Giorno per giorno – 27 Marzo 2010

Carissimi,

“Uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera. Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo” (Gv 11, 49-53). I diversi segni che Gesù ha posto in essere nel corso del suo ministero pubblico, ma soprattutto l’ultimo, la risurrezione di Lazzaro, portano, paradossalmente, alla decisione della sua soppressione violenta. La preoccupazione delle autorità religiose è reale: “Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione” (Gv 11, 47-48). Inevitabile che il potere si senta minacciato. Se i “segni” di Gesù – la preoccupazione nei confronti dei poveri, la loro salute, la loro fame, la loro vita e dignità, persino per la loro allegria –  prendono piede e mutano la mentalità della gente, il potere comincerà a vacillare e sarà portato a reagire con durezza anche contro l’istituzione religiosa se questa cesserà di appoggiarlo.  Meglio lasciar morire Gesù (cioè il significato di Dio che egli rivela) piuttosto che perdere i nostri privilegi. Oggi, per una tragica possibilità che è data a tutti, anche noi possiamo essere Caifa, e decidere di mettere a morte con Gesù il sogno di una civiltà “altra”, che non rappresenti solo il privilegio di pochi e la disgrazia dei più, ma vita piena e abbondante per tutti i figli e figlie di Dio. Ora, la nostra Chiesa, sarà davvero di Cristo, solo se sceglierà di mettere a repentaglio tutti gli onori e i benefici di cui gode e persino la sua stessa sopravvivenza, pur di condividere, fino in fondo, il destino dei poveri del mondo, lottando strenuamente con essi perché sia loro restituito quanto gli è stato e gli è continuamente tolto. Il suo morire sarà a immagine del morire di Gesù, per favorire la riunione di tutti i figli di Dio ovunque dispersi, quale ne sia la razza, l’etnia, la cultura, la religione. Foriero perciò di risurrezione e dell’accadere del Regno.   

 

Oggi facciamo memoria di Meister Johann Eckhart, teologo e mistico.

 

Johann Eckhart era nato intorno al 1260 a Hochheim, nei pressi di Gotha (che qualche secolo dopo avrebbe dato il nome ad un programma del partito operaio tedesco e, più conosciuta ancora, alla critica che ne fu fatta). Entrato quindicenne nell’ordine domenicano, Eckhart vi compì i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1298 fu nominato priore del convento di Erfurt e vicario provinciale di Turingia. Conseguito, nel 1302, il dottorato in Teologia, all’università di Parigi, l’anno successivo fu eletto provinciale della recentemente istituita provincia di Sassonia e, nel 1307, vicario provinciale di Boemia. Nel 1311 lo troviamo nuovamente a Parigi a insegnarvi teologia; poi, dopo il 1314,  professore e predicatore a Strasburgo, Francoforte, e Colonia. In quest’ultima città giunse nel 1320, e lì rimase fino alla morte. La teologia di Eckhart si basava sul principio dell’ unione mistica dell’anima con Dio. Alcune formulazioni tuttavia parvero all’arcivescovo di Colonia suscettibili di una lettura panteista, tanto che Eckhart fu denunciato come eretico. Il domenicano si difese, affermando: “Io posso certo sbagliare, ma non sono eretico. Il primo caso infatti ha a che vedere con la mente, il secondo con la volontà”. Comunque, per amore di pace, non esitò a ritrattare 26 proposizioni. Quando il 27 marzo 1329 il papa avignonese Giovanni XXII ne identificò e condannò 28, nella sua bolla In agro Domini, Meister Eckhart se ne stava già dove il Mistero non è più tale. O, almeno lo è, presumibilmente, di meno. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Ezechiele, cap.37, 21-28; Salmo (Ger 31, 10-13); Vangelo di Giovanni, cap.11, 45-56.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Nella veglia di questo sabato sera, abbiamo pregato così per la famiglia del nostro amico Luigi di Milano, che si è spento nel primo pomeriggio di oggi: “Signore, tu sai che l’alcool e la droga (indipendentemente dalle loro motivazioni immediate), sono il più delle volte forme estreme di una protesta contro una vita che non è [più] quella che tutti si portano dentro, come sogno-promessa-benedizione. Sono un grido a suo modo profetico della malattia del nostro vivere. È, allora, il tuo stesso Spirito che grida dentro il suo “No! C’è qualcosa di sbagliato. Non è così che deve essere!”. Di te, Signore, è scritto che vedi la sofferenza degli oppressi, ne ascolti il grido e scendi a liberarli. Qualche volta ti riesce di farlo, trasformando la storia del mondo e delle persone. Qualche volta non ce la fai e puoi solo raccoglierli nel tuo abbraccio quando la morte ne falcia l’esistenza. Ora che hai accolto il tuo figlio Luigi con te, per sempre, guarda alla sua famiglia, a sua sorella, soprattutto, che ha fatto quanto ha potuto. Fai scendere su di lei il suo e il tuo grazie come Grazia e consolazione. Amen”. 

 

Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad un brano di  Meister Johann Eckhart, tratto dalle sue “Istruzioni spirituali”, che potete trovare nel volumetto dal titolo “Dell’uomo nobile” (Adelphi). E che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Come mai spesso Dio permette che uomini buoni, veramente buoni, siano sovente impediti nelle loro buone opere. Il fedele Dio permette che i suoi amici cedano spesso alla propria debolezza, affinché venga loro a mancare qualsiasi sostegno cui potersi volgere o appoggiare. Per una persona che ama sarebbe infatti grande gioia riuscire a fare grandi cose: veglie, digiuni, e altri esercizi, e compiere imprese particolari, grandi e difficili; persone così trovano in ciò grande gioia, sostegno, speranza, in maniera che le loro opere sono un appoggio, un sostegno, una ragione di fiducia. Nostro Signore vuole privarle di ciò per essere il loro unico sostegno, la loro unica ragione di fiducia. Dio fa questo per pura bontà e misericordia: niente altro, infatti, che la sua pura bontà lo determina ad operare. Le nostre opere non servono in alcun modo a che Dio ci dia o compia qualcosa per noi. Nostro Signore vuole che i suoi amici si distacchino da ciò, e per questo toglie loro ogni sostegno: per essere il loro unico sostegno. Dio vuol dare loro molto, e lo vuole nella sua libera bontà; lui solo deve essere loro appoggio e loro consolazione: perciò essi devono stimarsi un puro nulla in mezzo ai grandi doni di Dio. Infatti, più è spogliato e nudo lo spirito che si rivolge a Dio ed è sorretto da lui stesso, più l’uomo è profondamente fissato in Dio, e più è capace di ricevere i suoi preziosissimi doni. L’uomo, infatti, deve costruire unicamente su Dio. (Meister Johann Eckhart, Istruzioni spirituali, n. 19).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Marzo 2010ultima modifica: 2010-03-27T23:41:00+01:00da fraternidade
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