Giorno per giorno – 28 Febbraio 2010

Carissimi,

“Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme” (Lc 9, 28-31). Questo Vangelo della trasfigurazione, noi lo si è meditato ieri pomeriggio con gli amici e amiche di Fé e Luz  e, poi, nella tarda mattinata di oggi con i ragazzi della chácara di recupero, alla chiusura del loro ritiro con padre Haroldo. E, in relazione all’esperienza degli uni e degli altri, sono due gli aspetti del racconto lucano che ci hanno colpito di più, uno che si riferisce a Gesù, l’altro ai discepoli. L’esodo di Gesù “che stava per compiersi a Gerusalemme” sarà l’evento in cui egli sperimenterà l’estrema esclusione dal convivio umano, nella sua dimensione civile, ma anche, drammaticamente, in quella religiosa. È come se, in Lui, Dio si rendesse conto che non poteva più limitarsi a “fare il bene”, come aveva fatto fino ad allora, ma aveva bisogno di dirsi e di darsi nella forma della totale identificazione con gli ultimi, gli emarginati, gli scomunicati, i maledetti. È allora lo stesso Dio che, in Gesù, perché non si abbia più alcun dubbio nel determinare da che parte stia,  diventa colui di cui il profeta Isaia affermava: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima” (Is 53, 2-3). Eppure, è proprio questo servo sofferente che il Vangelo di oggi presenta come splendente. Ora, la trasfigurazione, noi crediamo si debba intenderla, in primo luogo, come un evento della fede, anzi, l’evento decisivo della fede. Per un momento, i tre discepoli riescono a scorgere in quell’omino di Nazareth, che un giorno, senza capire ancora bene il perché, si sono decisi a seguire, il Figlio di Dio. È l’esperienza che siamo chiamati a fare anche noi. Finché non riusciremo a scorgere nelle sembianze ferite dei  nostri fratelli di cui il mondo riesce solo a distinguere l’handicap mentale o fisico o le spesso inevitabili conseguenze di un’esistenza sbagliata, la presenza luminosa del Figlio di Dio, non sapremo ancora cos’è la fede nel Dio cristiano. E, ugualmente, anche se con altre parole, finché non riusciremo ad udire, pronunciato prima che su ogni altro, su ciascuno di essi la parola del Padre: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”, non saremo davvero ancora convertiti al cammino di Gesù. Conversione è convertirci all’essere e all’agire di Dio; anzi convertirci alla sua conversione. Quella ai poveri, registrata nella Bibbia una volta per tutte: Ho visto la miseria del mio popolo, ho udito il suo grido. E ho deciso di liberarlo. Se Dio, prima, era o significava qualcosa d’altro, da allora non più. È solo ascolto. E liberazione. Noi siamo chiamati a porci in ascolto di ciò che ci chiedono e ci dicono – dandoci tempo nel caso per decifrare quelli che a volte sono solo suoni inarticolati – i nostri fratelli e sorelle, solo per il mondo, minori: per Lui, invece, figli, gli eletti. I prediletti. Ciò che anche noi potremo diventare, ma solo in seconda battuta. Dopo aver fatto qualcosa per liberarli, dando loro il nostro amore.

 

I testi che la liturgia di questa 2ª Domenica di Quaresima propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Genesi, cap. 15, 5-12. 17-18; Salmo 27; Lettera ai Filippesi, cap.3, 17–4, 1; Vangelo di Luca, cap.9, 28b-36.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane.

 

Oggi il calendario ci porta la memoria di uno dei grandi riformatori della Chiesa, Martin Bucero, testimone di pace e dialogo.       

 

28 MARTIN BUCERO.jpgMartin Kuhhorn (che avrebbe scelto in seguito il nome umanistico di Bucero) era nato l’11 novembre 1491 a Schlettstadt, in Alsazia, da umile famiglia, ed era entrato quindicenne nell’Ordine domenicano. Nel 1517 fu inviato all’Università di Heidelberg per proseguirvi gli studi. Lì, l’anno successivo, conobbe Lutero e fu subito conquistato dalle sue idee. Allontanato dall’Ordine, nel 1521, svolse il suo ministero come prete secolare a Landstuhl, nel Palatinato, dove conobbe e poi sposò Elizabeth Silbereisen, una ex-monaca, che gli diede tredici figli, di cui uno solo sopravvisse. Trasferitosi a Strasburgo, nel 1523,  divenne il principale riformatore della città. Sostenitore convinto della necessità di tornare all’Evangelo, organizzò la chiesa locale in una rete di piccole comunità, che avrebbero dovuto seguire il modello della Chiesa delle origini, delineato negli Atti degli Apostoli. Conobbe e influenzò notevolmente Giovanni Calvino. Nella controversia che opponeva Lutero e  Zwingli sulla natura dell’Eucaristia, Bucero tentò inutilmente di mediare tra i due schieramenti. Si dedicò anche con entusiasmo alla ricerca di una riconciliazione fra protestanti e cattolici romani e a far opera di pacificazione nei confronti degli anabattisti. Quando la moglie morì di peste nel 1541, Bucero sposò Wibrandis Rosenblatt, già vedova, in ordine di tempo, dei riformatori Ludwig Keller, Johannes Heusegen (Giovanni Ecolampadio) e Wolfgang Capito. La donna gli diede tre figli, di cui una sola sopravvisse. Nel 1549, esiliato da Strasburgo, per ordine di Carlo V, si trasferì, su invito dell’arcivescovo Thomas Cranmer, in Inghilterra, dove fu ricevuto con tutti gli onori dal re Edoardo VI.  Dopo un breve soggiorno a Londra, fu chiamato a Cambridge come professore. Qui lavorò alla sua opera De regno Christi e contribuì alla stesura del Book of Common Prayer della Chiesa anglicana.  La morte lo colse il 28 febbraio 1551. Sotto il regno di Maria Stuart  (1553-1558), i suoi resti furono esumati e bruciati, e la sua tomba demolita (1556), ma fu ricostruita nel 1560 dalla regina Elisabetta (1558-1603).  Dopo Lutero e Melantone, Bucero fu il più influente dei riformatori tedeschi.

 

Con ieri sera, al termine di una giornata di digiuno – il digiuno di Ester – i nostri fratelli ebrei sono entrati nella festa di Purim, che si prolungherà fino a domani.

 

PURIM_ESTHER.JPGL’origine della Festa di Purim (o delle Sorti) è raccontata nel Libro di Ester. Assuero, re di Persia e di Media, dopo aver ripudiato la moglie Vasti, che aveva osato disobbedirgli, aveva sposato Ester, una ragazza ebrea “di bella presenza e di aspetto avvenente”, che era diventata la nuova regina. Ora proprio in quei giorni Amán che era primo ministro aveva chiesto e ottenuto dal re che tutti gli ebrei del regno fossero uccisi, in un giorno che sarebbe stato tirato a sorte (pur). Fu così tirato a sorte il 13 di Adar. Quando Mardocheo, zio della regina lo seppe, si rivolse ad Ester perché intercedesse presso il re in favore del suo popolo. Dopo aver digiunato un giorno intero, Ester parlò con il re delle macchinazioni del malvagio Amán. E Assuero cambiò le sorti (purim) degli ebrei e fece impiccare il primo ministro. Da allora è comandato agli ebrei “di festeggiare ogni anno il quattordici e il quindici del mese di Adar, come giorni in cui gli Ebrei avevano avuto quiete dai loro nemici, nel mese che si era mutato per loro da angoscia in allegria, da lutto in giorno di festa, per far di quei giorni, giorni di banchetto e di allegria, di scambio di doni l’uno con l’altro, e di regali per i poveri”(Est 9, 21-22).

 

Ancora non sappiamo con certezza il numero delle vittime del violentissimo terremoto che ha colpito, ieri, il Cile. Presumibilmente saranno assai meno di quello che ha sconvolto Haiti il mese scorso. Ma, una volta di più, ci sarà bisogno di azionare i meccanismi della solidarietà internazionale, a cui tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo. Assieme alla nostra preghiera.

 

Per stasera è tutto. Prendendo spunto dall’odierna festività ebraica, noi ci congediamo offrendovi in lettura un testo di Donato Grosser dal titolo “Lo spirito di Purim”. Lo troviamo nel sito di Torah it. Ed è per, oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Purim si differenzia da tutte le altre feste per le mizvoth di dare regali ai poveri e di inviare vettovaglie ai propri amici. […] Qual’è l’origine di queste due mizvot di Purim?  Per cercare una risposta, pensiamo prima di tutto a quella che era la situazione degli ebrei di Persia durante il periodo in cui si trovavano sotto la spada di Damocle del decreto di Haman. Il decreto era quello di sterminare tutti gli ebrei, dai poppanti nelle culle, uomini e donne, fino ai vecchi nelle case di riposo, senza alcuna eccezione. Davanti a un decreto firmato dal Re e ufficialmente non revocabile, gli ebrei si videro già morti. Se non fosse stato per l’intercessione di Ester che riuscì a convincere il Re a fare una seconda lettera reale per permettere agli ebrei di difendersi, il decreto sarebbe stato eseguito.  Dopo la grande paura del decreto di Haman, arrivò la seconda lettera del Re, e il 13 e 14 di Adar gli ebrei esercitarono il diritto di legittima difesa e si salvarono. Ritrovatisi vivi e salvi, nel giorno di Purim gli ebrei pensarono alla grandezza del miracolo che era loro capitato e si pentirono delle piccole beghe e dei litigi di cui si erano occupati fino a poco prima. Dopo aver quasi visto la morte in faccia, si resero conto della bassezza di litigare con il prossimo per cose di poco conto. Questi pensieri generarono un’esplosione spontanea di amore verso il prossimo che si manifestò nel portare vettovaglie agli amici perché potessero festeggiare e regali ai poveri – anche quelli che fino a ieri erano stati sospettati di essere degli imbroglioni.  Dopo questa manifestazione di amore fraterno, i Maestri quando decisero di far commemorare il miracolo di Purim negli anni successivi, dissero: “Vi ricordate l’esplosione spontanea di amore fraterno quando già pensavate di essere tutti morti? Quel comportamento vogliamo che lo ripetiate di anno in anno per ricordare il miracolo di Purim.”  (Donato Grosser, Lo spirito di Purim).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Febbraio 2010ultima modifica: 2010-02-28T23:41:00+01:00da fraternidade
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