Giorno per giorno – 09 Aprile 2010

Carissimi,

“Disse loro Simon Pietro: Io vado a pescare. Gli dissero: Veniamo anche noi con te. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: Figlioli, non avete nulla da mangiare? No, essi risposero” (Gv  21, 2-5). Forse c’è qualche incongruenza nel fatto che Pietro e gli altri, dopo aver visto il Signore risorto, averne ricevuto lo Spirito ed esserne stati investiti della missione (Gv 20, 19-23),  se ne siano tornati in riva al lago di Galilea a svolgere la loro antica professione. Questo potrebbe essere segno che il racconto, benché aggiunto qui a mo’ di epilogo dell’intero Vangelo, risalga ad una tradizione più antica, quella che affermava che il Signore era apparso per primo a Simone, in Galilea, dove i discepoli, secondo il messaggio dell’angelo alle donne (Mt 28, 7), erano stati invitati a tornare. Gesù, comunque, aveva predetto: “Ecco, verrà l’ora in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio” (Gv 16, 32), il che lascia intendere un lasso di tempo superiore a quello compreso tra l’arresto e poi la morte di Gesù e la scoperta del sepolcro vuoto. Eppure, anche collocato lì dov’è, il testo rispecchia facilmente l’esperienza dei discepoli di ogni tempo. Che, oggi, possono anche incontrare il Crocifisso risorto e decidere di farne la ragione della propria vita, e, domani, aver già dimenticato tutto. E non concludere nulla. E sentirsi perduti e soli. Come Adamo, dopo il peccato. E come Dio era sceso in giardino a chiamare l’antico progenitore, ora Gesù appare in riva al lago e grida ai suoi: “Ehi, figlioli!”. E se là, Adamo si era fatto una cintura di foglie di fico, qui Pietro si cinge il camiciotto. Perché entrambi si scoprono nudi e vergognosi. L’uno per aver distorto l’immagine di Dio e della vocazione dell’uomo, l’altro per averla rinnegata. “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. È Dio che ha fame e noi, così come ci ritroviamo oggi, non gli si può che rispondere di no. Non abbiamo più nulla. Eppure, se riusciamo a farci commuovere da quella richiesta e, sulla sua parola, tentiamo nuovamente ciò che non ci è riuscito di ottenere con il lavoro di un’intera notte, la nostra senza Lui, tutto può improvvisamente cambiare. Dona Dominga metteva in rilievo stamattina questa disponibilità a non farci vincere dalla stanchezza nel rispondere alle richieste e ai bisogni degli altri. Che poi è la richiesta e il bisogno Suo e, più in profondità, nostro. Insomma, la fame dell’altro è la fame di Dio, ed è la nostra stessa fame. Fame di relazionarci gli uni gli altri nella forma del prendersi cura e dell’amore, il mistero della Trinità. Diceva Dominga: bisogna essere come mamme, insonni, mai ferme, sempre in movimento. Mosse, bisogna credere, da un segreto che si portano dentro, qualcosa che sconfina nell’essere stesso di Dio. Capaci, rinunciando sempre a qualcosa, di moltiplicare i pani e i pesci, di pesche prodigiose, salvo scoprire poi che lui ha già preparato un pasto per noi, il Pane che è Lui stesso, quello che alimenta la sua vita in noi e nel mondo intero.

 

I testi che la liturgia di questo Sesto Giorno della Festa di Pasqua propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.4, 1-12; Salmo 118; Vangelo di Giovanni, cap.21, 1-14.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che professa l’unicità del Dio clemente e misericordioso. 

 

Il nostro calendario ecumenico ci porta anche la memoria di Dietrich Bonhoeffer, pastore, teologo e martire nella Germania nazista.

 

09 Bonhoeffer bis.jpgDietrich Bonhoeffer era nato a Breslavia il 4 febbraio 1906, sesto di otto figli di Karl Bonhoeffer e Paula von Hase. Nel 1912 la famiglia si trasferì a Berlino, dove il padre occupò una delle più importanti cattedre tedesche di psichiatria e neurologia. A 17 anni, il giovane Dietrich iniziò a Tubinga  gli studi di teologia, conseguendo nel 1927 il dottorato. Quando i parenti, critici per la sua decisione di diventare pastore, gli fecero presente che la chiesa era ormai debole e fallimentare, egli rispose: “Se la chiesa è realmente ciò che voi dite, allora dovrò darmi da fare per riformarla”.  A partire dal 1 agosto 1931 fu libero docente alla Facoltà di Teologia di Berlino. Venne ordinato pastore l’11 novembre dello stesso anno. Dopo l’ascesa al potere di Hitler, nel 1933, alternò periodi in Inghilterra, in patria e negli Stati Uniti, dove nel 1939 arrivò a progettare di stabilirsi. Era mosso a questo dall’oggettiva impossibilità di lavorare in Germania, a causa dei provvedimenti di polizia che l’avevano colpito, per il suo impegno nella Chiesa confessante, caposaldo della resistenza protestante al nazismo. Ma, bastarono poche settimane a fargli cambiare idea. Ritornato in patria, prese contatto con altri ambienti contrari al regime, impegnandosi in operazioni di salvataggio di gruppi di ebrei e contribuendo a tessere le fila dell’opposizione al regime. Finché, il 5 aprile  1943 venne arrestato e internato nel carcere militare di Tegel. Da lì, in ottobre, passò nel carcere della Gestapo in Prinz-Albrecht-Strasse; nel febbraio del 1945, al campo di concentramento di Buchenwald, poi, all’inizio di aprile, in sequenza ravvicinata, a Regensburg, Schönberg, e infine a Flossenbürg, dove la corte marziale, riunitasi nella notte dell’8 aprile, lo condannò a morte assieme all’ammiraglio Canaris, al generale Oster, al giudice militare Sack, al capitano Ludwig Gehre ed all’avvocato Theodor Strunck. Furono tutti impiccati la mattina del 9 aprile 1945. 

 

Bene, noi (qualcuno di voi ci ha già mandato gli auguri) compiamo oggi otto anni. In questo tempo, qualcuno ci ha lasciato, chi per entrare nel mistero di Dio,  e chi perché si era nel frattempo stancato; altri, la maggior parte di voi, hanno durato, chi leggendoci con costanza, altri scorrendoci di tanto in tanto, chi un po’ meno; altri infine si sono venuti aggiungendo e si aggiungono, più, forse, per ritrovarsi in compagnia sulla parola di Dio, che per la [in]sensatezza delle riflessioni che ci capita di farle seguire. In un clima comunque che sentiamo pervaso di amicizia e simpatia. Dobbiamo dirvi soltanto grazie, per la pazienza, la benevolenza e la preghiera con cui ci accompagnate. Se, finora, siamo riusciti ad andare avanti, lo dobbiamo molto a voi, più ancora a Lui e quasi niente a noi. “Giorno per giorno” termina qui, almeno per stasera. Non senza offrirvi, un brano sulla Pasqua, tratto da “Il miracolo del messaggio pasquale” (Gribaudi) di Dietrich Bonhoeffer. Che è per oggi  il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il Risorto avanza tra i suoi discepoli impauriti. Dice: “Pace a voi”. Certo, allora era il saluto quotidiano, e per di più un buon saluto, perché in esso è racchiuso tutto ciò che gli uomini possono augurarsi l’un l’altro. Ma anche da noi la differenza la fa chi pronuncia il saluto. Il pietoso saluto di una madre, di un cristiano avanti con gli anni, ha un peso diverso dal saluto formale utilizzato da qualsiasi altra persona. “Pace a voi” – invece che “sia” qui sarebbe meglio mettere il presente “è”! – sulle labbra del Risorto ciò significa: basta con tutte le vostre paure, basta al dominio del peccato e della morte su di voi, ora siete in pace con Dio, con gli uomini e pertanto con voi stessi. Parla così proprio colui che ha conquistato personalmente questa pace per noi, e come segno visibile della battaglia vinta e della vittoria conseguita, mostra le mani forate e il costato ferito. “Pace a voi”, ossia: colui che è egli stesso pace, Gesù Cristo è con voi, il Crocifisso è Risorto. Parola e segno del Signore vivente rendono felici i discepoli. Dopo giorni inquieti e oscuri, la comunione con il Signore è ritrovata. (Dietrich Bonhoeffer, Il miracolo del messaggio pasquale).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 09 Aprile 2010ultima modifica: 2010-04-09T23:25:00+02:00da fraternidade
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