Giorno per giorno – 07 Aprile 2010

Carissimi,

“Disse loro: Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24, 25-27). Più tardi, i due discepoli diretti a Emmaus si diranno l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture? (v. 32). L’ascolto della Parola aiuta, eccome se aiuta, a capire qualcosa di più della vita che ci tocca vivere, diceva Dulcy stasera, rispondendo a una domanda di dom Eugenio, durante l’omelia condivisa, nella chiesetta dell’Aparecida. È la Parola che ci aiuta a scoprire se il mondo (e il modo) in cui viviamo è conforme al progetto di Dio o se è magari il suo esatto contrario. Senza che mai, prima, ci fosse dato anche solo di sospettarlo. Ci aiuta a vedere dove Gesù (cioè, per i cristiani, il significato di Dio-che-libera-gli-oppressi, già presente nell’Antica e mai revocata Alleanza, ovvero nell’insegnamento di Mosè e nei Profeti),  è [ancora e ogni volta] condannato, crocifisso, ucciso e sepolto (viene, cioè, concretamente negato ed eliminato dalla storia), a volte, verrebbe da pensare definitivamente, nella menzogna, nella violenza, nell’odio, nell’egoismo o nell’indifferenza, che dominano nelle relazioni tra le persone, le classi, le nazioni. E, tuttavia, tale Parola, la Parola che Lui è, udita soltanto, se pure ci illumina sulla realtà e ci riscalda il cuore, non ci introduce ancora automaticamente nell’esperienza della risurrezione. Dato che, qui, di risurrezione si tratta. Ci resta un passo da fare, anzi, a dire il vero è, ogni volta, Lui a doverlo fare per primo, per farsi riconoscere e attirarci nuovamente alla sua sequela, di più, inserirci nella Sua vita. Ed è di ripetere il gesto con cui, pochi giorni prima dell’incontro sulla strada per Emmaus, aveva trasformato se stesso in cibo “dato per voi” (Lc 22, 19). O, nella versione giovannea, in “carne per la vita del mondo” (Gv 6, 51) – il che non è evidentemente solo la Messa, né, meno che mai, un semplice pasto conviviale. Per il quale, sarebbe bastato andare fuori porta, come usate fare voi il giorno di Pasquetta, senza grosse conseguenze. Quale realtà cruenta esso invece significasse, egli ce l’avrebbe mostrato già il giorno dopo, il Venerdì santo. Resta il fatto che, da allora, quel gesto ci richiama la sua identità più vera – essere cibo, corpo, vita donata per la nostra vita – e ci rimanda perciò anche alla nostra: “Fate lo stesso in mia memoria”.   

 

Questo è il Quarto Giorno della Festa di Pasqua. I testi che la liturgia  propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap. 3, 1-11; Salmo 105; Vangelo di Luca, cap.24, 13-35.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, lungo i cammini più diversi, perseguono un mondo di giustizia, fraternità e pace.

 

Il calendario ecumenico ci porta la memoria di Tichon di Mosca, pastore della Chiesa ortodossa russa.

 

07 PATRIARCA TICHON.jpgVasilij Ivanovic’ Bielavin era nato nel 1865, nella famiglia di un parroco di provincia, a Toropec, nella provincia di Pskov. Al termine degli studi entrò in monastero, assumendo il nome di Tichon. A 32 anni ricevette la consacrazione episcopale e nel 1898 fu nominato vescovo delle Isole  Aleutsk e dell’Alaska, com’era chiamata allora la diocesi della Chiesa ortodossa russa nell’America settentrionale. Tornato in patria nel 1907, fu nominato vescovo di Iaroslav, più tardi di Vilnius, e, nel 1917, metropolita di Mosca. Presiedette nello stesso anno il Concilio della Chiesa russa che, dopo oltre due secoli,  ripristinò il titolo di Patriarca, conferendolo allo stesso Tichon. La sua elezione coincise con il periodo drammatico della rivoluzione, che per la Chiesa russa significò essere posta davanti all’alternativa secca: o persecuzione o collaborazionismo. Tichon cercò di tenersi fuori dalla politica, ponendosi come unico obiettivo quello  del servizio reso a Dio per la salvezza delle anime. Ma ciò non gli evitò, nel 1923, di essere deposto, arrestato e confinato. Subì addirittura un attentato, che costò la vita a Iacov Polozov, un novizio addetto alla sua cura. Nel gennaio 1925 Tichon si ammalò gravemente. Dopo un apparente miglioramento, con l’approssimarsi della primavera, una ricaduta lo costrinse a farsi ricoverare in ospedale. Il 25 marzo (corrispondente al 7 aprile del calendario gregoriano), festa dell’Annunciazione, ebbe un’improvviso peggioramento. Poco prima di mezzanotte chiese l’ora e disse sospirando: “Presto verrà la notte, scura e lunga”. Fece due volte il segno della croce, alzò la mano per segnarsi la terza volta, ma morì prima di riuscire a farlo. Ci fu chi sospettò che l’avessero avvelenato. Fu canonizzato nel 1989.

 

Non abbiamo sottomano testi del Patriarca  Tichon di Mosca. Scegliamo, allora, di offrirvi una riflessione sulla Pasqua del teologo ortodosso Olivier Clément, tratta dal suo libro “Le feste cristiane” (Qiqajon). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Cristo, il Dio incarnato – “il Verbo si fece carne” – ha condiviso sino in fondo, e ancor oggi condivide la nostra condizione. Noi frantumiamo l’umanità in chiuse individualità, che si odiano e si confondono. Scissione che si prolunga e si dilata  negli odi collettivi. Diciamo di essere persone, ma chiusi nel nostro isolamento rimaniamo nulla più che degli aborti! Cristo, invece, è una persona perfetta perché è una persona divina, “uno della santa Trinità”. Certo, egli è un individuo ben concreto, di cui l’arte può tratteggiare il volto. Ma, essendo “amore senza limiti”, non è separato da nulla, da nessuno di noi, dall’inizio alla fine della storia: “capolavoro d’uomo”, porta in sé l’intera umanità. Egli muore con noi, noi risuscitiamo con lui. Risurrezione non significa rianimazione di un cadavere, un morto che torna alla vita nelle condizioni in cui versava prima di morire. La risurrezione di Cristo ribalta radicalmente tali condizioni. Certo, il Risorto è reale, si lascia toccare da Tommaso, condivide il cibo con i discepoli, eppure è diverso, “sotto altro aspetto” dice la finale lunga di Marco, tanto che Maria di Magdala lo scambia per il giardiniere, e i pellegrini di Emmaus per un viaggiatore male informato. Egli fugge allo spazio e al tempo che separano, li trasforma in mezzi dell’incontro, in vie di comunione. In lui il divino e l’umano sono definitivamente uniti. […] Ma allora, per quale motivo la risurrezione rimane segreta? Per rispetto alla nostra libertà. Il Risorto non s’impone. Egli non si mostra ai potenti di questo mondo, ma si rivela unicamente a coloro che l’accolgono con fede e con amore. Non è la risurrezione a suscitare la fede, ma è la fede che consente alla risurrezione di manifestarsi. Gesù ci chiama con dolcezza, come fece con Maria Maddalena: solo in quel momento “essa si voltò” – si voltò il suo cuore -, e lo riconobbe. Ed è nell’ora della frazione del pane, in una locanda come tante altre, che i pellegrini di Emmaus lo riconoscono; e che egli scompare, presente ormai nell’eucaristia, nello Spirito, nel “misteri” della chiesa, cioè nei suoi sacramenti.  (Olivier Clément, Le feste cristiane).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Aprile 2010ultima modifica: 2010-04-07T23:09:00+02:00da fraternidade
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