore. Sicché lei divenne più giovane da vecchia di quanto non lo fosse da giovane. Al di là dell’aspetto, però, la mamma aveva mantenuto un che di bambina. Una bambina vivace e ostinata, come la ricordavano le sorelle. Di quei caratteri che però aiutano ad affrontare la vita e a infondere coraggio agli altri – quante volte e a quanti altri! – mentre a sé, quando proprio bisognava, riservava delle lacrime nascoste e degli sguardi, per un momento, tristi. Per il resto era solo entusiasmo, movimento e allegria. Da quando si alzava per prima, la mattina, e cominciava a dare la sveglia ai figli, secondo l’orario di ciascuno, e passava a dar aria alle camere e a rifare i letti, e intonava le preghiere, o cantava: “Andrò a vederla  un dì”, mentre noi ci si lavava e ci si preparava per uscire, i più grandi già a lavorare e noi pronti per la scuola. Ma, prima, lei  prendeva noi più piccoli per mano e ci portava in chiesa, a messa. Un costume che aveva appreso quando era ancora ragazzina, e la messa nella sua parrocchia era alle cinque del mattino. Una cosa che non avrebbe mai lasciato, come del resto il papà, prima di ammalarsi e poi partire. Anche su questo si erano proprio trovati. Poi ci accompagnava alla porta di scuola. E se ne tornava a casa. E, lì, era lavoro, lavoro e ancora lavoro. La sera, a chiudere la giornata, c’era il rosario, tutti insieme, e, una volta la settimana, il Vangelo. Poi noi si andava a dormire e lei restava lì a cucire, rammendare, ultimare i lavoretti che erano rimasti in sospeso. Compresa qualche preghiera in più, che, diceva, non ce n’è mai troppa. Così ci ha cresciuti tutti e ci ha consegnati alla vita. Sobriamente, senza coccole, né troppe smancerie, anzi, a volte, con qualche severità che noi si pensava di troppo, senza regali, salvo a Natale, senza impossibili lussi. E senza chiedere nulla in cambio, se non la felicità di vederci sereni, felici, uniti. In grazia di Dio, come diceva lei. Come se fosse ancora qui. (G.M., La mia vecchia farebbe cent’anni).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Maggio 2010ultima modifica: 2010-05-09T23:19:00+02:00da fraternidade
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