Giorno per giorno – 17 Aprile 2010

Carissimi,

“Venuta la sera, i discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: Sono io, non abbiate paura!”  (Gv  6, 16-20).  La lettura di ieri si concludeva con Gesù che si ritira solitario, sul monte, per sottrarsi alla folla che, dopo la moltiplicazione dei pani, vorrebbe farlo re. Giovanni registra che i discepoli, al tramonto, “scesero al mare e, saliti in una barca, si avviarono verso l’altra riva in direzione di Cafarnao” (Gv 6,16). Non sappiamo cosa stessero pensando, nel loro tornare, presumibilmente, a casa. Né, se fosse stato Gesù a ordinare loro, come dicono invece esplicitamente Matteo e Marco, di imbarcarsi e precederlo sull’altra riva (Mt 14, 22; Mc 6, 45). Certo, il racconto rappresenta una situazione in cui Gesù non c’è. In cui il Gesù che avevamo immaginato (il Gesù acclamato re e noi, in prospettiva, suoi ministri o anche solo portaborse!) esce di scena (una sorta di anticipazione di ciò che accadrà con la sua morte), e noi si va verso l’altra riva, senza sapere bene cosa ci aspetti. Ma dovendo già fin d’ora confrontarci con un “vento contrario” (v.48). Chissà, forse l’evangelista, nell’associare i due episodi – quello dei pani e, ora, quello del lago –  voleva richiamare il salmo 107, dove si dice: “Erano affamati e assetati, veniva meno la loro vita… ed egli saziò il desiderio dell’assetato, e l’affamato ricolmò di beni” (Sal 107, 5.9) e, più avanti: “Ridusse la tempesta alla calma, tacquero i flutti del mare. Si rallegrarono nel vedere la bonaccia ed egli li condusse al porto sospirato” (Sal 107, 29-30). Immagine di una Chiesa (o, ancor di più, di un’umanità) che non sperimenta più il significato di Gesù (il Vangelo della cura), e che si trova ora a fare i conti con la sua assenza. Eppure, basta aguzzare lo sguardo e Lui è lì: “Sono Io, non abbiate paura!” (v. 20). E non vuol dire semplicemente che Lui è lì, ma che Lui, Dio, è lì: l’Io-sono della rivelazione biblica. Si tratta allora di convertirci nuovamente a Lui. Ed ecco, siamo già a riva. L’altra riva. Quella scomoda e non scontata a cui ci ha indirizzati. Quella in cui Lui, facendoci accoglitori, ci accoglie.  Passaggio all’altra riva: la nostra Pasqua.   

 

Il calendario ci porta oggi la memoria di Max Joseph Metzger, martire nella Germania nazista e di  Kateri Tekakwitha, India mohawk al servizio dei suoi fratelli.

 

17 Max Joseph Metzger.jpgMax Joseph Metzger era nato il 3 febbraio 1887 nel villaggio di Schopfheim, in Germania. La sua esperienza come cappellano militare durante la Prima Guerra mondiale, lo spinse a dedicare la sua vita alla causa della pace, della riconciliazione e dell’ecumenismo. Dopo la guerra, oltre a collaborare con la Croce Bianca, un’organizzazione che offriva una presenza pastorale tra gli emarginati, Metzger fondò la Lega per la Pace mondiale e il Congresso Mondiale di Cristo Re, che aveva come finalità l’unità dei cristiani e la pace tra le nazioni. S’impegnò strenuamente a favorire il dialogo e la cooperazione tra cattolici e protestanti  nel movimento Una Sancta. Durante la dittatura nazista, fu ripetutamente arrestato, senza che tuttavia la Gestapo riuscisse a trovare di che incriminarlo. Finalmente, nel giugno del 1943, gli furono sequestrate lettere indirizzate a vescovi stranieri, in cui si sollecitavano interventi che favorissero una fine negoziata della guerra. Accusato di tradimento, fu arrestato e incarcerato. Quando fu pronunciata la sentenza di morte, affermò: “Non provo nessuna vergogna, ma mi sento invece onorato di essere dichiarato disonorevole da questa corte”. Morì decapitato il 17 aprile 1944, offrendo la sua vita per la pace e per l’unità delle Chiese.

 

17 KATERI.jpgKateri Tekakwitha era nata nel 1656 a Ossernenon, un villaggio Mohawk (nell’attuale Stato di New York), figlia di un irochese pagano e di una prigioniera algonchina cristiana, che ne era divenuta sposa. Nel 1860 scampò ad un’epidemia di vaiolo (uno dei regali dell’invasione europea) che aveva colpito la popolazione della regione e che la lasciò orfana, con il volto sfigurato e una grave menomazione alla vista. Affidata ad uno zio, la bambina crebbe come le sue coetanee, lavorando nei campi, tenendo in ordine la casa comune, dedicandosi a piccoli lavori di artigianato. Di diverso, aveva che le piaceva recarsi nella nella foresta, per goderne la bellezza e ascoltarne le voci. Nel 1675, giunsero al suo villaggio dei gesuiti francesi, che le fecero riscoprire la fede della madre. Il giorno di Pasqua del 1676, fu battezzata e ricevette il nome di Kateri, ma dovette presto fuggire, riparando, dopo un viaggio di oltre trecento chilometri, presso la missione di san Francesco Saverio, nel villaggio di Kahnawake,  vicino a dove oggi sorge Montreal, in Canada. Qui visse i pochi anni di vita che le restarono, lavorando, pregando e prendendosi cura dei sofferenti. Nella primavera del 1679 la salute di Kateri, già fragile,  iniziò a peggiorare, minata anche dalle penitenze cui si sottoponeva. Morì, ventiquattrenne,  alle tre del pomeriggio del mercoledì della settimana santa, il 17 aprile 1680.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap. 6, 1-7; Salmo 33; Vangelo di Giovanni, cap.6, 16-21.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Con gli amici e le amiche di Fé e Luz, abbiamo fatto pasqua oggi pomeriggio, celebrando l’Eucaristia assieme al nostro vescovo e lasciandoci poi tentare dalle leccornie preparate da [quasi] tutti in una gara di generosità. Una piccola nota di colore (teologico): quando dom Eugenio, commentando il Vangelo della risurrezione ha chiesto ai presenti chi desiderasse risuscitare, dopo morto, ha dovuto insistere per un po’ prima di vedere qualche mano alzarsi. I nostri, qualcuno magari tardo di mente, ma con il cuore grande così, mica vogliono aspettare a risuscitare da morto. Vogliono farlo qui, da subito. Come appunto suggeriva san Paolo nella prima lettura: “Se dunque siete risorti con Cristo” (Col 3, 1), ma anche, più avanti: “Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (v.3). Perdinci, i nostri sono già arrivati, e da tempo, all’altra riva, quella di una comprensione diversa della vita. E, per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, con un bel brano sulla Pasqua del teologo francese Louis Bouyer, tratto dal suo  Le mystère pascal” (Le Cerf). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

In ultima analisi, la religione cristiana non è per nulla una semplice dottrina; essa è un fatto, un’azione, e non un’azione del passato, ma del presente verso cui si orienta il passato ed a cui si avvicina il futuro. In questo consiste il suo mistero, un mistero di fede, in quanto viene affermato che oggi diventa nostra l’azione che un Altro compì un tempo, ed i cui frutti in noi non vedremo se non più tardi… Poiché Cristo è morto per noi, non tanto per dispensarci dal morire, quanto piuttosto per renderci capaci di morire efficacemente: di morire, cioè, alla vita dell’uomo vecchio per rivivere a quella dell’uomo nuovo che non perirà più. Ecco il senso vero della Pasqua: essa ci insegna che il cristiano nella Chiesa deve morire con il Cristo per resuscitare con lui. E non solo lo insegna – come si mostrerebbe a dito qualcosa che non si tiene in proprio possesso (era ciò che faceva la Pasqua del Vecchio Testamento) – essa lo mette in pratica. La Pasqua è il Cristo che un tempo è morto e risuscitato, facendoci morire della sua morte e resuscitandoci alla sua vita. Così la Pasqua non è una semplice commemorazione; essa è la Croce ed il Sepolcro vuoto resi presenti. Ma ora non è più il Capo che deve adagiarsi sulla croce per rialzarsi dalla tomba; è il suo corpo, la Chiesa, con tutte le sue membra rappresentate da ciascuno di noi. Tutto il mistero che, come dice San Paolo, Dio aveva riservato per gli ultimi tempi, i nostri, consiste esattamente in questa morte con il Cristo ed in questa resurrezione con lui; morte e resurrezione che ci offrono la vita nascosta con Cristo in Dio, quella stessa vita che si manifesterà allorquando Cristo in persona apparirà. È stato spesso sottolineata la straordinaria abbondanza di combinazioni con le quali San Paolo, nei suoi scritti, sfrutta la preposizione “con”; ed è anche stato giustamente messo in evidenza che è un aspetto caratteristico di tutta la sua concezione della vita cristiana. In effetti, per lui, vita cristiana, vita della Chiesa o vita di ciascun cristiano, è una vita con Cristo. (Louis Bouyer, Le mystère pascal).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Aprile 2010ultima modifica: 2010-04-17T23:02:00+02:00da fraternidade
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