Giorno per giorno – 28 gennaio 2010

Carissimi,

“In quel tempo, Gesù diceva: Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!” (Mc 4, 21-23). Poco prima aveva detto ai Dodici: “A voi è stato dato il mistero del Regno di Dio” (v.11). A quelli che sono fuori, no. Che, detto così, può sembrare un’ingiustizia, ma è solo il gioco della libertà di Dio, che è anche il gioco della nostra libertà. Del resto, il fatto che il  mistero sia dato, non lo rende meno misterioso e, perciò meno problematico da accettare. Come infatti fu per i Dodici, che a lungo lo fraintesero e  solo a poco a poco arrivarono a capirlo e poi ad accoglierlo e farlo loro. Il mistero del regno di Dio era ed è il suo progetto, la sua maniera di essere e, perciò anche il suo scendere e prendere forma nella storia degli uomini. Era ed è, in definitiva, la stessa persona di Gesù,  così come si è proposta, in una determinata epoca storica, ad uno specifico gruppo di persone, di un certo popolo, che, da allora, è divenuto Vangelo, Buona Notizia, per quanti si dispongano a riceverla. La Buona Notizia è come Dio ama, a partire dagli ultimi e identificandosi con essi. Questo, infatti, ci dice la storia di Gesù. Ora, il curioso è che Gesù, spesso, ammonisce i destinatari del bene che dispensa, a tacere a suo riguardo. Mentre qui fa questa affermazione sulla lampada che non è da nascondere ma da mettere sul candelabro. In realtà, si tratta di una contraddizione solo apparente: la verità di Dio, il suo amore, la sua dedizione incondizionata, brilla là dove c’è perfetta coerenza tra ciò che essa è e significa e il mezzo che l’annuncia. Se Dio è abbassamento, nascondimento, dono senza ritorno, svuotamento di sé a favore degli ultimi – come il vero amore deve necessariamente essere – il suo annuncio sarà credibile solo se si manifesta come tale. È così che ciò che si nasconde (Gesù e il suo messaggio) rifulge, e ciò che prende forma (o, in una prospettiva umana, si deforma) nel volto e nel corpo piagato del Crocifisso, brilla (nella prospettiva della fede) nella luce del risorto. Non diversamente, fatte le debite proporzioni (che sono infinite), ciò che è detto e fatto dai suoi discepoli e testimoni nel silenzio e nell’umiltà del quotidiano, arriva a farsi conoscere (e riconoscere come Suo) ed è capace di convincere. “Se uno ha orecchi per intendere, intenda!” (v. 23). O anche: “Fate attenzione a quello che udite” (v.24), ma, meglio ancora: “Fate attenzione a come udite”. Gesù ci conosceva da allora: noi sordi, noi immancabilmente distratti.            

 

Due sono le memorie di oggi, per la prima delle quali confessiamo di nutrire un vero e proprio debole, a causa della simpatia del personaggio. Si tratta di Rabbi Sússja di Hanipol, mistico ebreo e folle di Dio, che ricordiamo con Tommaso d’Aquino, prete, teologo e dottore della Chiesa.

 

28 RABBI SUSSJA.jpgMeshulam Sussja era nato nel 1718 nei pressi di Tarnow, in Galizia (nell’attuale Polonia). Discepolo di Rabbi Dov Bär, il grande Magghid (predicatore) di Mesritsch e fratello di Rabbi Elimelech di Lisensk, fu uno dei primi maestri del chassidismo. Raccontanto che, nonostante frequentasse volonterosamente le lezioni del Magghid, non riuscì mai a seguirne una, perché quando il Maestro prendeva il passo della Scrittura che intendeva commentare e cominciava con le parole: “E Dio disse”, Sussja era subito rapito fuori di sé e cominciava a muoversi e a saltare così selvaggiamente che bisognava condurlo fuori dall’aula, calmandosi solo quando  la lezione giungeva alla fine. Tanta era la passione per il solo nome di Dio. Fu sempre uomo semplice, modesto e pieno di misericordia con tutti. Alla morte del Magghid, fu ad abitare ad Hanipol, dove una cerchia di discepoli si riunì intorno a lui. La comunità si ampliò, quando, alla morte del fratello Elimelech, molti dei discepoli di quest’ultimo lo scelsero come loro rabbi. Alla sua morte, i due figli gli successero  come maestri chassidici. I suoi insegnamenti sono raccolti  nel Menorat Zahav. Lasciò detto: “Nel mondo a venire non mi si chiederà: Perché non sei stato  Mosé o Abramo?. Mi si chiederà: ‘Perché non sei stato Sussja?”. A significare l’irripetibilità della vocazione a cui ciascuno di noi è chiamato.  Morì il 28 gennaio 1800 (2 shevat 5560 per il calendario ebraico). Sulla sua tomba furono scritte queste parole: “Uno che servì Dio in amore, che si rallegrò delle sofferenze, che strappò molti al peccato”.

 

28 Tommaso d'Aquino III.jpgTommaso  nacque sul finire del 1225, nel castello di Roccasecca, nella famiglia del conte d’Aquino. Dopo la prima formazione alla scuola dei benedettini di Montecassino, all’età di 18 anni, nonostante l’opposizione della famiglia, entrò nell’ordine dei Predicatori. Completò la sua formazione a Colonia, alla scuola di Alberto Magno,  e, successivamente, a Parigi, dove divenne docente di filosofia e teologia. Scrittore e predicatore fecondo, scrisse oltre venti tomi ponderosi, dallo stile brillante, profondità di argomentazione, chiarezza di pensiero. La sua opera più celebre resta la sua  Summa Theologiae.  Morì il 7 marzo 1274, nel monastero cistercense di Fossanova, mentre si stava recando al concilio di Lione, convocato dal papa Gregorio X.  Tre mesi prima di morire, nel 1273, aveva avuto un’esperienza mistica, dopo la quale non scrisse più nulla, confessando che tutto ciò che aveva scritto era solo paglia rispetto a ciò che gli era stato rivelato in quell’occasione.   

 

Le letture proposte dalla liturgia alla nostra riflessione sono tratte da:

2° Libro di Samuele, cap.7, 18-19. 24-29; Salmo 132; Vangelo di Marco, cap.4, 21-25.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

È tutto per stasera. Noi ci congediamo qui, lasciandovi a questo aneddoto che ha per protagonista Rabbi Sussja di Hanipol. Lo troviamo nel sito di Nehora.com ed è per oggi il nostro 

 

PENSIERO DEL GIORNO

Rabbi Sussja chiese al Veggente di Lublino: “Come agiresti per condurre una persona a pentirsi?”. Il Veggente di Lublino rispose: “Gli mostrerei nel Shulhan Aruch (il più autorevole trattato di morale dell’ebraismo) dove ha sbagliato”. Rabbi Sussja replicò: “Non credo che funzionerebbe. Pensi che questo farebbe sentir bene quella persona? Al contrario, la farebbe star male. E se ci sta male, finirebbe per stare alla larga da te. Le persone fanno il male perché non hanno la forza di fare il bene”. Il Veggente di Lublino chiese allora a Rabbi Sussja: “Tu allora cosa faresti?” Rabbia Sussja rispose: “Io farei splendere la luce in lei, nel suo cuore, la grande luce dell’amore di Dio”. (Rabbi Sussja di Hanipol).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 gennaio 2010ultima modifica: 2010-01-28T22:10:00+01:00da fraternidade
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