Giorno per giorno – 28 Marzo 2010

Carissimi,

“Gettati i loro mantelli sull’asinello, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!” (Lc 19, 35-38). Noi, il brano di Vangelo che è stato proclamato stamattina prima della processione delle palme, l’abbiamo meditato ieri con gli amici e le amiche di Fé e Luz. E si è cercato di farlo nella prospettiva degli ultimi. Di cui Gesù è immagine, e per questo immagine anche di Dio.  Del suo Dio. Così diverso dalle immagini che ce ne facciamo noi. Un Dio povero è piuttosto imbarazzante. Montato su un asinello, lo è anche di più. E tuttavia, presi dall’entusiasmo del momento, ci si può anche concedere a gridargli “Osanna! Benedetto il re che viene nel nome del Signore!”. Anche se è solo per finta. Perché, subito dopo, lo tradiremo, ce ne dimenticheremo, lo condanneremo, noi!, a morte. Come si fa, appunto, con i poveri.  Per starcene in compagnia dei potenti.

 

DOMINGO_DE_RAMOS.JPGCon la VI Domenica di Quaresima, o Domenica delle Palme, in cui si ricorda l’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme, montato su un asino, acclamato dalla folla dei discepoli,  la Chiesa entra nella Settimana Santa, durante cui essa fa memoria e celebra il mistero che sta al centro della sua fede: la passione, morte e risurrezione del Signore Gesù.

 

I testi che la liturgia di questa Domenica delle Palme propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.50, 4-7; Salmo 22; Lettera ai Filippensi, cap. 2, 6-11; Vangelo di Luca, cap.22, 14 – 23, 56.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.  

 

I nostri fratelli ebrei ricordano la morte di  Miriam, la profetessa il 10 di Nissan.  Se il calendario gregoriano fosse già esistito allora, il 10 Nissan del 2487 (dalla creazione del mondo, secondo la cronologia ebraica), sarebbe coinciso con il 28 marzo del 1274 a.C. Noi, perciò, scegliamo di celebrarla oggi. 

 

28 MIRIAM CANTO.jpgSorella di Mosè e di Aronne, Miriam (o Maria) era figlia di Amram e di Jochebed. Informazioni a suo riguardo si hanno nella Torah scritta e in quella orale. Il nome Miriam ha due significati che richiamano entrambi il suo carattere: il primo, dalla radice ebraica mar,  è “amarezza”, Miriam, infatti era amareggiata per la situazione di oppressione in cui versava il suo popolo; l’altro, dalla radice meri, è “ribellione”, ed essa seppe da subito combattere contro gli atteggiamenti di soggezione che alienavano la sua gente. Rashi identifica Jochebed e Miriam nelle due levatrici, che (con il nome professionale di Sifra e Pua) rifiutarono di obbedire all’ordine del Faraone di uccidere tutti i maschi che nascessero dalle donne ebree (Es 1, 15-17). Fu Miriam che convinse il padre a recedere dalla decisione di non procreare più, in seguito a quell’ordine del Faraone. Essa infatti gli profetizzò la nascita di un figlio che sarebbe stato il salvatore del suo popolo (Megillah 14 a). Fu dunque, in tal modo, responsabile della nascita di Mosè. Fu sempre lei che si prese cura del bimbo, quando, appena nato fu collocato in una cesta, affidata alla corrente del Nilo. E lei che propose alla figlia del Faraone di darlo a balia a sua madre (Es 2). Dopo il passaggio del Mar Rosso, guidò le donne di Israele nei canti e nelle danze che festeggiarono l’evento (Es 15, 19-21). Successivamente, coinvolta con Aronne in una disputa con Mosè,  fu colpita dalla lebbra (Nm 12, 1-15), da cui guarì per intercessione dello stesso Mosè. Grazie ai suoi meriti, una fonte miracolosa accompagnò gli ebrei nel deserto (Ta’anit 9a). Alla morte di Miriam, il 10 Nissan (Megillat Ta’anit),  la leggenda vuole che la fonte fosse trasferita nei pressi del Mar di Galilea, dove ancora si trova la sua acqua curativa. Nel grande banchetto dei tempi messianici, Miriam danzerà per i giusti.     

 

Oggi, facciamo memoria anche di Giuseppe Barbaglio, teologo e biblista,  e del nostro Pedro Recroix (Pedrão), monaco appassionato di Gesù.

 

28 BARBAGLIO.jpgGiuseppe Barbaglio, nato a Crema nel 1934, è stato un cristiano di quelli che “cercano e ascoltano la Parola di Dio sopra ogni cosa; e la leggono nella Chiesa e per la Chiesa; che servono i fratelli con lo studio, la sapienza e l’amicizia; che vivono il primato dell’amore sempre, con serenità anche nelle prove difficili”, usando le parole di Angelo Bertani (Jesus n.5  maggio 2007). Dopo la laurea in teologia alla Pontificia Università Gregoriana, Barbaglio aveva conseguito la licentia docendi in Scienze Bibliche al Pontificio Istituto Biblico di Roma. Laureato in filosofia all’Università di Urbino, fu professore di Sacra Scrittura al Seminario di Lodi e alla Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, dedicandosi poi soprattutto alla ricerca biblica sull’ambiente del Nuovo Testamento, sulle origini della Chiesa e sul tema del “Gesù storico”. Conferenziere assai ricercato, alieno da ogni cedimento verso autoritarismo e superficialità, diede anche un contributo importante alla riflessione delle realtà ecclesiali di base. Seppe ascoltare e parlare con profonda empatia a persone di diversa estrazione culturale, fede religiosa, visione ideale, rivelandosi “uomo di amore e di libertà”, come lo definì la moglie Carla, presenza importante, assieme ai due figli, nella sua vita di uomo e di studioso. È morto il 28 marzo 2007.

 

28 Pedro Recroix.jpgPierre Recroix era nato in Francia, il 14 novembre 1922, da Xavier e Irene Jackiot, da tempo residenti in Algeria, allora colonia francese. In Algeria, la famiglia visse fino al 1930, quando fece definitivamente ritorno in Francia. Nel giugno del 1944, Pierre entrò come postulante nel monastero benedettino di Madiran, dove fece la sua prima professione monastica il 3 ottobre 1945, e il 18 giugno 1950 fu ordinato sacerdote. Nelle comunità in cui passò, quella di Madiran, che si trasferì nel 1952 a Tournay, e successivamente, in Brasile, a Curitiba (dal 1960) e Goiás (dal 1977, in diaspora, e dal 1983, nel nuovo monastero dell’Annunciazione), Pedro seppe testimoniare la passione e la rigorosa disciplina del lavoro, prima nell’agricoltura e nell’allevamento, poi nell’atelier di scultura, la vita di preghiera, intensa e profonda, la prossimità e la dedizione alla gente. È mancato improvvisamente il  28 marzo 2009.

 

Stamattina, dopo l’Eucaristia, celebrata con Dom Eugenio nella chiesa del Monastero, è stato inaugurato, nei locali dell’antico atelier, lo spazio che riunirà le ultime sculture di Pedro, assieme alle testimonianze della memoria storica della presenza dei benedettini nella nostra città. 

 

Per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandovi ad una citazione, straordinariamente forte, di Giuseppe Barbaglio, tratta da una sua relazione, dal titolo “La speranza nella Bibbia”, tenuta a Verbania Pallanza, il 15 febbraio 1974.  La troviamo in rete, nella pagina degli Incontri di “Fine Settimana” – Percorsi su fede e cultura. Crediamo ci aiuti bene ad entrare nel clima della Settimana Santa ed è, in ogni caso, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La croce dice che non possiamo sperare a basso prezzo, l’unica speranza vera è quella ad alto prezzo, al prezzo della croce; non la si vive entusiasticamente, ma si paga a duro prezzo e la persona deve passare attraverso il dubbio, l’angoscia, l’incertezza. L’unica speranza vera ed autentica è la speranza ad alto prezzo: la speranza di una comunità cristiana (non è solo discorso del singolo ma anche delle comunità) che non si sente una comunità che possiede la verità, la sicurezza, la tranquillità psicologica, la sicurezza dell’onestà, della morale, della fede; la speranza di una comunità cristiana che cerca, attraverso il dubbio, l’angoscia, non sapendo che pesci pigliare in tanti casi. Le speranze del postconcilio, anni 60-68, sono nate all’ombra sul terreno delle speranze entusiastiche. Il risultato delle speranze entusiastiche è sempre la delusione. Noi oggi paghiamo nella Chiesa, per aver voluto sperare a basso prezzo, senza pagare molto di persona. La croce dice che la speranza costa, non esiste nella chiarezza, nella sicurezza e neppure nella tranquillità psicologica. A volte ci confessiamo di avere dei dubbi contro la fede, ma non è peccato averne, semmai sarebbe peccato il non averne o pretendere di non averne. La croce di Cristo ci dice che la speranza cristiana è una speranza debole. Il poeta francese Peguy dice che la speranza è come una bambina che ha bisogno di essere tenuta per mano, è fragile, debole. Il mistero della croce è il mistero della debolezza, della precarietà, della provvisorietà. La croce cristiana annulla una speranza entusiastica e ci presenta, come unica possibilità, una speranza ad altissimo prezzo, difficile, dura, da difendere a denti stretti, contro tutto e contro tutti, non facilitata dall’esperienza, in opposizione all’esperienza, la speranza di chi deve salire la croce. Cristo ha sperato sulla croce, in un momento in cui non poteva sperare più niente. E questo Dio, fonte della nostra speranza, non è capace di amnistiarci, di fronte alla morte, al dubbio, all’angoscia della croce. Intesa la croce di Cristo nel senso più completo: morte e risurrezione, secondo S. Paolo. (Giuseppe Barbaglio, La Speranza nella Bibbia).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Marzo 2010ultima modifica: 2010-03-28T23:41:00+02:00da fraternidade
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