Giorno per giorno – 14 Gennaio 2010

Carissimi,

“Venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: Se vuoi, puoi purificarmi! Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, sii purificato! E subito, la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato” (Mc 1, 40-42). Chi sono i lebbrosi del nostro tempo o, se vogliamo, i nostri personalissimi lebbrosi? Coloro che la logica del sistema (anche di un certo sistema ecclesiastico) ha deciso debbano restare ai margini, condannati ad una esclusione, che rafforza e non mette a rischio la sua identità, la sua sicurezza, il suo benessere? O chi noi, personalmente, abbiamo deciso di escludere dal nostro orizzonte, non importa quanto esplicitamente o con una volontà dichiarata, ma, per esempio, con i nostri stili di vita, le nostre scelte politiche, o anche solo il nostro chiacchiericcio, le nostre battute, che esprimono il nostro adeguamento alla mentalità corrente, nella società e/o nella chiesa? Ebbene, l’esistenza di quei lebbrosi, denuncia in realtà la nostra, di lebbra. Loro, che noi emarginiamo, dichiarano la nostra estraneità alla logica del Regno. Per questo Gesù si adira (o prova compassione, a seconda delle traduzioni) e, se noi siamo capaci ancora di pregarlo, ci guarisce e ci purifica. “Signore, se tu vuoi, puoi purificarci”. Cioè, se tu vuoi, puoi metterci in condizione di operare contro ogni forma di emarginazione. Eliminando la quale, noi curiamo noi stessi. Anzi, egli ci cura, dato che da noi non possiamo nulla.

 

Oggi è memoria di Serafim di Sarov, mistico e asceta della Russia ortodossa.

 

14 serafim de sarov.jpgProchor Mosnin (tale il suo nome alla nascita) era nato il 19 luglio 1759 a Kursk in una famiglia di commercianti, conosciuti da tutti come cristiani devoti e caritatevoli. Da ragazzo Prochor amava frequentare la divina liturgia e dedicarsi alla lettura di libri religiosi. Diciottenne, durante un pellegrinaggio alle Grotte di Kiev, vi conobbe il santo staretz Dositeo, che, confermandolo nella vocazione monastica, lo indirizzò al monastero di Sarov, affidandogli la preghiera del Nome come mezzo potente per restare unito a Dio. Dopo otto anni di noviziato, il giovane fece la sua professione monastica, ricevendo il nome di Serafim. Nel 1794 Serafim fu ordinato prete e ricevette il permesso di recarsi a vivere in una piccola capanna nella vicina foresta, per dedicarsi ad una vita di preghiera e digiuno e  allo studio delle Scritture e degli scritti dei Padri. Lì visse, salvo brevi interruzioni, fino al 1810, quando, per obbedire alla richiesta dei monaci anziani, Serafim ritornò in monastero. Continuò tuttavia a vivere nella solitudine e nel silenzio della sua cella per altri dieci anni. Fu solo alla fine di questo lungo periodo di tempo che, obbedendo ad una visione del Cielo,  si dispose ad accogliere quanti, visitando il monastero, aspettavano da lui una parola o un consiglio spirituale. Il vecchio monaco soleva allora salutare chiunque si recasse da lui con una prostrazione, un bacio e le parole del saluto pasquale: “Cristo è risorto!” e ad ognuno si rivolgeva chiamandolo con l’espressione “gioia mia”. Nel 1825 fece ritorno nella sua capanna nella foresta, dove, arricchito del dono della chiaroveggenza, continuò a ricevere migliaia di pellegrini da tutta la Russia. Serafim si riposò nel Signore il 1° gennaio 1833 del calendario giuliano (corrispondente al 14 gennaio del nostro calendario), mentre era inginocchiato davanti ad un’icona della Madre di Dio.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1° Libro di Samuele, cap.4, 1-11; Salmo 44; Vangelo di Marco, cap.1, 40-45.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

“La gente seguiva Gesù perché egli aveva parole di speranza. Così, noi siamo chiamati ad annunciare le esperienze positive e le vie che portano le comuntà, le famiglie e i genitori ad essere più giusti e fraterni. Come discepoli e missionari, invitati ad evangelizzare, sappiamo che la forza propulsiva della trasformazione sociale sta nella pratica del maggiore di tutti i comandamenti della Legge di Dio: l’amore, che si esprime nella solidarietà fraterna, capace di muovere le montagne: “Amare Dio sopra tutte le cose e il prossimo come noi stessi” significa lavorare per l’inclusione sociale, frutto della Giustizia; significa non aver preconcetti, applicare i nostri migliori talenti a favore della vita piena, in primo luogo di coloro che più ne hanno bisogno. Unire gli sforzi per raggiungere gli obiettivi, servire con umiltà e misericordia, senza perdere la propria identità. Tutto questo cammino ha bisogno di una comunicazione costante per illuminare, animare, rafforzare e democratizzare la nostra missione di fede e vita. Crediamo che questa trasformazione sociale esiga un investimento massimo di sforzi per lo sviluppo integrale dei bambini. Questo sviluppo comincia quando il bambino si trova ancora nel ventre sacro di sua madre. I bambini, quando sono curati bene, sono semi di pace e speranza. Non esiste essere umano più perfetto, più giusto, più solidale e senza preconcetti dei bambini”. Sono tra le ultime parole che Zilda Arns pronunciò durante la conferenza che, nel pomeriggio dell’altro ieri, stava tenendo in una chiesa di Port-au-Prince davanti a un pubblico di alcune centinaia di persone, prima che le pareti crollassero e seminassero, come in tutto il resto della città, morte e distruzione. Rappresentano in qualche modo il suo testamento: “unire gli sforzi”. Ce n’è bisogno più che mai.  Oggi soprattutto per Haiti.

 

È tutto, per stasera. Noi ci congediamo, lasciandovi alla lettura di un brano del “Colloquio con Motovilov” di Serafino di Sarov. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Possiamo constatare la potenza della preghiera se osserviamo che essa ottiene i suoi risultati pure se è fatta da un peccatore, basta che sia sincera, come nell’esempio seguente riportato dalla Santa Tradizione. Una prostituta, toccata dalla disgrazia d’una madre che stava per perdere il suo unico figlio, vedendone la disperazione, osò gridare verso il Signore benché fosse ancora insozzata dal suo peccato: “Non per me, orribile peccatrice, ma per le lacrime di questa madre che piange il suo figlio credendo fermamente nella tua misericordia e nella tua Onnipotenza, risuscitaglielo, o Signore!”. E il Signore la esaudì (cfr. Lc 7, 11-15). Questa, amico di Dio, è la potenza della preghiera. Al di sopra d’ogni altra cosa essa ci dona la grazia dello Spirito di Dio ed essa rientra sempre nelle nostre possibilità. Beati saremo noi se Dio ci troverà vigilanti nella pienezza dei doni del suo Santo Spirito. Potremo allora sperare d’essere rapiti al di sopra delle nuvole per incontrare Nostro Signore rivestito di potenza e di gloria il quale giudicherà i vivi e i morti dando a ciascuno il dovuto. (Serafino di Sarov, Colloquio con Motovilov).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

Giorno per giorno – 14 Gennaio 2010ultima modifica: 2010-01-14T22:40:00+01:00da fraternidade
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