Giorno per giorno – 09 Gennaio 2010

Carissimi,

“Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 30). A noi, forse, ci è capitato altre volte di dirlo, trovandoci di fronte a questo Vangelo: questa è la logica di Dio che, per primo, accetta di diminuire per far spazio alla sua creazione. Non diversamente da come farebbero dei buoni genitori nei confronti dei loro figli. Gesù  (da figlio di suo Padre quale era!) lo insegnerà a suo tempo proprio in relazione alla figura del Battista: il più piccolo nel Regno (ed era egli stesso) è più grande di questi. Che pure era il più grande tra i nati di donna (Mt 11,11), proprio perché si era proposto di diminuire continuamente. Ma, non ci era comunque riuscito come Gesù. Dunque, nelle relazioni che si danno, quando vige il regno di Dio, il più grande è il più piccolo. Sempre. Paolo, nella lettera ai Filippesi, testimonierà anche lui questo abbassarsi di Dio, fino ad annichilarsi, nella vicenda del Figlio, che diventa, in tal modo, modello di chiunque si voglia mettere al suo seguito.  E noi come siamo?

 

Oggi è memoria di Adriano di Canterbury, abate.

 

09 ADRIANO DI CANTERBURY.jpgQuando Wighard, il prete sassone designato a succedere, nella sede di Canterbury, all’arcivescovo Deusdedit, giunse, nel 664, a Roma, per esservi consacrato  vescovo dal papa Vitaliano, successe che morì. Di peste bubbonica. Il papa pensò allora di nominare al suo posto Adriano, un santo e colto benedettino, di origine africana,  che era allora abate dell’abbazia di Nerida, nel napoletano. Ma il nostro, forse per un po’ di scaramanzia, declinò l’offerta e consigliò il papa di nominare piuttosto Teodoro di Tarso (un turco, il che mostra che, in qualche modo,  il villaggio globale esisteva già allora). Il pontefice accettò, a patto che Adriano l’accompagnasse come consigliere. Giunto in Inghilterra, Teodoro nominò Adriano abate dell’antico monastero dei Santi Pietro e Paolo, che divenne sotto la sua guida un giustamente celebrato centro di studi e di formazione. Lì, egli insegnò per quarant’anni, fino alla morte, avvenuta il 9 gennaio di un anno imprecisato (s’ipotizza il 710). La sua fama di taumaturgo, richiamò per molti secoli alla sua tomba folle di pellegrini.

 

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra attenzione sono tratti da:

1ª Lettera di Giovanni, cap.5, 14-21; Salmo 149; Vangelo di Giovanni, cap.3, 22-30.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

L’abbassarsi di Dio, e del suo figlio, Gesù, è l’abbassarsi – fino ad identificarsi con essi  – nei confronti degli ultimi, dei piccoli, dei poveri. La chiesa (anche noi, dunque) dovrebbe essere la società di coloro che fanno a gara per rimpicciolirsi, perché quelli abbiano a crescere. Ma, per arrivare a farlo, deve in primo luogo accorgersi di loro, lasciarsi conquistare e convertire dal loro sguardo. È ciò che sostiene José Comblin in un brano del suo libro  O Caminho. Ensaio sobre o seguimento de Jesus” (Paulus), che, nel congedarci, vi proponiamo come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il povero è sempre stato l’altro. Oggi sembra esserlo anche di più, più estraneo che nei secoli passati. L’attuale divisione sociale fa di un povero un essere ancora più distante. Egli resta escluso anche geograficamente; per comprovare il suo rifiuto, basta vedere il luogo dove abita. L’escluso è l’altro per eccellenza. È stato eliminato dalla vista. Tutto è stato architettato perché egli non possa neppure guardare in direzione di coloro che contano nella società. Per questo l’amore per il povero comincia con un movimento verso di lui. Può succedere che la conversione si dia in modo imprevisto, motivata dallo sguardo di quelche povero che è riuscito a bucare la barriera di protezione esistente. Perché la conversione si dia, dopo che qualcuno si è lasciato raggiungere dallo sguardo del povero, è necessario fare il primo passo per andargli incontro. Senza questo passo non ci sarà liberazione. Non si programma la liberazione in un ufficio, davanti al computer. Per iniziare questo processo c’è bisogno di un contatto personale. Molti hanno paura di passare il confine che separa i due mondi. Non si azzardano ad andare incontro al povero. Parlano dei poveri, ma non li conoscono. Sentono parlare di loro, ma non ne hanno un’esperienza diretta. Non hanno mai sentito lo sguardo dei poveri su di loro, perché sono fuggiti. L’amore inizia nel momento in cui si percepisce lo sguardo questionatore che si dirige a noi. […] Lo sguardo del povero è l’espressione concreta, materiale, unica nel momento presente, di uno sguardo più generale. Attraverso lo sguardo del povero passa lo sguardo di miliardi di poveri che ci sono nel mondo.  Questo povero non è un caso speciale. Corrispondere al suo sguardo permette di scoprire lo sguardo di tutta quella parte dell’umanità che è stata rifiutata, esclusa, e si chiede perché. […] Amare è sentire questo sguardo collettivo nello sguardo particolare, dato che, senza la percezione dello sguardo di una determinata persona, il resto diventa astratto. Nello sguardo di una determinata persona esclusa emerge il significato dello sguardo di tutte le altre, perché la tragedia di questo sguardo viene da tutti gli sguardi che egli rivela. (José Comblin, O Caminho. Ensaio sobre o seguimento de Jesus).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Gennaio 2010ultima modifica: 2010-01-09T22:20:00+01:00da fraternidade
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