Giorno per giorno – 03 Marzo 2010

Carissimi,

“Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà” (Mt 20, 17-19). Ed è proprio quando Gesù finisce di dire queste cose che Giacomo e Giovanni, secondo il racconto di Marco (cf Mc 10,35), si fanno avanti e gli dicono: sai, nel tuo governo, ci piacerebbe avere i primi posti. Matteo, che scrive per una comunità di giudeo-cristiani, per non fargli fare una figura troppo magra, farà intervenire a loro nome la madre (Mt 20, 20). Senza per altro crederci troppo, tanto è vero che, nel seguito del racconto, Gesù si rivolge direttamente ai due fratelli, dicendo loro:”Voi non sapete quello che chiedete”. In ogni caso, questo basta per farci capire quanto fossero lontani i discepoli dall’aver capito chi fosse e cosa volesse Gesù. Quasi quanto noi. Noi stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, dov’eravamo un buon numero di persone, ci siamo chiesti quand’è che noi condanniamo a morte Gesù e lo consegniamo ai pagani, perché venga deriso e flagellato e crocifisso. La stampa di molti Paesi, anche quella del vostro, anche quella di questi giorni, è piena di scandali (“ostacoli” di varia natura alla fede dei piccoli), che hanno per protagonisti cristiani della prima e dell’ultima ora, oltre che preti e monsignori, o gentiluomini delle somme gerarchie (le quali se, imitando il buon Gesù, bazzicassero meno industriali, banchieri e finanzieri e i loro padrini politici, eviterebbero di trovarsi impegolate in episodi, diciamo così, poco edificanti), ma il problema non è loro, a cui del Vangelo può darsi che importi meno che nulla, il problema è nostro. Non è la loro incoerenza che ci deve preoccupare, ma la nostra, nelle piccole cose. Cosa abbiamo fatto della nostra sequela di Gesù? Del suo significato nella nostra vita? Non è che, sotto sotto, è proprio la nostra religione che lo condanna ogni volta di nuovo a morte? Una religione accomodante che riesce, apparentemente, a far convivere tutto – Dio e mammona -, ma, in realtà, eliminando Dio? Così che il mondo, certo mondo, se la ride di noi (e sarebbe il meno), e non riesce a prendere più sul serio neppure Lui e la sua proposta. Che è la vita del mondo, dell’umanità, di tutti.          

 

Il calendario ci porta oggi la memoria di Marino di  Cesarea, martire. La sua vicenda ci è narrata dallo storico Eusebio.

 

Marino era soldato cristiano a Cesarea, in Palestina, alla fine del 3° secolo. Resosi vacante un posto di centurione, gli fu notificata la promozione ed egli era solo in attesa della cerimonia di investitura. Un collega, tuttavia, che ambiva a quell’incarico, lo denunciò al tribunale, perché, come cristiano, non aveva sacrificato all’imperatore (oggi si direbbe: aveva rifiutato di giurare fedeltà alla patria). Il giudice lo convocò e gli chiese quale fosse la sua religione. Il soldato rispose: “Sono cristiano”. Allora il giudice gli diede tre ore di tempo per riflettere e decidere quale fosse la sua identità: se soldato o cristiano. Dato che non era possibile essere contemporaneamente soldato e cristiano.  Uscito dal tribunale, Marino incontrò il vescovo Teotecno e gli chiese: “Che debbo fare?”.  Il vescovo lo prese per mano, lo portò in chiesa, poi, mostrandogli la spada che portava al fianco e il Vangelo collocato sull’altare, gli disse: “Tocca a te scegliere”. Marino senza esitazione scelse il Vangelo. “Sii dunque di Dio, gli disse allora Teotecno,  sii con Dio e, forte nella grazia, consegui ciò che hai scelto. Va’ in pace!”. (Questa dovrebbe essere la funzione dei cappellani [presso i] militari!). Marino tornò in tribunale e, davanti al giudice,  proclamò la sua fede “con coraggio ancora più grande”. Questo bastò perché fosse pronunciata, immediatamente, la condanna alla pena capitale e, subito dopo, eseguita la sentenza. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da :

Profezia di Geremia, cap.18, 18-20; Salmo 31; Vangelo di Matteo, cap.20, 17-28.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con  quanti ricercano la Verità del mondo e l’Assoluto della loro vita, lungo i sentieri dell’impegno per la pace, la giustizia e la fraternità tra popoli e individui.

 

È tutto anche per stasera. Noi ci si congeda, lasciandovi alla lettura di un brano di don Primo Mazzolari, tratto dal suo “Tu non uccidere” (Edizioni Paoline), un comandamento a cui Marino di Cesarea ha obbedito fino a lasciarci la vita. È questo, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La nonviolenza non va confusa con la non-resistenza. Nonviolenza è come dire: “no” alla violenza. È un rifiuto attivo del male, non un’accettazione passiva. La pigrizia, l’indifferenza, la neutralità non trovano posto nella nonviolenza, dato che alla violenza non dicono né si né no. La nonviolenza si manifesta nell’impegnarsi a fondo. La nonviolenza può dire con Gesì: “Non sono venuto a portare la pace ma la spada”. Ogni violento presume di essere coraggioso, ma la maggior parte dei violenti sono dei vili. Il nonviolento, invece, nel suo rifiuto a difendersi è sempre un coraggioso. Lo scaltro, che adula il tiranno per trarne profitto e protezione, o per tendergli una trappola, non rifiuta la violenza bensì gioca con essa al più furbo. La scaltrezza è violenza, doppiata di vigliaccheria ed imbottita di tradimento. La nonviolenza è al polo opposto della scaltrezza: è un atto di fiducia dell’uomo e di fede in Dio, è una testimonianza resa alla verità fino alla conversione del nemico. […] Spesso, più che al male, ci si oppone agli uomini che fanno il male, i quali sono degli infelici ancor prima di essere dei colpevoli. Il nonviolento rifiuta di portarsi sul piano del violento, costringendo piuttosto questi a salire sul suo e a combattere con la forza l’idea. La rotta del realismo politico incomincia quando il violento è obbligato a scoprirsi qual è, ed è allora che si butta massicciamente e da persecutore contro lo spirito. Tale comportamento fa cadere la maschera idealistica dell’egoismo, che è il vero movente di ogni violenza. Una volta caduta la maschera, la vittoria dello spirito albeggia, sia pure lontana. La nonviolenza è la cosa più nuova e la più antica; la più tradizionale e la più sovversiva; la più santa e la più umile; la più sottile e difficile e la più semplice, la più dolce e la più esigente; la più audace e la più savia, la più profonda e la più ingenua. Concilia i contrari nel principio; e perciò riconcilia gli uomini nella pratica. (Primo Mazzolari, Tu non uccidere).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Marzo 2010ultima modifica: 2010-03-03T23:53:00+01:00da fraternidade
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