Giorno per giorno – 26 Aprile 2010

Carissimi,

“Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 9-10). Sono i mesi che seguono la festa di Sukkot (o delle Capanne), che formava la cornice dei capitoli 7 e 8 del Vangelo di Giovanni, e l’Evangelista, dopo aver narrato la guarigione del cieco nato (cap.9), pone ora questo discorso in cui Gesù si presenta come pastore e porta dell’ovile (cap. 10,1-21), che prelude quanto dirà nell’imminente festa di Hanukkah (o della Dedicazione), nella seconda parte del capitolo (Gv 10, 22-38).  Dunque, c’è un ovile e la sua porta, un pastore, un guardiano, delle pecore che, attraverso la porta,  entrano e escono e trovano pascolo, ladri e banditi, che vi penetrano invece da un’altra parte, e che vengono “per rubare, uccidere e distruggere”. Cos’è l’ovile? ci chiedevamo stamattina. E c’è chi dice la chiesa, la nostra casa, chi la società, la nostra città, il nostro Paese. E probabilmente era tutto questo anche nelle intenzioni di Gesù. Ora, è facile riconoscere chi agisce come Gesù (il pastore) e entra attraverso la porta che Lui è. La porta è la sua maniera d’essere, è il cammino che ci ha insegnato, è il principio della cura, è l’Intenzione che dovrebbe guidarci nelle nostre azioni. Siamo noi, allora, a decidere se la nostra casa, intesa sia come il più vasto mondo, sia come la nostra famiglia, comunità, chiesa, sarà luogo in cui si esercita la sollecitudine fraterna, dove cioè regna Dio, o invece spazio di chiusura, menzogna, rapina, prevaricazione, violenza.  Sì, persino la Chiesa, secondo le tragiche denunce che si susseguono negli ultimi tempi, può trasformarsi in questo. Dona Dominga lo raccontava a suo modo, l’altro giorno, traducendo quanto aveva visto nel notiziario alla televisione, la mattina presto, alle quattro, mentre come sempre si accingeva a preparare il pasto che Devarsí si porta poi appresso al lavoro. E diceva: c’era un vescovo e migliaia di preti  tutti piangenti e disperati a chiedere perdono a Dio, perché si era saputo che uno di loro aveva fatto del male a un bambino. Ed era una cosa terribile. Erano i giorni della visita del papa a Malta e non sappiamo se lei si riferisse ad essa e se le cose si siano svolte proprio così. Però, era ciò che i suoi occhi, le sue orecchie e soprattutto il suo cuore erano riusciti a capire. Più in là, forse, non riusciva proprio ad andare. Che tipo di relazioni instauriamo noi? Qual è la porta da cui entriamo? Siamo porta noi stessi o muro che blocca ogni accesso e ogni uscita alla ricerca di pascolo e di vita? Siamo pastori o mercenari e banditi, anche dentro di casa, in famiglia, o, peggio che peggio, nella chiesa e come chiesa?

 

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di Origene, catechista, presbitero e martire,  di Albert  Peyriguère, contemplativo “berbero tra i berberi”, e di mons. Juan José Gerardi Conedera, martire  per i diritti umani in Guatemala.

 

26 ORIGENE.jpgOrigene nacque verso il 185 probabilmente ad Alessandria. La persecuzione del 202 vide il martirio di suo padre, Leonida, e ridusse la famiglia in miseria. Nel 204 il vescovo della città, Demetrio, lo mise a capo della prima scuola catechetica ufficiale. Sostenitore di una vita ascetica, interpretando alla lettera un passo evangelico su quanti si fanno eunuchi per amore di Dio, Origene si evirò verso il 210. Forse dopo la persecuzione di Caracalla nel 215, si allontanò da Alessandria e si recò in Palestina, dove, su richiesta dei vescovi Teoctisto di Cesarea e Alessandro di Gerusalemme, svolse un’intensa attività di predicazione e fu ordinato sacerdote. Tornato ad Alessandria, il vescovo Demetrio giudicó illegittima la sua ordinazione, a causa della sua mutilazione, e cominciò a perseguitarlo. Questo lo indusse a far ritorno a Cesarea e a stabilirsi là, fondando una scuola simile a quella di Alessandria. Fu scrittore infaticabile, scrisse commenti a quasi tutti i libri della Scrittura e numerosissime omelie o prediche, che prendono spunto da passi evangelici o biblici. Durante la persecuzione dell’ imperatore Decio fu incarcerato e barbaramente torturato. Morì in conseguenza di questo trattamento, all’ età di 70 anni, nel 253, a Tiro.

 

26 periguère.jpgAlbert Peyriguère era nato il 28 settembre 1883 ed era stato ordinato prete l’8 dicembre 1906. Nel 1914 fu inviato al fronte come barelliere e il coraggio dimostrato gli valse la croce di guerra e la medaglia al valor militare. Nel 1920 decise di partire per la Tunisia, dove, in un primo tempo, fu cappellano in un collegio, a Silonville, e poi parroco a Hammamet. Fu a quell’epoca che lesse la vita di Charles de Foucauld e decise che la sua vocazione sarebbe stata di vivere l’ideale evangelico secondo la spiritualità dell’eremita del Sahara. Per dar compimento al suo desiderio di “vivere in mezzo ai più poveri, tra gli indigeni, conducendo una vita di preghiera, di lavoro manuale, di sacrificio e di povertà”, nel giugno del 1926 lasciò la Tunisia  per l’Algeria, dove con padre Camille de Chatouville, che aveva conosciuto l’eremita di Tamanrasset, fondò, nell’oasi di La Daya,  una fraternità basata sulla regola scritta da de Foucauld. Durò poco. Debilitato, Peyriguère fece ritono in Francia il 29 agosto 1926. Nel gennaio del 1927, tuttavia, era già nuovamente in viaggio, questa volta con destinazione Marocco. Nel 1928 fu inviato a Taroudant, in una regione devastata dalla fame e da un’epidemia di tifo. Il prete si ammalò. Trasportato in fin di vita all’ospedale, riuscì tuttavia a scamparla. Nel luglio dello stesso anno decise di andare a vivere tra i Berberi, nel villaggio di El Kbab. Lì resterà fino alla morte e lì  compirà il passo della sua più profonda conversione, che lo porterà a fare ciò che era mancato al suo modello e ispiratore: denunciare il colonialismo francese e le azioni criminali di cui si stava rendendo responsabile e schierarsi risolutamente al fianco della lotta per l’indipendenza del popolo marocchino.  Quando, due anni dopo il conseguimento dell’indipendenza, il principe ereditario Moulay Hassan, il futuro re Hassan II, si recò a El Kbab per inaugurare una moschea, volle incontrare il marabutto cristiano per ringraziarlo: “Mio padre ed io, gli disse, sappiamo tutto ciò che avete fatto e tutto ciò che fate”. E l’anziano eremita gli rispose con un sorriso: “Anch’io sono un martire dell’indipendenza!…”. Albert Peyriguère morì a El Kbab il 26 aprile 1959 e fu sepolto, come desiderava, tra la sua gente. Lasciò scritto: “Quanti donano Cristo senza parlarlo? Quanti, parlandolo senza viverlo, non lo donano affatto? Cristo è circondato da apostoli che parlano. Ma quanta fame e sete Egli ha di apostoli che lo vivano”.

 

26 gerardi.jpgJuan José Gerardi Conedera nacque a Città del Guatemala il 27 dicembre 1922. Ordinato sacerdote nel 1946, svolse la sua attività pastorale soprattutto nelle zone rurali del Paese, fino a quando fu nominato, il 9 maggio 1967,  vescovo di Verapaz. Scelse come priorità del suo ministero la difesa e la valorizzazione della popolazione indigena, della loro cultura e delle loro lingue. Negli anni settanta, quando imperversava la violenza militare, non esitò a far sentire la sua voce in difesa delle vittime. Nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Guatemala, divenne, nel 1988,  membro della Commissione nazionale di Riconciliazione, che aveva il compito di favorire i colloqui tra la guerriglia, il governo e la società civile in vista degli Accordi di Pace, che sarebbero stati firmati nel 1996. Fu tra i fondatori dell’Ufficio dei Diritti Umani dell’Arcivescovado (Odha) e si fece promotore del progetto “Recupero della Memoria Storica”, che produsse il rapporto “Guatemala: Nunca más”, una raccolta di migliaia di testimonianze delle vittime della violenza di trentasei anni di guerra civile e della repressione scatenata dall’esercito contro le popolazioni indigene. Due giorni dopo la presentazione del Rapporto, il 26 aprile 1998, mons. Gerardi veniva assassinato.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.11, 1-18; Salmo 42; Vangelo di Giovanni, cap. 10, 1-10.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

 

Di Albert Peyriguère abbiamo solo trovato una piccola citazione, da una sua lettera a una malata, tratta dal suo “Par les chemins que Dieu choisit” (Ed. Du Centurion). Ve la proponiamo, congedandoci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Vedete… è difficile santificarsi nella malattia, ma quando, una buona volta, se ne è saputo trovare il segreto santificante, allora si sente che questa operaia di vita sa perfettamente come eliminare dalle anime ciò che non è il puro metallo divino. Così come si sente che ciascuno dei suoi colpi, ogni minuto della sua presenza tenace e lancinante consuma, uno a uno, i legami che tenevano l’anima prigioniera impedendole di volare verso le austere vette dove soltanto avviene l’incontro con Cristo. E, insieme, si scopre che i malati sono i diletti del maestro, e che perciò essi sono sulla terra gli “attivi”, perché è attraverso la preghiera, è attraverso il sacrificio che si compie ogni grande cosa sulla terra… (Albert Peyriguère, Par les chemins que Dieu choisit).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Aprile 2010ultima modifica: 2010-04-26T22:43:00+02:00da fraternidade
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