Giorno per giorno – 04 Aprile 2010

Carissimi,

Se noi vegliamo, questa notte, / la notte più Grande e più lunga di tutte, / una notte che narra / i giorni oscuri di ogni vita, / e le parentesi buie di ogni epoca / e i tunnel senza fine e speranza / che, come tumuli, / capita che inghiottano / padri e madri, / figli e figlie, / persino cuccioli, / da poco schiusi alla vita, / o fratelli e sorelle e amici, / o sconosciuti  e nemici; / se noi vegliamo questa notte, / è perché in una notte simile / un angelo è passato / davanti alle porte / delle vittime di allora, / e di ogni tempo, / e ha detto: ora basta, / Lui non vuole questo / E ha sciolto le catene, / ha sollevato i corpi / sfiniti o sfatti / e li ha allacciati / in un’interminabile catena umana, / per condurli, / attraversando i millenni, / in avanti e a ritroso, / verso la luce, / che un sepolcro, / invano, / ha cercato  e cerca / di soffocare e spengere. / Ed è la Sua carezza. / Che, questa notte, / rinasce come / tenerezza e cura / tra individui e popoli, / resi tutti, finalmente, / fratelli.” Sono stati questi alcuni dei pensieri che ci hanno accompagnato durante la Grande Veglia Pasquale, celebrata la scorsa notte, a partire dalle due e mezza fino all’alba, nella chiesa del Monastero. La pioggia violentissima che si era abbattuta poco prima sulla regione deve aver disincentivato un buon numero di persone dall’uscire di casa, sicché noi si era solo una ventina, tutti di questa periferia, salvo una giovane coppia di Goiânia che ha scelto di passare qui il Triduo Pasquale e padre Ernesto, un prete mineiro, che ha trascorso qui tutta la Quaresima. E noi ci si sentiva un po’ come una comunità dei tempi antichi, quando, a ritrovarsi la notte intorno al Suo mistero, si doveva provare il gusto sobrio, l’allegria semplice e l’entusiasmo contenuto dei poveri. In uno spazio, quello del monastero, restituito ai suoi naturali fruitori, che ci si avventurano comunque timidi, abituati come sono a sentirsi ospiti di passaggio ovunque, persino a casa loro. D’altra parte il vecchio Filipe aveva ben detto un giorno che tornare alla vita comunitaria per lui e gli altri monaci, giunti qui e rimasti un buon tempo in diaspora, avrebbe avuto senso solo se si fossero inseriti come semplice famiglia tra le altre del bairro, per offrirsi  come luogo di fraternità e di accoglienza nei confronti di quanti, per primi, li avevano accolti come fratelli, con la generosa ospitalità di cui è capace la nostra gente. Il resto sarebbe venuto, col tempo, senza forzare il passo di nessuno: l’offerta della preghiera in comune, nel linguaggio e nello stile dei poveri, e il dono e lo studio di quella Parola, in cui essi sono portati a ritrovare ciò che, spesso, già conoscono e vivono di loro. Pasqua, dunque, colma delle sofferenze del mondo (e noi abbiamo ricordato quelle che si è potuto), ma con la certezza, che si fa strada, anche se sempre a fatica, sulla parola di alcune donne. Che sono venute a dirci che la Sua tomba è vuota. Mentre appaiono, qua e là, e si moltiplicano (ma bisogna avere occhi per vederli) i primi segnali di risurrezione. Cristo è risorto! Si, è davvero risorto. E i poveri risorgono con Lui.              

 

Pasqua di Risurrezione.jpgI testi che la liturgia di questa Pasqua di Risurrezione propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.10,34a.37-43; Salmo 118; Lettera ai Corinzi, cap.5, 6-8; Vangelo di Giovanni, cap.20, 1-9. 

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

I santi sono sempre testimoni del Crocifisso risorto, anche se alcuni lo sono in maniera più evidente di altri. Oggi il calendario ci porta numerose memorie. Quelle di Martin Luther King, pastore e martire nella lotta per i diritti civili, di Benedetto il negro, amico e consigliere del popolo, di Aloisio Kamau, martire in Kenya, e di  don Raffaele Bensi, maestro di spiritualità.      

 

04 KING.jpgMartin Luther King Jr. era nato ad Atlanta, nello Stato della Georgia, il 15 gennaio 1929, secondogenito di Alberta Williams King e del pastore battista Martin Luther King.  Dopo gli studi teologici, il giovane King frequentò fino al 1953 l’Università di Boston, dove conobbe Coretta Scott, che diventerà sua moglie. Dal loro matrimonio nasceranno due figli e due figlie. Nel 1954, King divenne pastore della Chiesa Battista a Montgomery, in Alabama. Nel 1955 accadde l’episodio che diede il via alla prima grande mobilitazione negra contro la segregazione, che sarà ricordata come il “boicottaggio degli autobus”. La lotta durò 382 giorni, fino a quando il 21 dicembre 1956, la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò incostituzionale la legge che imponeva la separazione tra neri e bianchi sui mezzi pubblici. King, che era diventato uno dei leader della protesta, fu arrestato e malmenato ripetutamente. Nel 1957 fu eletto presidente della Southern Christian Leadership Conference, un’organizzazione per la formazione di quadri dirigenti del movimento per i diritti civili, il cui ideale affondava le sue radici nel cristianesimo, ma anche nella teoria e pratica nonviolenta di Gandhi.  Il 3 aprile 1963 King organizzò una delle proteste più dure a Birmingham, in Alabama, roccaforte dell’America razzista. Nuovamente arrestato, in cella d’isolamento, scrisse di getto quello che diventerà il manifesto della rivoluzione negra: la “Lettera dal Carcere di Birmingham”. Il 28 agosto di quello stesso anno, tutte le organizzazioni nonviolente confluirono a Washington in una straordinaria marcia pacifica che si concluse con il discorso più famoso di King: “I have a dream” (Ho un sogno).  Il 10 dicembre, a Oslo, King ricevette il Premio Nobel per la Pace, il cui ammontare destinò al Movimento per i dirittti civili.  Alla fine del 1965, la famiglia King si trasferì a Chicago, scegliendo di vivere in uno dei quartieri più poveri, per condividere le condizioni dei meno fortunati tra la popolazione negra. All’inizio di aprile 1968, King era  a Memphis,  nel Tennessee, per partecipare alle manifestazioni in appoggio ai netturbini in lotta per migliori salari. Il 4 aprile, uscì sul terrazzino dell’albergo dov’era ospitato. Il tempo di scambiare qualche parola con il pastore Ralph Abernaty e un colpo mortale sparato dalla casa di fronte lo colpì alla gola. 

 

04 BENEDETTO NEGRO.jpgBenedetto il Moro era nato nel 1526 a San Fratello, nei pressi di Messina. I suoi antenati erano stati forzatamente portati in Sicilia, vittime della tratta di schiavi. Da giovane, Benedetto lavorò per molti anni come pastore di greggi e con il suo magro salario trovava il modo non solo di sopravvivere, ma anche  di aiutare altri, più poveri di lui. A 21 anni si unì ad un gruppo di eremiti francescani. Quando, nel 1564, papa Pio IV ordinò la chiusura dell’eremiterio, Benedetto scelse di vivere come fratello laico nel convento dei frati minori di S. Maria del Gesù, a Palermo, dove per molto tempo svolse la funzione di cuoco. Quando il convento aderì alla riforma dei Cappuccini, che sostenevano un’interpretazione più rigida della regola francescana, Benedetto, benché laico e per giunta analfabeta,  fu eletto superiore. Presto si diede a conoscere per la sua dedizione ai più bisognosi, la sua umanità e il dono della chiaroveggenza. Sicché un gran numero di persone di ogni ceto accorrevano per vederlo, parlargli, ascoltarne il consiglio. Negli ultimi anni di vita, volle tornare a fare il cuoco, come un tempo. Morì il 4 aprile 1589.

 

Di Aloisio Kamau, maestro keniota, sappiamo soltanto che era nato nel 1929 ed era stato educato nella scuola di Tuthu, nella regione del monte Kenya, tenuta dai missionari della Consolata.  Battezzato il 6 gennaio 1945, terminati gli studi era passato a insegnare in quella stessa scuola.  Durante la rivolta anticoloniale che divampò nel Paese all’inizio degli anni cinquanta, quando il villaggio venne occupato dai ribelli, Aloisio si rifiutò di piegarsi alla violenza e di rinnegare la sua fede. Fu ucciso il 4 aprile 1953.

 

04 RAFFAELE BENSI.jpgRaffaele Bensi, nato a Scandicci l’11 febbraio 1896, fu ordinato sacerdote il 6 aprile 1919 e poco dopo fu inviato come curato a San Michele Visdomini, diventando da quel momento il padre spirituale di migliaia di giovani. A partire dal 1926, per quarant’anni, fu anche insegnante di religione. Poté così presentare e testimoniare a intere generazioni di studenti il significato che per lui aveva la fede fondata sul Vangelo di Gesù. Molte figure autorevoli ebbero in lui un importante punto di riferimento: il cardinal Dalla Costa, don Facibeni, Giorgio La Pira e tanti altri, ma soprattutto don Milani, di cui fu direttore spirituale fino alla morte. Di questi, in un’intervista, don Bensi ricorderà “la sua capacità di annullarsi fra i poveri, fra i ragazzi e fra la gente senza nome e senza importanza. A lui è sempre bastato amare, sino alla fine, pochi ragazzi: non ha mai preteso di amare l’umanità, o lo ha scritto chiaro tante volte. Ricordo un giorno che capitai a Barbiana senza preavviso, verso sera, quand’era già attaccato dal cancro. Lo trovai, come al solito, nella stanza che serviva da scuola. Era steso nel buio su un pagliericcio. Accanto aveva una donna, la vecchia scema del paese, e i ragazzi meno intelligenti. Erano lì tutti in silenzio, con gli occhi fissi su di me, come se stessero assaporando sino in fondo la loro sofferenza, la loro solitudine, la loro sconfitta umana. E lui era uno di loro, non diverso, non migliore: ed era già condannato a morte. Mi vennero i brividi. Capii allora, più che in qualunque altro momento, il prezzo della sua vocazione, l’abisso del suo amore per quelli che aveva scelto e che lo avevano accettato”. Don Bensi morì il 4 aprile 1985, un Giovedì santo.

 

Oggi ci siamo dilungati anche troppo e non siamo riusciti nemeno a dirvi tutto ciò che ci premeva di dire. Ci rifaremo, se lo potremo, domani. Intanto ci congediamo, offrendovi in lettura un brano della Lettera dal carcere di Birmingham” di Martin Luther King, il cui appello alle Chiese ci pare mantenga intatta la sua attualità. È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

C’è stato un tempo in cui la chiesa era molto potente: il tempo in cui i primi cristiani si rallegravano per essere considerati degni di soffrire per quello in cui credevano. Allora la chiesa non era un semplice termometro che misurava le idee e i principi dell’opinione pubblica: era un termostato, che trasformava il costume della società. Quando i primi cristiani entravano in una città, le autorità si allarmavano e subito cercavano di imprigionare i cristiani perché “disturbavano l’ordine pubblico” ed erano “agitatori venuti da fuori”. Ma i cristiani non cedettero, convinti di essere “una colonia del cielo”, chiamati a obbedire a Dio e non agli uomini. Erano un piccolo numero, ma la loro dedizione era grande. Erano troppo inebriati di Dio per cedere a “intimidazioni spaventose”. Con il loro impegno e il loro esempio misero fine a mali antichi, come l’infanticidio e le lotte fra i gladiatori. Oggi la situazione è diversa. Troppo spesso la chiesa di oggi è una voce inefficace, debole, dal suono incerto. Troppo spesso è la prima a difendere lo status quo. Per lo più, la struttura di potere di una comunità non è affatto allarmata dalla presenza della chiesa, anzi è confortata dalla silenziosa – e spesso perfino stentorea – approvazione dello status quo da parte della chiesa stessa. Ma sulla chiesa incombe il giudizio di Dio, come non era mai accaduto prima. Se la chiesa di oggi non recupera lo spirito di sacrificio della comunità ecclesiale dei primi tempi, perderà la sua autenticità, renderà vana la fedeltà di milioni di aderenti, e sarà messa da parte come una associazione qualunque, priva di qualsiasi senso per il XX secolo. Tutti i giorni incontro dei giovani in cui la delusione nei confronti della chiesa si è trasformata in vera e propria avversione. (Martin Luther King, Lettera dal Carcere di Birmingham).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Aprile 2010ultima modifica: 2010-04-04T23:54:00+02:00da fraternidade
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