Giorno per giorno – 04 Dicembre 2009

Carissimi,

“Udranno in quel giorno i sordi le parole del libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno” (Is 29, 18).  A proclamarlo è lo stesso Isaia, che, all’inizio della sua missione, era stato inviato a dire: “Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da essere guarito” (Is 6, 10). Oracolo che sembrerebbe pronunciato sulla generazione del nostro tempo, più che su ogni altra. Ma, come già avvenne in passato, se è questa la fotografia della realtà, non è tuttavia essa ad avere l’ultima parola. Tornerà il tempo (ma dovremo porci mano anche noi) in cui la nuova umanità, modellata a misura dell’agire di Dio, sarà di nuovo capace di udire il grido dei poveri, di vederne la sofferenza e di aprire il suo cuore ad essi. “Mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguivano gridando: Figlio di Davide, abbi pietà di noi! Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: Credete che io possa fare questo? Gli risposero: Sì, o Signore! Allora toccò loro gli occhi e disse: Avvenga per voi secondo la vostra fede. E si aprirono loro gli occhi” (Mt 9, 27-30). Che, poi, è quanto fa Dio, instancabilmente, da sempre: “Il Signore disse: Ho osservato la miseria del mio popolo e ho udito il suo grido. Sono sceso per liberarlo” (Es 3, 7-8). E il risultato è che “Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele. Perché il tiranno non sarà più, sparirà l’arrogante, saranno eliminati quanti tramano iniquità, quanti con la parola rendono colpevoli gli altri, quanti alla porta tendono tranelli al giudice e rovinano il giusto per un nulla” (Is  29, 18-21).  L’Avvento è questa conversione del cuore.

 

La memoria di oggi cadrebbe in realtà due giorni fa. Se la mettiamo qui, è solo per darle un rilievo maggiore, dato che oggi abbiamo un po’ più di spazio. Noi ricordiamo Ivan Illich, profeta della speranza. Lui avrebbe detto “uomo epimeteico”. Che è la stessa cosa, solo un po’ più difficile.

 

04 IVAN ILLICH.jpgIvan Illich era nato a Vienna il 4 settembre 1926 da padre croato e cattolico,  e da madre ebrea sefardita. Nel 1941, a causa delle leggi razziali, con la famiglia lasciò l’Austria e si trasferì a Firenze, dove completò gli studi e dove maturò la vocazione al sacerdozio. Dopo gli studi teologici all’Università Gregoriana, fu ordinato prete nel 1951. Assegnato alla diocesi di New York, svolse per alcuni anni il suo ministero in una parrocchia a forte presenza di immigrati portoricani. Amico di Erich Fromm e di Jacques Maritain, nel 1956 fu nominato prorettore dell’Università Cattolica di Portorico, incarico che dovette lasciare nel 1960 per le crescenti incomprensioni con la gerarchia cattolica locale, incapace di una vera inculturazione in una società latinoamericana come quella portoricana. Nel 1961 creò a Cuernavaca, in Messico, il Centro Interculturale di Documentazione (CIDOC), con la finalità di meglio preparare i preti destinati alle missioni in America latina. Illich fu giudice sufficientemente severo per rimandarne a casa la metà, giudicandoli incapaci di rinunciare alla cultura consumista della società industriale nordamericana. Partendo da un’ispirazione radicalmente cristiana, denunciò con convinzione la politica colonialista dell’Occidente. Nel 1968, Illich venne chiamato a Roma per rispondere a un processo intentatogli dal Sant’Uffizio, a causa di alcune sue critiche all’istituzione. Benché ne uscisse prosciolto, nel febbraio del 1969 lo stesso dicastero romano vietò ai preti di seguire i corsi del CIDOC. Due mesi dopo, in una lettera aperta pubblicata dal New York Times, Illich rendeva pubblica la sua rinuncia a tutti i suoi titoli, benefici e servizi ecclesiastici. Non chiese la riduzione allo stato laicale. Restò prete incardinato nella diocesi di New York, conservando l’impegno alla preghiera quotidiana del breviario e mantenendo in tutti gli anni seguenti, fino alla morte, una fortissima tensione morale e religiosa. Dal 1980, Illich fece molti viaggi, dividendo il proprio tempo tra gli Stati Uniti, il Messico, e la Germania, denunciando il neopaganesimo nostro contemporaneo “che ha trasformato la persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, in un essere larvale pieno di bisogni decisi e risolti da esecutori di regolamenti e da tecnostrutture” e additando la necessità di una profonda deistituzionalizzazione della società e di una decrescita economica, in vista di una ritrovata convivialità. Colpito da un tumore al volto, che lo tormentò per quasi vent’anni, preferì cercare di curarlo con metodi tradizionali, senza successo. Morì il 2 dicembre 2002, al suo tavolo di lavoro. Ad un amico che poco tempo prima gli aveva chiesto a bruciapelo: “Ivan, credi in Dio?”, aveva risposto: “Dio danza sul mio naso, da sempre. Se non credessi in Dio niente nella mia vita avrebbe senso”.

 

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflesione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.19, 17-24; Salmo 27; Vangelo di Matteo, cap.9, 27-31.

 

La preghiera del venerdì è in comunione con le comunità islamiche che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

 

Nel tardo pomeriggio, nonostante la minaccia di pioggia (che, difatti, poi è arrivata, come quasi ogni sera, o mattina, o notte, o giorno, in questa straordinaria e meravigliosa primavera), ci siamo ritrovati un buon numero, nel “Centro Comunitário Giovanni Gavazzoli” per un incontro sul tema “Omissione sociale e violenza domestica famigliare contro bambini e adolescenti”. Il quadro che ne è uscito è risultato francamente allarmante per una città piccola e apparentemente tranquilla, come la nostra. Urge un’opera di sensibilizzazione e di coinvolgimento delle famiglie, della scuola, delle chiese  e della pubblica amministrazione. Quello che si é dato noi è solo un piccolo, timido passo, l’offerta di uno spazio, in questa direzione.

 

Romilson raccontava che è stato a visitare Serginho, che è ancora in rianimazione a Goiânia, dopo l’aggressione subita l’altra domenica. Dice che l’ha riconosciuto ma che è riuscito solo a piangere.  Nel primo pomeriggio di oggi, un nuovo episodio di violenza è stato consumato nel bairro.  Dell’uomo, che è stato ucciso nella sua casupola, vicino a casa di dona Dominga, sappiamo solo il soprannome “Pirulito”.  Ma anche solo questo basta per ricordarlo, con la sua famiglia, a Lui. Che ne conosce il vero nome ed ogni altra cosa.     

 

Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura un brano di Ivan Illich, tratto dal suo “La convivialità” (Red Edizioni). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il paradosso è che mentre la nostra abilità ad attrezzare l’azione umana ha oggi toccato un livello prima impensabile, nello stesso tempo, è diventato difficile concepire una società dotata di strumenti semplici, in cui la maggioranza degli uomini possa conseguire dei fini immaginati autonomamente. I nostri sogni sono standardizzati, la nostra immaginazione industrializzata, la nostra fantasia programmata. Non siamo capaci di concepire altro che sistemi iper-attrezzati di abitudini sociali, conformi alla logica della produzione di massa. Abbiamo quasi perduto la capacità di sognare un mondo in cui ognuno possa essere ascoltato, nel quale nessuno sia obbligato a limitare la creatività altrui, dove ciascuno abbia uguale potere di modellare l’ambiente che a sua volta poi determina i desideri e le necessità. Siamo chiusi alla prospettiva di un mondo che sia moderno e al tempo stesso libero da condizionamenti clientelari. Il mondo attuale è diviso in due: ci sono quelli che non hanno abbastanza e quelli che hanno troppo; quelli che le automobili cacciano dalla strada e quelli che guidano le automobili. I poveri sono frustrati e i ricchi sempre insoddisfatti. Una società attrezzata col cuscinetto a sfere e che procedesse al ritmo dell’uomo sarebbe incomparabilmente più efficiente di tutte le rozze società del passato, incomparabilmente più autonoma di tutte le società programmate del presente. Siamo nell’epoca degli uomini-macchina, incapaci di cogliere nella sua ricchezza e concretezza il raggio d’azione offerto dagli strumenti moderni quando fossero mantenuti entro certi limiti. Nella mente dell’uomo-macchina non c’è posto per immaginare il salto qualitativo che deriverebbe da un’economia in equilibrio stabile col mondo in cui agisce. Nel suo cervello non c’è nessuna casella per una società libera dagli orari e dai trattamenti imposti dalla crescita degli strumenti. L’uomo-macchina non conosce la gioia che è a portata di mano, in una povertà voluta; ignora la sobria ebbrezza della vita. Una società in cui ognuno sapesse quanto basta sarebbe forse una società povera, ma anche, non c’è dubbio, libera e ricca di sorprese. (Ivan Illich, La convivialità).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

Giorno per giorno – 04 Dicembre 2009ultima modifica: 2009-12-04T23:20:00+01:00da fraternidade
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