Giorno per giorno – 29 Gennaio 2010

Carissimi,

“Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa” (Mc 4, 26-27). La parabola del seminatore (Mc 4, 1-9) che avevamo letto l’altro ieri sottolineava la responsabilità nostra (i diversi terreni) nel processo di crescita del seme (la Parola di Dio e, perciò, anche il suo Regno), mentre quella che abbiamo ascoltato stamattina sembra curiosamente suggerire: pensavate di essere voi responsabili, eh? Beh, dimenticatelo! Il seme, una volta gettato, germoglia, cresce e fruttifica, indipendentemente da voi. Gesù, quando l’ha raccontata,  forse si riferiva anzitutto a se stesso. Lui che è, nel contempo, il seminatore e il seme del Regno. Come a dire: tu seminati, sprofonda nel terreno e muori. Non preoccuparti d’altro. Se anche tu non vedi nulla, quel seme crescerà, si espanderà, si moltiplicherà. Da allora, la logica del Regno è entrata nella storia dell’uomo, altri l’hanno fatta propria, sono diventati essi stessi parola/evento che muore per la vita degli altri, e, senza magari vederne i frutti (come il seme, del resto, non li vede, ma “li diventa”), hanno dato luogo, nel tempo dovuto, a raccolti prodigiosi. Dove, il raccolto prodigioso, non ha nulla a che vedere con l’affermarsi e il successo della Chiesa, ma è sempre e soltanto la vita del mondo, è la gente, sempre più gente, che, grazie anche ad essa (la Chiesa, se e quando è sacramento dei poveri), è raggiunta dalla benedizione di Dio, e cresce in forza, salute, cultura, libertà, solidarietà e grazia. Già, tu, allora, seminati, cioè, donati, instancabilmente. Il resto, lo fa Dio. Anche se non si vede nulla. E, a volte, siamo tentati di pensare che nulla può cambiare. Il Regno, invariabilmente, accade. E, alla fine, vincerà.

 

Le letture proposte dalla liturgia odierna alla nostra riflessione sono tratte da:

2° Libro di Samuele, cap. 11,1-4.5-10.13-17; Salmo 51; Vangelo di Marco, cap.4,26-34.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

In chiusura, noi vorremmo chiedervi una preghiera per la salute di Dona Nady che, nelle ultime settimane si sono fatte più fragili, e anche per quella di dona Luiza, di irmã Verônica e  di padre Paulo.  Noi ci congediamo qui, con un brano di Paolo Giuntella che troviamo nel bel sito che ci hanno segnalato di Don Mirko Bellora.  Vi si parla di Cristo Parola Crocifissa, che ci richiama da vicino la parabola del seme meditata stamattina. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Condivido profondamente quanto ha scritto a conclusione del suo bel libro di meditazioni pasquali sulle “Sette ultime parole di Gesù Cristo in croce” Timothy Radcliffe, che è stato maestro generale dei domenicani dal 1992 al 2001. “Cristo crocifisso sulla Croce non è un nostro possesso ma è tutta l’umanità crocifissa”, senza distinzioni di confessione religiosa, di cultura, di appartenenza etica, geopolitica, storica…Dunque la Croce, simbolo dell’accoglienza e non distintivo o arma identitaria e non solo per dividere buoni e cattivi, non può essere innalzata come vessillo, come bandiera: è presente “per tutti gli uomini che soffrono, poiché non appartiene a nessuna causa umana”, dice l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams. E proprio come scrisse monsignor Pierre Claverie prima di essere assassinato, “Gesù morì sospeso tra cielo e terra, con le braccia allargate per riunire i figli di Dio dispersi dal peccato che li separa, li isola e che li pone l’uno contro l’altro e contro Dio stesso. Si collocò sulle linee di separazione sorte da questo peccato”. Ecco il Concilio, grande graduale paziente ma inesorabile ritorno al futuro, al primato del Regno, agli stili di vita degli Atti degli Apostoli e delle prime comunità cristiane, ci fa riscoprire ogni giorno questa linea di confine, queste linee di separazione, che dobbiamo cercare di colmare e cancellare. E tuttavia per fare questo, come il Cristo Parola Crocifissa, anche noi dobbiamo metterci con le nostre tende su questa frontiera. Il Concilio ci ha permesso di riscoprire la spiritualità dell’esodo, la dinamica del provvisorio, una quotidiana tensione escatologica, una libertà di figli di Dio per i quali ogni confine è il frutto del peccato, della finitezza incompiuta della condizione umana. Perché Cristo e la sua Croce, e così dovrebbero essere spiritualmente i suoi discepoli, sono vita per abbattere i confini: scandalo per i gentili e per i pagani, per identitari, fondamentalisti e perbenisti, simbolo e luogo universale di accoglienza, di liberazione, provvisorio permesso di soggiorno per tutti gli uomini in tutte le terre, in vista della città futura. (Paolo Giuntella, Senza il Concilio forse non sarei neppure più cattolico).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Gennaio 2010ultima modifica: 2010-01-29T22:56:00+01:00da fraternidade
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