Giorno per giorno – 03 Febbraio 2010

Carissimi,

“Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria” (Mc 6, 1-3). Già, come supereremo lo scandalo di un Dio, a cui avevamo pensato sempre più su e infinitamente  più in alto delle liturgie pur maestose, con i loro canti solenni, i gesti ieratici, gli incensi e i profumi che si spandono e riempiono le navate dei templi, così come vivono ancora nella nostra memoria o nella nostra fantasia o nella realtà veicolata dalla televisione (che persino la supera), per ritrovarcelo omino insignificante, che potrebbe essere stato fino a ieri, nostro compagno di lavoro, artigiano, muratore, manovale, bracciante, netturbino, per dire solo i mestieri più diffusi tra la nostra gente? Vedere Dio lì dentro non è davvero chiedere troppo? Al punto che il passo della fede sia, alla fine, più facile compierlo a Cafarnao che a Nazareth, o detto in altri termini, tra quanti non hanno mai bazzicato le chiese più che tra coloro che continuano a frequentarle e sono incapaci, proprio come allora, di convertire lo sguardo della fede dall’alto dei cieli al basso del nostro quotidiano. Eppure la fede cristiana consiste proprio in questo: Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazareth, entrando definitivamente nella nostra storia nella forma degli ultimi. Spiazzandoci, così, tutti, che, dalla storia, invece, volevamo fuggire, per essere come immaginavamo fosse Dio. Formato super-multimilionario, che si gode il suo paradiso privato, ridendosela del resto del mondo (o anche solo ignorandolo). Maria Augusta, l’abbiamo incontrata oggi pomeriggio a casa di dona Dominga, di cui è comare. Noi la si vede sempre più di rado, da quando è andata ad abitare, cinque anni fa, da dona Otávia, l’anziana signora di cui si prende cura. Così non ci è parso vero di poter chiedere ed avere le ultime notizie della famiglia, dei figli Dionísio, João Filho, Divino Augusto, del marito João. Lei ha cominciato a raccontare e mica è uno scherzo tutto ciò che ha passato e passa. Raccontava e sorrideva. Come fosse niente. A un certo punto, si è lasciata scappare: a volte mi sembra sia proprio una gran croce. Poi dice: il vecchio seu Expedito viene a portare la comunione a dona Otávia e insiste perché la faccia anch’io. Ma io non me la sento. A volte sono così insofferente con João! E si mette piangere e poi cerca di sorridere per nascondere questa sua improvvisa debolezza. Ma le lacrime continuano a scorrere. Nei prossimi giorni saranno venticinque anni di matrimonio e altrettanti di convivenza con una vittima dell’alcool. Con relative umiliazioni. Diciamo a Maria Augusta: se non puoi fare tu la comunione, chi la può fare? Se Lui non si fa pane per te, per chi si farà? No, non puoi proprio rifiutarti di fare la comunione, perché Lui è già da sempre in comunione con te. E vuoi che non capisca le tue momentanee insofferenze, le tue ribellioni. Che neppure hanno bisogno di perdono, perché sono il suo stesso grido. E, comunque, se c’è qualcosa da perdonare, è perdonato nel momento stesso in cui Lui entra in te. Gesù nel nostro quotidiano, a casa nostra. Gesù nostro pane, che ci fa vivere di Lui e ci trasforma in Lui. Gesù, parola di perdono, di forza e di ispirazione. Gesù che oggi è Maria Augusta. Ma come? Lei non è figlia di dona Valentina, moglie di João, madre dei suoi figli che abitano tra di noi? Sì, lo è. Ma è anche molto di più.                  

 

I cappellani militari non ce ne vogliano, ma finché saranno “militari”, non riusciremo ad avere per loro troppa simpatia. Comunque, oggi, proprio di quattro di loro facciamo memoria. Perché hanno saputo fare la cosa giusta, anche se con la divisa [come lo è ogni divisa] sbagliata: I quattro cappellani militari del Dorchester.     

 

03 I QUATTRO CAPPELLANI.jpgSi chiamavano: Clark Poling (nato il 7 agosto 1910 a Columbus, nell’Ohio), ministro congregazionalista; George Fox (nato a Lewistown, in Pennsylvania, il 15 marzo 1900), pastore metodista, Johnny Washington (nato a Newark, nel New Jersey, il 18 luglio 1908.), prete cattolico e Alexander Goode (nato a Brooklyn, New York, il 10 maggio 1911), rabbino ebreo, ed erano tutti e quattro cappellani militari sull’incrociatore Dorchester, della marina Usa, durante la Seconda Guerra mondiale. La mattina del 3 febbraio 1943, la nave fu silurata. I cappellani stavano indossando i loro giubbotti di salvataggio, quando si accorsero che molti dei 900 marinai ne erano sprovvisti. Decisero unanimente di privarsene, perché almeno altri quattro potessero vivere. I sopravvissuti dissero poi che quando la nave s’inabissò, videro i cappellani con le braccia legate pregare insieme sul ponte.

 

La Chiesa cattolica ricorda Biagio di Sebaste, medico, vescovo e martire.

 

03_bras.jpgBiagio presiedeva la Comunità di Sebaste, in Armenia, durante l’impero di Licinio (che si occupava dell’Oriente), cognato di Costantino (che invece governava l’Occidente). I due, non si sa bene perché, entravano spesso in conflitto. Nessuno dei due, del resto, era uno stinco di santo. Tanto è vero che Costantino  fece strangolare Licinio a Salonicco nel 325. Ora, mentre Costantino, nel 313, aveva  emesso il  decreto che concedeva la libertà di culto ai cristiani, Licinio, tergiversava e lasciava mano libera ai suoi governatori, che bruciavano chiese, condannavano i cristiani ai lavori forzati e facevano fuori i loro vescovi. Tra loro, Biagio. Imprigionato, ripetutamente torturato, infine condannato alla decapitazione, raccontano di lui che mentre si recava al luogo del supplizio, vide un ragazzo tra i curiosi che assistevano al suo passaggio che stava morendo soffocato a causa di una lisca di pesce conficcatasi nella trachea. Dribblate le guardie, Biagio raggiunse il ragazzo, soccorrendolo tempestivamente. Poi riprese il suo posto nel corteo che lo portava all’arena. Il racconto ne avrebbe fatto a lungo il protettore contro le malattie della gola.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

2° Libro di Samuele, cap. 24,2.9-17; Salmo 32; Vangelo di Marco, cap.6, 1-6.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza  per la pace, la fraternità e la giustizia.

 

Gesù a Nazareth, Dio nel quotidiano, Maria Augusta. Stasera non sapevamo bene come chiudere. Poi, però, ci è capitato sotto gli occhi questo testo di don Tonino Bello, dal titolo “Un Dio che sconcerta”, tratto da un suo articolo pubblicato  sul settimanale della sua diocesi il 7 marzo 1993. Ci è piaciuto e ve lo proponiamo come nostro 

 

PENSIERO DEL GIORNO

Certo il nostro Dio è un Dio che sconcerta. Non allineato con nessuna logica umana. Imprevedibile. E noi lo avvertiamo, soprattutto quando la vita, prima o poi, ci conduce a dover intrecciare rapporti col dolore, fisico o morale, e con Colui che ne permette il devastante dispiegarsi sulle nostre carni o sulla nostra anima. Ma perché mai il Signore, prima ti dà una Croce, poi te la toglie, o te l’alleggerisce? Perché si diverte con noi, con questo stile che non è assolutamente praticato nei nostri giochi di amore terreni? Perché questo «cuci-scuci» sul panno già sfibrato della nostra povera vita? È difficile rispondere. L’unica cosa che si può dire (essenziale, però, e appagante) è che il Signore non ci lascia soli nella prova. No! Il suo non è il divertimento di chi prova gusto a vederci dondolare sull’ altalena dei dolori. Egli è triste quando noi siamo tristi. Piange quando piangiamo. Non solo accanto al letto delle malattie fisiche che distruggono inesorabilmente il nostro corpo, ma anche al capezzale dei nostri dolori morali: la fuga di una figlia, che è partita in campeggio con compagni sconosciuti, e non è tornata più. L’abbandono della casa nuziale di lui che si è innamorato della sua collega d’ufficio. Il pianto di quei genitori che se ne vanno insieme alloro crepuscolo mentre osservano nei figli il rifiuto di tutti i valori portanti che innervano l’esistenza. L’ombra di un fallimento economico. Il capestro strozzino degli usurai… che stanno alle porte. Quante croci, di fronte alle quali il volto del Padre si oscura, come se fossero ostacoli ineluttabili anche per lui! Ma ecco che Egli si muove a compassione di chi lo invoca, e corre a deporlo dalla croce, o a sostenerlo con tutto il suo carico. (Tonino Bello, Un Dio che sconcerta).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Febbraio 2010ultima modifica: 2010-02-03T23:51:00+01:00da fraternidade
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