Giorno per giorno – 05 Maggio 2010

Carissimi,

“Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” (Gv  15, 1-2). La vite, negli antichi testi della Bibbia, simboleggiava il popolo d’Israele, da Dio trapiantato e accudito con quella cura amorevole, che il  Salmista esprimeva così: “Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici e ha riempito la terra. La sua ombra copriva le montagne e i suoi rami i più alti cedri. Ha esteso i suoi tralci fino al mare e arrivano al fiume i suoi germogli” (Sal 80, 10-12). Eppure, qualcosa a un certo punto non ha più funzionato, e la vite ha disatteso il desiderio di Dio: “invece di produrre uva, ha fatto uva selvatica” (Is 5, 4). Gesù aveva, probabilmente, ben presenti queste e altre immagini, facendo quel discorso in cui si paragona a una vite, la vera vite: l’Israele (ma anche ogni altro popolo) che rimane saldamente attaccato al progetto di Dio. Ciò che, tuttavia, ci ha colpito stamattina nel riflettere questo Vangelo, è stato soprattutto il passo dove si dice: “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano” (Gv 15, 6). E uno fa: Beh, questo vuol dire che, per i discepoli, esiste la possibilità concreta, reale, di consegnare la propria vita al non-senso, di confessarla inutile. E dona Dominga ha ascoltato, ci ha pensato un po’ su, poi ha scosso la testa e ha detto: non credo che sia proprio così. Non ci sono alberi, né rami che non servono a qualcosa. Se sono piante fruttifere e non producono frutti, forse la colpa è dell’agricoltore, che non vi ha dedicato tutta l’attenzione necessaria o è mancato il “carinho”, l’affetto, che si deve anche ad esse, come a delle persone (e non è un caso che i tralci della vite siano qui simbolo dei discepoli). A me capita spesso di accorgermi che ci sono piante mezze morte, e ci sono quelli che dicono: strappale, buttale via, non perderci tempo, e io invece con calma, comincio a parlargli, le bagno, persino le accarezzo, e piano piano, giorno dopo giorno, quelle si rianimano e tornano rigogliose come si deve. Così è per le piante e così anche per le persone.  Non c’è nessuno che non serve a nulla. E anche quando i rami seccano, servono pur sempre a qualcosa, ad accendere un buon fuoco, per riscaldare o cucinare, e le ceneri servono poi a fertilizzare il terreno. No, davvero, nessuno è inutile agli occhi di Dio, persino chi è un poco di buono, alla fine, si rivela parte del suo disegno. Queste sono le quasi testuali parole di dona Dominga, dette una prima volta, stamattina, a casa di Gerson, e ripetute poi, stasera, nella chiesetta dell’Aparecida. Già, come fosse la donna cananea del Vangelo, con la semplicità che le è propria, ha pensato bene di correggere Gesù, che, magari, era un po’ amareggiato per via di quel che gli stava succedendo, o ne ha dato comunque la interpretazione autentica. Nell’economia di Dio, nulla va perduto; tutto, anche il nostro male, anche i nostri mali, saranno ricapitolati, cioè troveranno un senso, in Cristo.  

 

Oggi, le Comunità cristiane di questo Continente fanno memoria di Isaura Esperanza, “Chaguita”, catechista e martire in El Salvador, e di Barbara Ann Ford, religiosa statunitense, martire della solidarietà con il popolo guatemalteco. 

 

05 MARTIRES.jpgLe poche notizie che abbiamo su Isaura Esperanza le sappiamo dal Martirologio latinoamericano.  Chaguita, così la chiamavano, era catechista, faceva parte della Legione di Maria ed era membro della Commissione popolare di Villa Dolores, nella capitale salvadoregna. La sera del 5 maggio 1980, stava impastando la farina per preparare il pane, nella sua casa. All’improvviso entrarono quelli delle brigate di sicurezza, in civile, obbligando tutti a sdraiarsi per terra. Poi, furono su di lei e la crivellarono di colpi. Non contenti, quando già era morta, ne calpestarono il cadavere. E se ne andarono.

 

05 Barbara Ann Ford.jpgBarbara Ann Ford era una religiosa delle Suore della Carità di New York. Nata nel 1939, era giunta in Guatemala nel 1978, per lavorare con le popolazioni più povere e indifese del Paese. Negli ultimi tempi di vita, stava lavorando per impiantare a Lemoa, nel dipartimento del Quiché, un progetto di salute mentale, nel quale le vittime dei crimini di guerra, per lo più indigeni maya, potessero raccontare ciò che si erano portati dentro fino ad allora: le drammatiche esperienze vissute nei 36 anni di sanguinosa repressione, che aveva causato trasferimenti forzati in massa, sequestri, torture e il massacro di oltre 200.000 persone. Hermana Barbara aveva anche collaborato con Mons. Gerardi, assassinato il 26 aprile 1998, nella stesura del Rapporto sulle violazioni dei diritti umani in Guatemala, che provava la responsabilità diretta dell’esercito per oltre il 90% degli omicidi compiuti in quegli anni. Il 5 maggio 2001, la religiosa si era recata nella Capitale per acquistare uno scaldabagno per la missione di Lemoa, quando fu avvicinata da sconosciuti che le spararono a bruciapelo e si impadronirono dell’auto, su cui viaggiava, abbandonandola, per altro a pochi metri di distanza dal luogo del delitto e fuggendo poi a piedi. In un primo momento la polizia tentò inutilmente di depistare le indagini, attribuendo il delitto a un fallito tentativo di furto.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap. 15, 1-6; Salmo 122; Vangelo di Giovanni, cap.15, 1-8.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia la religione, la cultura o la filosofia di vita.

 

Un amico piuttosto dispettoso ci segnala un sito virtuale del vostro paese che trova la sua ragion d’essere nella messa in latino. Ci concediamo alla curiosità e vi troviamo la cronaca di una pseudo-messa secondo il rito tridentino (riformato come si vuole) celebrata, domenica scorsa, in pompa magna da un porporato nella chiesa che ebbe come pastore il Card. Lercaro, padre indimenticato della conciliare “Chiesa dei poveri” e della riforma liturgica. E l’impressione che si ricava è di essere sul set di un film di Fellini, con presuli, preti e chierichetti come cicisbei di corte, tra fumi, profumi, strass e paillettes. Che, più che esserci, ci fanno. E Gesù Cristo lontano lontano, a infiniti spazi siderali. Nella stessa pagina, in basso, scopriamo la pubblicità di un gioco per banbini sopra i 7 anni: Costruisci il tuo altare tridentino da te. Beh, ora è tutto chiaro: giochi per adulti in chiesa, per bambini a casa. E chi si contenta, gode.

 

Noi ci congediamo qui, con un testo di fratel Arturo Paoli, tratto dal suo libro “Le palme cantano speranza” (Morcelliana), che, come sempre, ci provoca saliutarmente. È, per oggi, il nostro

   

PENSIERO DEL GIORNO

La chiesa non muore; muore in un certo spazio geografico, in una determinata società politica, ma nasce in altro spazio, in altra società politica. La chiesa non muore sotto i colpi della persecuzione, questi sono la potatura di cui parla Gesù, necessaria alla vitalità della pianta. La chiesa muore quando si svuota d’uomo, quando si fa accademia, congresso di saggi e di pianificatori. Quando si concentra nell’osservanza del sabato e si affanna ad organizzare la celebrazione del sabato, e invia drappelli di polizia per cogliere in flagrante quelli che non osservano il sabato, ed è incapace di accogliere il gemito dell’uomo dalla mano secca, e di esultare di gioia, di una gioia infantile, quando gli occhi bruciati dal sole  e logorati dall’attesa interminabile di “quello che deve venire”  si riempiono di luce e di giovinezza all’apparizione improvvisa del regno di Dio. Una chiesa incapace di esultare e di accogliere quelle vibrazioni che si danno solo al livello dei piccoli e dei poveri, è una chiesa morta, la parola si svuota di vita quando non è fatta di spirito, vibrazione, gioia e speranza in quella persona che si è stancata di attendere. “Ora, o Signore, puoi mandare in pace il tuo servo, perché i miei occhi hanno visto la salvezza”. (Arturo Paoli, Le palme cantano speranza).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 05 Maggio 2010ultima modifica: 2010-05-05T23:47:00+02:00da fraternidade
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