Giorno per giorno – 29 Marzo 2010

Carissimi,

“Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo” (Gv 12, 3). “Betania”, secondo alcuni studiosi, significa “Casa dei poveri”. Ed è lì che Gesù si rifugia, per sottrarsi, fino a quando Lui non avrà deciso sia giunto la sua ora, alla cattura, ormai decisa dalle autorità del Tempio. Come a dire che, dei poveri, Gesù si può fidare. Casa dei poveri, chiesa dei poveri, e l’amicizia di Marta, Maria e Lazzaro, immagine di quanti hanno scelto di fare di essa la loro dimora e che non temono di dare ospitalità al più povero di tutti, fuggitivo, clandestino, ricercato. Lì, in quella casa, si consuma questa liturgia laica dell’unzione, dalla forte risonanza simbolica. Dove ministro è una donna, nell’atteggiamento (che dovrebbe contraddistinguere sempre la chiesa) dell’umiltà e del servizio. È lei ad anticipare simbolicamente la sepoltura di Gesù, dichiarando così quel corpo, morto per troppo amore, il Cristo (l’unto) di Dio, cioè, la sua più vera verità di dono senza ritorno, sino alle estreme conseguenze. L’Iscariote, dal canto suo, non capisce nulla, ed è simbolo di una chiesa attaccata al denaro che sa, al massimo, fare elemosina, ma si nega alla logica della condivisione cui invece rimanda la citazione che Gesù fa del Deuteronomio: “I poveri non mancheranno mai nel paese; perciò io ti dò questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese” (Dt 15, 11). Il nardo prezioso il cui profumo si spande per tutta la casa è infinitamente più che un gesto occasionale, è l’offerta di tutto noi stessi, di ciò che abbiamo e che siamo, in cambio della perla preziosa che abbiamo scoperto: Gesù, il suo Regno nel mondo, le relazioni nuove di dono reciproco, di riconciliazione e di perdono che Egli è venuto ad instaurare.        

 

La sera di oggi che segna il passaggio dal 14 al 15 di Nissan, primo plenilunio di primavera nell’emisfero nord, i nostri fratelli ebrei celebrano il loro Sèder (letteralmente “Ordine”), la cena pasquale, entrando così nei sette giorni (otto nelle comunità della diaspora) della festa di Pèsach. Originariamente festa agricola e pastorale, venne nel tempo a significare, commemorare, celebrare e attualizzare l’evento la liberazione del popolo ebreo dalla schiavitù d’Egitto. Nel corso della cena pasquale si usa mangiare pane azzimo e erbe amare per ricordare i dolori sofferti dagli ebrei durante la loro schiavitù. Durante essa si dà lettura dell’Aggadah. Nel Sabato di Pèsach in sinagoga viene letto il Cantico dei Cantici, in cui risuonano le parole dello sposo alla sua amata: “Alzati, amica mia, vieni, mia bella, mettiti in cammino. Ecco l’inverno [della schiavitù] è passato”.  A Pasqua “tutto quello che avvenne in Egitto si rinnova e risorge. E questo affretta l’ultima redenzione” (Moshe Caim Luzzato)..

 

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Hans Nielsen Hauge, predicatore laico e riformatore sociale.

 

29 HANS NIELSEN HAUGE.jpgHans Nielsen Hauge era nato, quartogenito in una famiglia di dieci figli, il 3 aprile 1771, nella fattoria della sua famiglia a Tune, nei pressi di Sarpsborg, nella contea di Østfold (Norvegia). Al pari di molti suoi coetanei, visse una giovinezza povera e comune, fino al 5 aprile 1796, quando ricevette il suo “battesimo nello spirito”, mentre lavorava nel campo paterno. Come in un lampo ebbe la chiara visione della sua salvezza e della chiamata ad annunciare questa sicurezza ad altri. Cominciò così a viaggiare attraverso la Norvegia e la Danimarca, predicando ovunque la “fede viva”  e l’impegno personale nei confronti del Signore, capace di trasformare la vita del credente. Per sua sfortuna, la legge norvegese proibiva all’epoca raduni religiosi che non avvenissero sotto la supervisione di pastori ordinati. Molte autorità, sia ecclesiastiche che statali, per paura degli esiti imprevedibili di un movimento guidato da un contadino ignorante, decisero di fermarlo prima che potesse far danni. Dopo essere stato arrestato e rilasciato più volte, Hauge venne incarcerato nel 1804 e venne rimesso in libertà solo nel 1809, quando fu inviato a lavorare in un progetto di estrazione di sale dall’oceano, ma poi fu nuovamente imprigionato. Nel 1811 gli fu permesso di tornare alla sua fattoria, ma, dato che il lupo perde il pelo ma non il vizio, nel 1813 fu incarcerato ancora una volta per lo stesso reato: predicare la parola di Dio. Rimesso in libertà, nel 1815 sposò Andrea Andersdatter, che morì in occasione del primo parto. Sposatosi nuovamente, nel 1817, con Ingeborg Marie Olsdatter, ebbe da lei  quattro figli, di cui tre morirono ancora bambini. In questo perido si guadagnò la stima, l’amicizia e il sostegno di numerosi vescovi. Ma un po’ tardi per lui. Indebolito nella salute e nello spirito, si ammalò e morì il 29 marzo 1824. Per sorprendente che possa sembrare, il movimento avviato da Hauge contribuì fortemente alla formazione del sindacalismo in Norvegia. Il fatto, poi,  che la sua predicazione sia avvenuta durante gli anni in cui molti norvegesi emigravano per gli Stati Uniti, spiega la notevole influenza che il movimento di Hauge esercitò sul luteranesimo in America.

 

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.42,1-7; Salmo 27; Vangelo di Giovanni, cap.12,1-11.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del sangha buddhista.

 

L’amico Franco ci aveva scritto solo tre giorni fa in merito alle elezioni: “Spero che i cattolici questa volta aprano gli occhi e il cuore”. Noi gli si è risposto giusto stasera: “No, non hanno aperto né gli occhi, né il cuore, forse più gli altri che loro, almeno così ci pare. Bisognerà analizzare le ragioni di questa ennesima sconfitta. Ma è ovvio che le colpe non sono sempre e tutte degli altri. Anche se il monopolio dell’informazione non scritta (o, meglio, della non-informazione) in mano a “lui” ha certo un peso determinante. D’altra parte Berlusconi non garantirà la cura del cancro o la felicità, ma vi dà pur sempre il Grande Fratello, le telenovelas, Amici, il calcio (come avviene, del resto, è qui il tragico, nel resto del mondo), e, in più, i suoi esilaranti show (ultimo il baciamano al suo omologo libico), e, dicci, chi ci potrebbe più rinunciare? Ricevi l’espressione della nostra personale costernazione assieme agli auguri che ancora ti riesca di formulare”. È il massimo che ci è riuscito di dire.

 

Bene, si è accennato più sopra alla Cena pasquale degli ebrei e noi scegliamo di chiudere con quanto scrive su di essa Franz Rosenzweig nel suo libro “La Stella della Redenzione” (Marietti). Si possa essere, presto redenti, anche noi (e voi) da ogni forma di schiavitù. È questo, per oggi, il nostro 

 

PENSIERO DEL GIORNO

La cena a cui in tale festa il padrone di casa riunisce i suoi è senz’ombra di dubbio tra i molti pasti dell’anno liturgico il pasto per antonomasia; è l’unico pasto che dall’inizio alla fine rappresenti un’azione liturgica e che quindi è regolato dall’inizio alla fine mediante un cerimoniale liturgico (che noi in realtà chiamiamo “ordine”). La parola libertà splende su di esso fin dall’inizio. La libertà del pasto, nel quale tutti sono ugualmente liberi, si mostra in ciò che, insieme ad altro, “rende questa notte diversa da tutte le altre”: lo stare seduti “appena appoggiati”; ed ancora più vivamente che in questo ricordo dell’antico stare a tavola degli ospiti al simposio, essa si mostra nel fatto che proprio il figlio più giovane prende la parola e che il discorso conviviale del padrone di casa si dimensiona su di lui  e sul suo grado di maturità. Questo è il segno della convivialità libera ed autentica, in contrapposizione ad ogni lezione, che è sempre costituita autoritariamente e mai solidalmente: proprio colui che, rispetto agli altri, si trova ancora più vicino al margine della cerchia sociale determina la regola per il livello della conversazione; è lui che deve essere introdotto e nessuno che sia fisicamente presente può rimanere escluso spiritualmente; la libertà del gruppo solidale è sempre la libertà di tutti quanti vi fanno parte. Così questo pasto diventa un segno della chiamata del popolo alla libertà. Che questa chiamata sia solo inizio, sia solo la creazione del popolo, lo si vede di nuovo nell’altro aspetto di questa entrata in scena del figlio più giovane; proprio per il fatto che soltanto il più giovane giunge ad avere diritto di parola, tutto quanto assume la forma della lezione; il capofamiglia parla, la casa ascolta e solo nel corso della serata acquisisce una sempre maggior autonomia comunitaria finché nei canti di lode e nei canti conviviali della seconda parte, oscillanti tra il mistero divino e lo scherzo ispirato dal vino, tutto l’ordine che nella stessa compagnia conviviale rimaneva ancora autoritario si è dissolto completamente nella partecipazione comunitaria. (Franz Rosenzweig, La Stella della Redenzione).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Marzo 2010ultima modifica: 2010-03-29T23:32:00+02:00da fraternidade
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