Carissimi,
“Si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: Qual è il primo di tutti i comandamenti? Gesù rispose: Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi” (Mc 12, 28-31). E una volta tanto anche lo scriba (cioè l’uomo religioso che più o meno tutti ci portiamo dentro) non può che trovarsi d’accordo con Gesù. E glielo fa sapere. E Gesù, tutto contento, ci fa: “Non sei lontano dal regno di Dio” (v.34). Ed è lo stesso concetto di quando Lui diceva: il Regno di Dio è vicino. Per esserci dentro, non soltanto vicino, bisogna fare un passo in più: amare il prossimo non solo come noi stessi, ma amarlo come Gesù ha amato noi. Perdutamente. Nel senso di essere disposti a perdersi. Cioè, amarlo più di noi stessi. Che poi è l’unica maniera vera di amare Dio. Con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutta la forza. Così, quando Gesù chiederà a Pietro: Simone, tu mi ami?, e quello gli avrà risposto: certo, Signore!, Lui gli replicherà: pasci le mie pecorelle. Cioè, prenditi cura delle mie creature. Fino a dare la vita per esse. E Pietro, alla fine, c’è riuscito. Perché non ci si dovrebbe riuscire anche noi?
Tre sono le nostre memorie di oggi: Massimiliano, martire a Teveste, Simeone il Nuovo Teologo, mistico, e Rutilio Grande, martire in El Salvador.
Il giovane cristiano Massimiliano era figlio di un esattore militare, Fabio Vittore, di stanza a Cesarea, alla fine del III secolo. Secondo le leggi del tempo, egli era tenuto a seguire la professione del padre, ma, benché dichiarato idoneo a compiere il servizio militare, si rifiutò in nome della sua fede. Il 12 marzo 295 fu chiamato in giudizio davanti al proconsole Dione per essere interrogato circa le ragioni del suo rifiuto. Si limitò a dichiarare: “Sono cristiano: non mi è lecito fare il soldato”. Quando Dione gli ricordò che numerosi erano i soldati cristiani al servizio degli imperatori Diocleziano e Massimiano e dei cesari Costanzo e Massimo, Massimiliano rispose semplicemente: “Essi sapranno che cosa convenga loro. Io però sono cristiano e non posso comportarmi male”. Fu condannato alla pena di morte per decapitazione. Ascoltata la sentenza, il giovane disse: “Grazie a Dio” e chiese al padre di donare al suo carnefice la veste nuova che egli gli aveva preparato per il servizio militare. Aveva ventun’anni, tre mesi e diciotto giorni. Il resoconto dell’interrogatorio e della esecuzione del giovane martire, redatto poco dopo gli avvenimenti descritti, è pervenuto fino a noi negli Acta Maximiliani.
Simeone era nato a Galate, in Asia Minore, nel 949. Inviato a Costantinopoli, per compiervi gli studi, visse al palazzo imperiale fino a vent’anni, quando decise di lasciare tutto per entrare in monastero, dove ebbe come padre spirituale Simone il Pio. Nel 977 divenne sacerdote e in seguito igumeno del monastero di san Mama. Si diede da fare per riportare i monaci al primitivo fervore, ma tutto ciò che ottenne fu che essi si ribellarono e lo costrinsero a dimettersi. Malvisto anche dall’altro clero per la sua radicalità e per il suo zelo (sosteneva tra l’altro che i veri mistici possono guidare le coscienze e amministrare i sacramenti pur non essendo sacerdoti), fu esiliato sulla riva asiatica del Bosforo. Richiamato a corte, sulla spinta del favore popolare, preferì ritirarsi con vecchi e nuovi discepoli nel monastero di santa Marina, dedicandosi alla loro guida fino alla morte attraverso scritti spirituali e liturgici di grandissimo valore. Morì, come aveva predetto, 12 marzo 1022. Fu chiamato il Nuovo Teologo perché considerato un rinnovatore della vita mistica.
Rutilio Grande era nato nel 1928 in una povera famiglia nella cittadina di El Paisnal in Salvador. Entrato diciassettenne nella Compagnia di Gesù, fu ordinato sacerdote nel 1959. Nella metà degli anni sessanta, sull’onda della svolta conciliare della Chiesa, padre Grande maturò una nuova comprensione della sua vocazione: quella che era la ricerca della perfezione personale divenne l’esigenza della dedizione e del sacrificio di sé per il bene degli altri. Tornato nel 1965 da uno stage di studi all’estero, fu destinato al seminario di san Salvador come direttore dei progetti di azione sociale. Per nove anni educò i seminaristi alla convivenza con i poveri e alla condivisione delle loro lotte e delle loro attese, testimoniando così una chiesa che custodisce e ridesta negli oppressi il senso della loro dignità e dei loro diritti come figli di Dio. Lasciato l´incarico in seminario, assunse la cura pastorale di Aguilares, una cittadina vicino al suo paese natale, dove fu sua cura insegnare a leggere la realtà alla luce della Parola di Dio. Il 13 febbraio 1977, durante una sua predica, aveva detto: “Sono convinto che presto la Bibbia e il Vangelo non potranno più attraversare i nostri confini. Ci lasceranno solo le copertine, perché ogni loro pagina è sovversiva. E credo che lo stesso Gesù, se volesse attraversare il confine di Chalatenango, non lo lascerebbero entrare. Accuserebbero l’Uomo-Dio, il prototipo dell’uomo, di essere un sobillatore, uno straniero ebreo, che confonde il popolo con idee strane ed esotiche contro la democrazia, cioè contro la minoranza dei ricchi, il clan dei Caini. Fratelli, senza dubbio, lo inchioderebbero nuovamente alla croce. E Dio mi proibisce di essere anch’io uno dei crocifissori”. Erano parole pericolose e non passarono ignorate. Il 12 marzo 1977, mentre si recava a celebrare l’Eucaristia, spararono a lui e ad altri due contadini che l’accompagnavano: Manuel Solórzano, di settantanni, e Nelson Rutilio Lemus, di sedici. Monsignor Romero ricorderà che il martirio di padre Rutilio segnò la sua “conversione” alla causa del popolo salvadoregno.
I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Osea, cap.14,2-10; Salmo 81; Vangelo di Marco, cap.12, 28-34.
La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.
È tutto per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di un inno di Simeone il Nuovo Teologo, che ci parla anche lui delle condizioni di accedere al regno. È, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Ascolta le parole del Maestro, ascolta le parole della Parola, in che modo egli mostri che gli uomini ricevono il regno dei cieli fin da quaggiù. Egli dice: Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose (Mt 13,45) È proprio a te che consiglia di scoprire la perla e dopo averla valutata inestimabile, vendere tutto e comprarla. Ti invito ad ascoltare con intelligenza. Se tu possedessi il mondo intero e tutto quello che il mondo contiene e se, prodigando i tuoi beni, tu li distribuissi agli orfani, alle vedove, ai mendicanti privi di ogni risorsa, e diventassi tu stesso mendicante, ebbene: qualora tu stimassi anche solo un pochino che quello che hai pagato ha lo stesso valore, tanto da dire: Dammi la perla, perché ho dato via tutto quello che ho, immediatamente sentiresti il Maestro risponderti: Che è mai “tutto quello che ho” di cui parli? Sei uscito nudo dal ventre di tua madre e nudo entrerai nella tomba. Quali sono questi beni che pretendi? Non riceverai la perla, non avrai parte al Regno. Invece, se hai dato via tutto, tutto quello che era tuo, oppure se ti sei reso completamente povero, e se vieni avanti, dicendo: Guarda, Signore, ora ho anima e cuore spezzati, rudemente umiliati, violentemente consumati. Maestro, guarda la mia nudità, osserva come sono indigente, lontano da ogni virtù, povero oltre ogni dire, senza nulla per acquistare te, il Verbo. Abbi pietà di me, o tu, il Solo, tu, mio Dio, che sopporti i malvagi. Che donò la peccatrice? Che presentò il ladrone? E il prodigo, o Cristo, che ricchezza ti portò? Parla così e udrai dirti: Sì, mi offrivano doni, sì mi offrivano una ricchezza: dopo avermi dato quello che avevano, ricevettero la perla che vale più del mondo intero. Anche tu, se la desideri, offrimi quei medesimi doni e certamente la riceverai. (Simeone il Nuovo Teologo, Inno XVII).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.