Giorno per giorno – 02 Marzo 2010

Carissimi,

“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23, 2-4). È troppo comodo confinare “scribi e farisei” nel tempo di Gesù, riservando così solo a loro la pesante censura contenuta in queste parole. Come lo è, del resto, disponendoci ad attualizzare la parola del Vangelo, l’identificarli tout-court con le gerarchie religiose, e l’antica legge, magari, con il Diritto canonico. Circa il quale,  ricordiamo ancora lo sbigottimento che prese uno dei nostri, anni fa, udendo niente meno che un vescovo, ora buonanima, professore di tanta materia, affermare con aliquale sicumera, che dal Diritto canonico dipende la salvezza dell’anima. Salvo correggersi, davanti allo sguardo incredulo e all’inarcare del sopraciglio del probabilmente unico allievo che lo seguiva attento, ripiegando su una più rassicurante (ma neanche tanto) asserzione, che, insomma esso aveva in qualche modo a che vedere con la salvezza. E, forse è pure vero, perché, la disperazione cui può talvolta indurre, porta più facilmente a volgersi a Gesù, che dice: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi […] Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11, 28-30). Beh, questo non basta. Perché in causa non ci sono solo scribi e farisei del tempo, o la gerarchia religiosa di oggi, né solo il Diritto canonico. In causa ci siamo noi, e non sempre e solo gli altri. Ci sono le nostre incoerenze e i pesi che noi imponiamo sugli altri. O, leggendo il Vangelo più avanti, le gratificazioni che cerchiamo e certo esibizionismo religioso, anche solo con noi stessi. È a noi che Lui dice: “Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato” (Mt 23, 12). Come doveva aver imparato da quella canzoncina che era solita canticchiare sua madre.   

 

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di William Stringfellow, testimone appassionato della Parola, e di Engelmar Unzeitig, martire dell’idolatria nazista.

 

 

02 WILLIAM STRINGFELLOW bis.jpgWilliam Stringfellow nacque il 26 aprile 1928 in una famiglia operaia, a Northampton, in Massachusetts. Nonostante le modeste condizioni economiche della famiglia, lavorando e studiando, il giovane William arrivò a frequentare la London School of Economics, prima e l’Harvard Law School, poi. Da qui avrebbe potuto spiccare il volo per una carriera di successo. Scelse invece di vivere ad Harlem,  tra negri e ispanici, i ceti più emarginati della metropoli. Si trasferì in un appartamento di 28 metri quadrati, con quattro vecchie suppellettili fuori uso, ma abitato in compenso da migliaia di scarafaggi. Confesserà in seguito: “Mi ricordai che è in posti così che la maggior parte della gente vive, in gran parte del mondo, per la maggior parte del tempo. Ero dunque a casa”. Stringfellow apparteneva alla Chiesa Episcopaliana degli Stati Uniti. Ma la sua non fu una convivenza tranquilla. La sua passione unica per la Parola, la  scelta dei poveri, la lotta al razzismo e al sessismo, la critica del clericalismo e la valorizzazione della vocazione laicale nella Chiesa, la denuncia del fondamentalismo, ma anche della superficialità di certa teologia, propensa a leggere americanamente la Bibbia, piuttosto che di comprendere biblicamente l’America, e, non per ultimo, la contestazione della guerra del Vietnam, finirono per alienargli il favore della gerarchia e isolarlo. Ammalatosi di diabete, alla fine degli anni 60, si era nel frattempo ritirato a vivere a Block Island, in una casa che volle chiamare Eschaton. Negli studi che pubblicò in seguito, continuò ad approfondire il tema della svolta costantiniana e delle conseguenze nefaste che essa comportò per la chiesa, adeguando la cristianità ai valori dell’impero e facendone uno strumento per la preservazione dello status quo. Morì il 2 marzo 1985.

 

02 Engelmar Unzeitig.jpgEngelmar Unzeitig  era nato in Cecoslovacchia, in un distretto di lingua tedesca, il 1° marzo 1911. Entrato in seminario della congregazione missionaria di Marianhill, fu ordinato prete 1l 15 agosto 1939, solo due settimane prima dello scoppio della 2ª Guerra Mondiale.  Di fronte al potere turpe che si era insediato nel cuore dell’Europa,  il nostro avrebbe potuto scegliere di starsene tranquillo, fingendo di non vederne le nefandezze, o addirittura diventarne strumento e prestargli i suoi servigi, o, infine, dire il suo “no” alto e forte e agire di conseguenza. Fu questo che Unzeitig scelse. Sicché non durò molto in libertà e, nel giugno del 1941 fu spedito a Dachau, sotto l’accusa di aver usato nelle sue prediche  “espressioni tendenziose” e, soprattutto, di aver difeso gli ebrei. A Dachau, nel corso della guerra, confluirono circa duecentomila prigionieri provenienti da una quarantina di paesi. Più o meno tremila di costoro, alloggiati in baracche separate, erano ministri di diverse confessioni; tre quarti di essi erano preti cattolici. Fu definito il “più grande monastero del mondo” e si trasformò, nonostante le drammatiche condizioni di vita che lo caratterizzavano,  in uno straordinario spazio di dialogo ecumenico, in cui preti cattolici e pastori evangelici insieme pregavano, componevano inni e celebravano il memoriale del Signore, offrendo come potevano il loro servizio pastorale ai compagni di prigionia.  Padre Engelmar si dedicò soprattutto ai prigionieri russi, dei quali, pur essendo in maggioranza comunisti, si guadagnò presto la stima e l’amicizia.   All’inizio del 1945, scoppiò nel campo di concentramento un’epidemia di tifo. Gli infettati venivano confinati in speciali baracche e abbandonati a loro stessi. Fu avanzata una richiesta di volontari che se ne prendessero cura. Si offrirono venti preti, tra cui padre Unzeitig. Il lavoro era estenuante e senza sosta: lavare i corpi febbricitanti, cercare di alimentarli, ripulire i giacigli, ma anche, ascoltarne le confessioni, offrire gli estremi conforti, benedire i morti. In capo a poche settimane anche padre Engelmar fu infettato, ma, nonostante la febbre violenta, continuò sino alla fine a servire i suoi compagni. Morì il 2 marzo 1945, il giorno dopo del suo compleanno, poche settimane prima della liberazione del campo da parte delle truppe americane.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap. 1,10.16-20; Salmo 50; Vangelo di Matteo, cap. 23,1-12.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

“L’ascolto è un originario atto d’amore, in cui una persona si affida alla parola di un altro, rendendosi accessibile e vulnerabile a quella parola”. Lo diceva William Stringfellow e questo vale anche per noi nei confronti della Parola di Dio, e chissà, non vorremmo sembrare blasfemi, forse pure per Dio, nei nostri confronti. Lui accessibile e vulnerabile! Di Strigfellow vi offriamo un’altra citazione che troviamo in un articolo di Harold B. Confer dal titolo Expectant Listening” nel sito Quakerinfo.com . È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Ci si deve avvicinare alla Bibbia con realismo – invece che con superstizione – riconoscendo che l’accesso a quella stessa Parola di Dio che la Bibbia rivela ci è dato nella versatilità della presenza della Parola di Dio nella storia comune: nell’evento di Gesù Cristo, nell’incessante fermento dello Spirito Santo, nello statuto della stessa creazione (cf Gv 1, 1-14). Nella misura in cui riusciamo a fare questo, l’ascolto accade. Allora la Parola di Dio nella Bibbia può essere udita in tutta l’integrità, la potenza e la grazia della Parola. (William Stringfellow).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Marzo 2010ultima modifica: 2010-03-02T23:59:00+01:00da fraternidade
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