Giorno per giorno – 10 Febbraio 2010

Carissimi,

“Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro […] Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo” (Mc 7, 15. 20-23). Che, poi, è quanto appare sui giornali, quando scrivono di cronaca rosa o nera, o di politica e anche di chiesa. Le quali ultime si trovano, sempre più spesso, invischiate in quelle. Continua il discorso di Gesù sulle tradizioni religiose o, forse, meglio, su ciò a cui troppo facilmente riduciamo la religione. Con il contributo attivo o, almeno, il beneplacito delle autorità in materia. Una complesso di leggi, che riguardano tutto lo scibile umano, una serie di pratiche rituali, un puntiglioso elenco di comportamenti esterni da assumere o da evitare. Che, poi, come diceva stasera padre Paulo, che ci è venuto a far visita, i dottori della legge di oggi, in tali meandri, si sanno ovviamente muovere con disinvoltura (“fatta la legge, trovato l’inganno”, appunto!), dando, nel caso, le dritte anche a nuovi, potenti, ma anche interessati, compagni di strada (beh, non proprio compagni, e non proprio di strada), mentre i poveri cristi (come appunto i malcapitati discepoli di Gesù, che, nel Vangelo di ieri, si erano scordati di lavare le mani), inevitabilmente ci cascano. Beh, come al solito, Gesù non ci sta. E lo dice ai diretti interessati, prima, con accenti di severità (che non implicano meno amore, anzi!), per poi spiegarlo in “casa” (la chiesa) ai suoi discepoli. I quali avrebbero dovuto, in duemila anni, aver fatto tesoro di tale insegnamento, ma Lui sapeva già che no, tanto è vero che, nel Vangelo, è rimasto scritto anche per noi il rimbrotto del Signore: “Ma voi siete proprio duri di comprendonio!” (v. 18). Le leggi, a cominciare da quelle della Chiesa (che dovrebbe essere segno e sacramento della nuova realtà del Regno, non è vero?), ma anche le intenzioni che guidano i nostri comportamenti, e le parole che le accompagnano, devono essere espressione, sempre e soltanto, dell’amore per l’uomo, finalizzate alla pienezza di vita, per tutti, non solo per i soliti. Se non sono questo, altro che regno di Dio! È il regno dell’altro (che qui neppure si osa nominare!).          

 

Oggi il calendario ci porta la memoria di  Scolastica,  monaca e contemplativa.

 

10 SCOLASTICA.jpgScolastica era nata, come il più celebre fratello, Benedetto, a Norcia nel 480 circa e si consacrò giovanissima al Signore. Più tardi, quando il fratello  già viveva a Montecassino con i suoi monaci, scelse  di fare vita comune in un altro monastero della zona con un piccolo gruppo di donne consacrate. Di lei conosciamo solo le circostanze che precedettero la morte, avvenuta nel 543, per il racconto che ne fece Gregorio Magno (540-604) nei suoi Dialoghi. Racconta l’antico discepolo di Benedetto che Scolastica si recava una volta all’anno a far visita al fratello ed anche quella volta non era mancata all’appuntamento, rimanendo a parlare con lui per tutta la giornata, fin dopo cena, in un possedimento poco distante dal monastero. Ed essendosi fatto tardi, la donna lo implorò che non la lasciasse, ma che piuttosto si fermasse con lei tutta la notte per continuare a parlare delle cose sante di Dio. Benedetto, però, che era severo quanto basta, rifiutò di accontentarla. Allora Scolastica che era amica di Dio, certo un po’ di più dell’accigliato fratellino, si rivolse direttamente a Colui che non sa dire di no, tanto meno alle lacrime di una donna, sua sposa per giunta. E Lui, com’era prevedibile, per tutta risposta, scatenò un uragano che la metà bastava e la santa, rivolta a Benedetto: Va pure, fratello mio, torna al monastero! E quello di rimando: Briccona di una sorella che sei. E restarono così tutta notte. E poi si congedarono. E lei, tre giorni dopo, morì.     

 

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:

1° Libro dei Re, cap. 10,1-10; Salmo 37; Vangelo di Marco, cap. 7,14-23.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, nei più diversi sentieri, operano in favore della pace, della giustizia e della fraternità dei popoli.

 

Scolastica non ci ha lasciato scritto proprio nulla, ma noi, in compenso, si è trovato un testo di Madre Marie-David Giraud, già badessa del monastero di Notre-Dame di Jouarre, nella valle della Marna, uno dei luoghi claustrali più celebri dell’universo monastico femminile che si ispira alla Regola di san Benedetto. Lo troviamo nel libro “Dio intimo. Parole di monaci” (Edizioni Messaggero Padova) e ve lo proponiamo, nel congedarci, come nostro 

 

PENSIERO DEL GIORNO

In Gesù, Uomo-Dio, l’uomo è ormai e per sempre la via di Dio: “Io sono la via”, dice Cristo (Gv 14, 6). Ecco in che cosa le nostre relazioni fraterne possono diventare giuste e pacifiche. Sta tutto nel modo di parlarci, di “renderci visita” con una presenza qualitativa nell’umile quotidiano e soprattutto quando l’altro soffre. “Se uno dicesse: ‘Io amo Dio’ e odiasse il suo fratello è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4, 20). Condursi reciprocamente alla vita e alla preghiera. Già Pacomio domandava ai suoi monaci di ripetere interiormente o a bassa voce espressioni spirituali, “ruminarle” per nutrirsene nel corso della giornata. Si costituivano anche delle raccolte di queste espressioni, che si passavano di comunità in comunità. Da questo genere di raccolte deriva il capitolo 4 della Regola di san Benedetto: “Preservare la propria bocca da discorsi cattivi e disonesti. Evitare di parlare troppo. Non dire parole vane o che inducono al riso. Tornare in pace con chi è in discordia con noi prima che tramonti il sole” (4, 51-53.73). Il monaco viene invitato a interrogarsi nel corso della giornata: “Quali parole lascio liberamente circolare nel mio cuore e nella mia mente? Con le mie parole e i miei atteggiamenti  quali parole faccio circolare nel cuore e nella mente degli altri?”. Il monaco cerca di accogliere e trasmettere le parole che fanno vivere lui e i suoi fratelli. Così, si mantiene in quell’ “ascolto” che raccomanda la Regola. “Morte e vita sono in potere della lingua” (Pr 18, 21). Il monaco può chiedersi spesso da che parte sta, come aiuta gli altri a situarsi, a loro volta: “Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira. Perché l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio. Perciò, deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime. Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi” (Gc 1, 19-22). […] La Regola non ci chiede di dirci parole pie, ma di rinviarci gli uni gli altri a Dio mediante il nostro atteggiamento, il nostro modo di parlare e di collaborare: ascoltando l’altro fino in fondo, non interrompendolo mentre parla, osando manifestare chiaramente gli attriti e le diverse oponioni esistenti fra noi, incoraggiando ciò che di meglio c’è nell’altro, guardando il figlio di Dio che desidera nascere in ciascuno. (Marie-David Giraud, “Una storia di radici e di ali” in Dio intimo. Parole di monaci).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Febbraio 2010ultima modifica: 2010-02-10T23:49:00+01:00da fraternidade
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