Giorno per giorno – 05 Dicembre 2009

Carissimi,

“Popolo di Sion, che abiti a Gerusalemme, tu non dovrai più piangere. A un tuo grido di supplica [il Signore] ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta. […] Il Signore curerà la piaga del suo popolo e guarirà le lividure prodotte dalle sue percosse” (Is 30,19. 26). E, a compimento della profezia, il Vangelo che abbiamo ascoltato stamattina diceva: “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità” (Mt 9, 35). Noi si ha bisogno di ascoltare di nuovo quelle promesse, ma soprattutto di vederle realizzate. Il Vangelo però aggiunge anche che Dio non ce la fa da solo. Per questo Gesù dice: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!” (Mt 9, 38). E mica stava pensando ai sacramenti o ai preti, che, anzi, se avesse visto un po’ più in qua, fino ai giorni nostri, davanti a certi figuri (avete in mente il leghista parroco di Bregnano, in Longobardia?), avrebbe detto: no, di questi ce n’è anche troppi: pregate il Signore di rimandarli a casa. Faranno meno danno! No, era preoccupato per i malati e i sofferenti. Per questo si inventa gli apostoli e gli dà come missione: “Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 7-8). Questo è il segnale dell’avvento del regno. E, apostoli, possiamo esserlo tutti, se assumiamo questo programma. Compresi i preti, naturalmente. Persino il don Aldo Milani, il summenzionato parroco Sempre che si ricreda della sciocchezzuole che gli capita di  sparare. Del tipo: il crocifisso è un’usanza (!), che i turchi, quando vengono da me, devono rispettare. Come io mi tolgo il collarino da prete quando vado da loro. Eh, vecchio mio, non ti rendi conto che è proprio perché l’hai ridotto a un’usanza dimenticata sul muro,  che – non i turchi – ma la tua gente non lo prende (e non ti prende) più sul serio? Il crocifisso, se non te l’hanno insegnato in seminario, è il dono della vita. Altro che un collarino da prete.

 

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Matthew Lukwiya Gulu, martire della carità in Uganda; dei Martiri ebrei durante la peste nera (1348-1350); e quella di Srî Aurobindo Ghose, mistico indiano.

 

05 MATTHEW LUKWIYA bis.jpgMatthew Lukwiya Gulu era nato il 24 novembre 1957 a Kitgum, in una famiglia anglicana, profondamente religiosa. Studente particolarmente dotato, risultò primo della sua scuola, alla fine delle elementari; primo del Nord Uganda alla fine delle medie e primo del Paese alla fine delle superiori. Laureatosi in medicina all’Universitá di Makerere, fu chiamato alla direzione del St. Mary’s Hospital di Lacor da Lucille e Piero Conti, fondatori di questa prestigiosa istituzione in campo sanitario. Specializzatosi in Pediatria tropicale a Liverpool e poi, in Sanità pubblica, a Kampala, fu a partire dall’ottobre del 2000, quando scoppiò l’epidemia di ebola, che diede il meglio (anzi tutto) di sé. In ventiquattro ore dalla prima segnalazione, l’ospedale di Lacor, sotto la sua guida, allestì un reparto di isolamento che divenne subito operativo, potendo contare sul generoso coinvolgimento del personale infermieristico, per lo più giovani uomini e donne, nella piena consapevolezza del rischio che questo significava. Molti di essi vi lasciarono infatti la vita, come lo stesso dott. Lukwiya. Il quale, una settimana prima di ammalarsi, così si rivolgeva ai suoi collaboratori: “Possiamo essere stanchi, avviliti per la morte di persone care, possiamo avere paura in quanto persone umane e possiamo considerare, in ogni momento, la possibilità di andarcene. Abbiamo la libertà di scegliere, nessuno ci può trattenere contro la nostra volontà. Allora riposerebbe il nostro corpo, ma non il nostro spirito. Sapremmo che potevamo offrire un aiuto a chi era disperato e non l’abbiamo fatto. Se io lasciassi in questo momento, non potrei più esercitare la professione medica nella mia vita. Non avrebbe più senso per me”. Matthew Lukwiya morì il 5 dicembre 2000. Solo un anno prima aveva deciso, seguendo in questo la moglie Margaret, di passare dalla chiesa anglicana ad una chiesa evangelica pentecostale. Chiese tuttavia di essere sepolto nell’ospedale, davanti alla  grotta della Madonna di Lourdes, accanto a Lucille Corti, che aveva dato la vita per curare i malati di Aids.      

 

05 MARTIRI EBREI.jpgFu un’epidemia tremenda quella che colpì l’Europa a metà del sec. XIV , provocando qualcosa come venti milioni di morti. Ignorando le reali cause della peste (le pulci dei ratti giunti con i mercantili provenienti dall’Oriente), vi fu chi, usando l’arma della superstizione e del fanatismo, additò i colpevoli nella minoranza ebrea, accusata di avvelenare i pozzi al fine di farla finita con il nemico cristiano. Un’ondata antisemita si scatenò e si diffuse presto in tutta Europa, dapprima in Francia e Spagna, poi in Svizzera e Germania. Inutilmente il papa Clemente VI denunciò le false accuse mosse agli ebrei, condannando con fermezza gli eccidi. Il 5 dicembre 1349 questi culminarono con il massacro, a Norimberga, di 500 ebrei, torturati, sgozzati e arsi vivi.    

 

05 AUROBINDO.jpgNato il 15 Agosto 1872 a Calcutta (India), Aurobindo venne mandato, all’età di sette anni, a studiare in Inghilterra. Tornato in patria nel 1893, presto si coinvolse nella lotta politica contro il potere coloniale, il che gli costò la condanna ad un anno di carcere. Quest’anno di isolamento forzato gli fece capire che la lotta anticoloniale è solo un aspetto di un problema più vasto: la trasformazione della natura umana. Uscito di prigione, ancora perseguitato e spiato dalla polizia britannica, si trasferì a Pondicherry, nell’India francese, dove giunse nel 1910. Qui trascorse il resto della vita nell’ashram che si formò progressivamente intorno a lui, sotto la supervisione di “Mère”, Mirra Alfassa, una francese giunta a Pondicherry nel 1920. I suoi lavori e i suoi scritti – composti per la maggior parte tra il 1914 e il 1920 – ccomprendono poemi, commedie, saggi filosofici e un’incredibile quantità di lettere, nelle quali Aurobindo cercò di spiegare ai suoi discepoli ciò che faceva nel silenzio della cameretta, in cui restò praticamente confinato per 23 anni, dal 1927 fino alla morte, avvenuta il 5 dicembre 1950. Nel frattempo l’ashram andò sviluppandosi rapidamente, diventando presto un grande centro di spiritualità, la cui influenza si estese presto a  tutto l’Occidente.  Srî Aurobindo scrisse: “Chi cerca Dio, non si limita a formulare idee, cerca di metterle in pratica. Il suo fine consiste nel raggiungere la vita divina, non nell’elaborare teorie su di essa” . Il principio in grado di condurre a ciò è il dono di se stessi, “in forza del quale si passa da una gioia minore ad una felicità senza confini e consapevole”. “Nessuna salvezza può essere raggiunta al prezzo di sottrarci all’amore di Dio nell’umanità, impedendoci di offrire al mondo quell’aiuto che gli possiamo dare. Se necessario insegniamo ciò: Meglio l’inferno con tutti i nostri fratelli infelici che una salvezza solitaria!”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap. 30,19-21.23-26; Salmo 147; Vangelo di Matteo, cap. 9,35-10,1.6-8.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

05 MOZART.jpgOggi noi ricordiamo anche lui, Johannes Chrysostomus Wolfgangus Gottlieb (o Theophilus), o anche soltanto Wolfgang Amadeus (che è “Theophilus” latinizzato) Mozart. Nato a Salisburgo il 27 gennaio 1756 e morto trentaseienne il 5 dicembre 1791. Che deve starsene in cielo ad allietare per quel che può, considerati i tempi, il buon Dio e la corte celeste.

 

In questo tempo di Avvento confessiamo che Roma in viola ci piace un sacco. Semina speranza ed è preludio di tempi migliori. E non diciamo altro.

 

Dato poi che si è fatto tardi e noi si ha anche sonno, ci congediamo qui, lasciandovi alla lettura di un brano di Sri Aurobindo, tratto da “Lo Yoga delle Opere divine” (Ubaldini). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

In qualsiasi culto, il simbolo, il rito significativo o la forma espressiva non rappresentano solamente un elemento estetico che commuove ed arricchisce, ma un mezzo fisico che porta l’essere umano ad inquadrare esteriormente l’emozione o l’aspirazione del cuore, per confermarle e dinamizzarle. Perché se il culto, senza l’aspirazione spirituale, è vano e privo di senso, egualmente l’aspirazione senza l’atto e la forma rimane un potere senza corpo e non completamente efficace nella vita. Disgraziatamente la sorte di tutte le forme della vita umana è quella di cristallizzarsi, di divenire una semplice formalità e, per conseguenza, d’isterilirsi; e quantunque la forma e il culto conservino sempre il loro potere per l’uomo che può ancora penetrarne il senso, la maggioranza si serve della cerimonia come di un rito meccanico, e del simbolo come di un segno privo di vita. Tutto ciò uccide l’anima della religione, ed è per questo che il culto e la forma devono alla fine venire cambiati o respinti. Per questa ragione, certuni considerano il culto e la forma come cose sospette o dannose; ma ciò nonostante pochi sono coloro che riescono a fare a meno dei simboli esteriori, ed anche un certo elemento divino nella natura umana li richiede per rendere più completa la sua soddisfazione spirituale. Il simbolo è sempre naturale e positivo finché è vero, sincero, bello e gradevole, e si potrebbe anche aggiungere che una coscienza spirituale che non contenesse elementi estetici o emotivi non sarebbe interamente, o comunque, integralmente spirituale. Nella vita spirituale la base dell’atto è una coscienza spirituale perpetua e rinnovatrice, spinta ad esprimersi  e a fare di ogni azione un simbolo vivente di qualche verità dell’anima, espressione della sua stessa visione e del suo impulso creatore. In tal modo il ricercatore opera sulla vita e la tramuta nella forma e nella essenza. (Sri Aurobindo, Lo Yoga delle opere divine).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Dicembre 2009ultima modifica: 2009-12-05T23:13:00+01:00da fraternidade
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