Giorno per giorno – 30 Ottobre 2009

Carissimi,

“Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa. Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: È lecito o no guarire di sabato? Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò” (Lc 14, 1-4). Confinare Gesù nel suo tempo e fare dei suoi discorsi una semplice espressione delle diatribe che investivano le correnti religiose dell’epoca ci farebbe, tutto sommato, abbastanza comodo. Perché ci porterebbe tutt’al più a dire: com’erano buoni e intelligenti quelli o cattivi e ottusi quegli altri, senza però mettere mai in campo noi stessi, né vederci questionati nelle nostre scelte e nei nostri comportamenti. E, invece, le situazioni e i personaggi evangelici ci sono offerti proprio perché sappiamo di volta in volta riconoscerci in essi e sentirci così confermati nelle notre attitudini o bisognosi di conversione. Il piccolo episodio che ci è stato proposto oggi è ambientato anch’esso in un giorno di sabato, nella casa di un’autorità religiosa, durante il pasto (il testo greco suona letteralmente: a mangiare pane). Sarebbe troppo pensare che Luca abbia in mente la sua (ed ogni altra) comunità, dove la dimensione religiosa, invece di propiziare umiltà vera e solidarietà fraterna, stuzzica ambizioni, favorisce (già allora!) ricerca del potere e arrivismi? A scapito, come sempre succede in questi casi, degli ultimi arrivati, dei più deboli e  poveri. Gesù non si sogna di contestare il Sabato, né la legge di Dio. In questo senso Gesù (con il suo significato) non è, come si è preteso interpretare, la fine della Legge, ma si ripropone come il fine di essa, l’intenzione profonda che la sottende, la sua illustrazione più eccellente. Si può guarire la religione dal suo male profondo, dall’orgoglio spirituale, dall’idropico che si nasconde dentro di noi? “Essi tacquero” dice il Vangelo dei farisei e dei dottori della Legge interpellati da Gesù. Ed è logico, come anche noi ce ne stiamo zitti, zitti, per evitare di riconoscere che è nostra l’idropisia che Gesù vuole curare, e di cui noi non vogliamo affatto essere guariti. Lui, però, forse, prenderà ugualmente l’iniziativa. Per nostra buona sorte.  E il nostro io comincerà a sgonfiarsi, sgonfiarsi, fino a che si svuoterà completamente.

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Due sono i martiri di cui facciamo memoria oggi: Marcello di Tangeri,  obiettore di coscienza, martire della non-violenza, e Santo Dias, martire della giustizia e della solidarietà.

 

30 IESUS.jpgGiovane nordafricano, Marcello era centurione dell’esercito romano, quando, scegliendo la non-violenza, rifiutò di continuare a servire in armi l’impero. Gli atti del processo riferiscono che il 21 luglio del 298, mentre  si celebrava la festa degli “augusti imperatori”  Marcello, centurione ordinario, gettò le sue armi alla presenza della truppa riunita e proclamò la sua rinuncia al servizio militare per servire nella milizia di Cristo. Il 28 luglio fu interrogato dal comandante Fortunato, il quale considerando la gravità del delitto, decise di inviarlo al suo superiore gerarchico, Aurelio Agricolano, a Tangeri. Il 30 ottobre Marcello, introdotto alla sua presenza, fu interrogato nuovamente.  Agricolano gli chiese: “Quale furore ti ha preso così da profanare il giuramento?”. Marcello rispose: “Non è certo pazzo uno che teme Dio”. Agricolano domandò ancora: “È vero che hai gettato a terra le armi?” e Marcello di ritorno: “Sì, non è lecito infatti combattere al servizio del potere di questo mondo per un cristiano che teme Cristo Signore”. Agricolano disse allora: “Si decreta che sia condannato a morire di spada Marcello che pubblicamente ha rinnegato il suo giuramento e profanato il grado di centurione, nel quale militava, ed ha pronunziato le parole piene di folli riportate negli atti del comandante”. E mentre veniva condotto al supplizio, Marcelo disse: “Il Signore ti benedica”. E dopo queste parole venne ucciso con la spada.

 

30 SANTO DIAS ii.jpgSanto Dias era nato il 22 febbraio 1942, nella Fazenda Paraíso, municipio di  Terra Roxa (entroterra di São Paulo), da Laura Amâncio e Jesus Dias da Silva. Dopo aver lavorato come bracciante, partecipando al sindacato dei lavoratori agricoli e alle sue azioni di lotta, nel 1961 fu espulso dalla terra dove era colono, per aver chiesto di essere messo a libretti e si trasferì nella capitale. Assunto in una fabbrica metallurgica, fu membro attivo delle Comunità ecclesiali di base e ministro dell’Eucaristia, agente della Pastorale operaia e leader sindacale. A causa di questa sua militanza subì ripetutamente repressione e licenziamenti, senza mai lasciarsi intimidire. Sposato con Ana Maria, da cui ebbe due figli, Santinho e Luciana, fu ucciso a 37 anni, durante una pacifica manifestazione di lavoratori metallurgici a São Paulo il 30 ottobre 1979. I funerali, presieduti, nella cattedrale di São Paulo, dal card. Paulo Evaristo Arns e da altri undici vescovi,  riunirono migliaia di persone, delle comunità cattoliche, ma anche rappresentanti delle chiese evangeliche, ebrei, spiritisti, seguaci delle religioni afro e dei movimenti politici allora in lotta per la democrazia.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera ai Romani, cap.9, 1-5; Salmo 147; Vangelo di Luca, cap.14, 1-6.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

È tutto per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di S. Agostino, tratta dal suo “Esposizioni su Salmi”.  Dice della passione e delle sofferenze di Cristo, dei martiri, dei poveri che sono la sua Chiesa, e, se osiamo (dobbiamo osare), persino delle nostre. E dice anche di quando l’iniquità sarà scomparsa, e noi saremo con Lui in una sola pace. È, per oggi, il nostro.   

 

PENSIERO DEL GIORNO

Tutti lo uccidete. Nel corpo di un uomo solo ci potrà, dunque, essere tanta ampiezza che gli consenta di essere ucciso da tutti? Ma dobbiamo qui intendere la nostra persona, cioè la persona della Chiesa, la persona del corpo di Cristo. Perché Gesù Cristo, capo e corpo, è un uomo solo: è salvatore del corpo e membra del corpo, due in una sola carne, in un’unica voce e in un’unica sofferenza; e, quando l’iniquità sarà scomparsa, in una sola pace. Perciò le sofferenze di Cristo non sono esclusivamente nel Cristo, o meglio, le sofferenze di Cristo non possono essere se non nel Cristo. Se intendi Cristo come capo e corpo, non vi sono sofferenze al di fuori di Cristo; se, invece, intendi Cristo soltanto come capo, le sofferenze di Cristo non le troviamo esclusivamente nel Cristo. Se infatti le sofferenze fossero nel solo Cristo, o meglio nel solo capo, in qual modo potrebbe uno dei suoi membri, l’apostolo Paolo, dire: Per completare ciò che manca alle tribolazioni di Cristo nella mia carne? Se, dunque, sei uno dei membri di Cristo, o uomo, chiunque tu sia che queste parole ascolti, chiunque tu sia che ora non ascolti (ma devi necessariamente ascoltarle, se sei un membro di Cristo): ebbene, qualunque cosa tu soffra da parte di coloro che non sono nelle membra di Cristo, questo mancava alle sofferenze di Cristo. Per questo si aggiunge, perché mancava. E tu colmi la misura, non la fai traboccare; tanto soffri quanto attraverso le tue sofferenze doveva essere aggiunto alla universale passione di Cristo. Egli soffrì un tempo nella persona del nostro capo e soffre oggi nelle sue membra, cioè in tutti noi. (S. Agostino, Esposizioni sui Salmi).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Ottobre 2009ultima modifica: 2009-10-30T23:25:00+01:00da fraternidade
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