Giorno per giorno – 21 Ottobre 2009

Carissimi,

“Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi” (Lc 12, 42-44). Ovvero, la gerarchia (se proprio vogliamo arrischiare a chiamarla così), come l’intende Gesù. Il quale aveva anche detto: “Chi vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (Mc 9, 35). E la funzione del servo preposto alla sua servitù è “dare da mangiare” al momento giusto. Che poi è quello che ha sempre fatto Gesù, fino a darci in cibo il suo corpo, cioè la sua stessa vita. Nella cena, prima, sotto il segno del pane, sulla croce, poi. Per questo aveva già potuto dire : “Il Padre mio ha messo tutto nelle mie mani” (Lc 10, 22). E oggi ripete, per sé e per quanti di noi si disporranno a fare lo stesso: “lo metterà a capo di tutti i suoi averi”. Noi, con Lui, vita che si dona ai fratelli, pane per l’umanità. Erci, stasera, durante la celebrazione della Parola, diceva: dar da mangiare è in fondo ciò che fa la nostra comunità ogni volta che ce n’è bisogno.  E ricorda l’ultimo dei casi in ordine di tempo, quello di suo cugino che un incidente di moto di qualche settimana fa ha temporaneamente privato dell’uso delle braccia e perciò anche della possibilità di lavorare; e di come la comunità se ne sia fatta subito carico. “Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente” (Lc 12, 45-46). Già, nche questo è possibile nel comportamento dei suoi (cioè di noi). Ed è più comune di quanto non si sia portati a pensare. Lo ha sottolineato Gerson, che ha detto: c’è un maltrattare e fare violenza di cui neppure abbiamo coscienza, perché non lo facciamo in prima persona, ci limitiamo a lasciarlo accadere come frutto della nostra trascuratezza e indifferenza. Così come c’è un ubriacarsi che non ci consegna necessariamente ai fumi dell’alcool, ma al veleno intorpidente del nostro io e dei suoi istinti egoisti. Il che è anche peggio. E c’è persino un “servire”  che non è servire, ma solo voler apparire. Così, quando a sera Lui arriva (Lui viene ogni sera, non c’è bisogno di aspettarlo l’ultimo giorno), accade, se solo sappiamo accorgercene, l’inevitabile.  Il testo greco lo descrive con una parola terribile (che le traduzioni attenuano, rendendola con “punirà severamente”): dichotomêsei, lo taglierà in due. Come dire: hai tradito te stesso, svenduto la tua vocazione, hai il cuore diviso. Sei peggio che se non avessi nessuna fede. E, però, è Vangelo, cioè, Buona Notizia, anche questo giudizio. Perché da esso possiamo ripartire, per cambiare.              

 

Oggi, il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria dei Martiri ebrei dei pogrom nell’Impero russo.

 

21 Pogrom in Russia.jpgNell’ottobre del 1905, in numerosi distretti dell’impero russo, dalla Polonia all’Oceano Pacifico,  scoppiano violenti pogrom contro la popolazione ebraica, con il sostegno, la tacita approvazione o, in molti casi, il concorso diretto delle autorità di governo, delle forze dell’esercito e della polizia. Si calcola che negli ultimi dieci giorni del mese vi furono una cinquantina di “grandi” pogrom e circa seicento “piccoli” pogrom.  I più sanguinosi si ebbero a Bogopol, Aleksandrovsk, Jusovka, Golta, Mariupol, Tomsk, Olviopol, ma soprattutto a Odessa, dove i morti furono almeno 800, migliaia i feriti, e migliaia le case di ebrei distrutte o saccheggiate. Testimoni oculari dichiararono che “gli autori delle devastazioni, brutalmente e indiscriminatamente, picchiavano, mutilavano e assassinavano ebrei inermi, uomini, donne e bambini. Scagliavano le loro vittimi fuori dalle finestre, violentavano, squarciavano il ventre alle donne gravide, massacravano bambini davanti ai loro genitori”. I pogrom erano spesso pubblicizzati con volantini di questo tenore: “Cari fratelli, nel nome del nostro Salvatore che ha versato il suo sangue per noi e nel nome del nostro amatissimo zar pieno di attenzioni per il suo popolo, gridiamo: “abbasso i Jid!”, addosso a questi aborti infami, a queste sanguisughe avide di sangue! Venite in nostro aiuto, lanciatevi sugli sporchi Jid, siamo già numerosi”. Furono gli ultimo pogrom nella Russia zarista che preferì optare negli anni successivi per la tattica dell’agitazione a freddo. Nel decennio 1906-1916 furono pubblicati 2837 libri ed opuscoli a carattere antisemita e il contributo finanziario dello zar Nicola II (canonizzato dalla Chiesa ortodossa nell’anno 2000) superò i 12 milioni di rubli. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera ai Romani, cap.6, 12-18; Salmo 124; Vangelo di Luca, cap.12, 39-48.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza  per la pace, la fraternità e la giustizia. 

 

Pagina terribile, quella scritta nella nostra memoria di oggi. A riflettere sulla quale – così come su ogni altro fatto di violenza, di intolleranza, di rifiuto dell’altro ci è dato sperimentare nei nostri giorni – può forse aiutarci questa citazione di Rav Roberto Della Rocca, Rabbino capo della Comunità ebraica di Venezia. È tratta dalla relazione presentata al Moked del Dac-Ucei di Milano Marittima 1996 e pubblicata sul bimestrale ebraico torinese “Ha Keillah” del Giugno 1996 col titolo: “E Dio creò la diversità”. Noi la riprendiamo dal sito www.nostreradici.it e ve la proponiamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Si afferma nel Talmud babilonese (Sanhedrin 37 a): “Badate, che l’uomo è stato creato solo, per insegnare che chiunque distrugge una vita è come se distruggesse il mondo intero, e chi invece mantiene una vita è come se mantenesse un mondo intero”. E inoltre si aggiunge: “Perché l’uomo è stato creato solo? Per propagare la pace tra le nazioni, cioè perché nessuno potesse dire agli altri: mio padre era più grande del tuo… ed infine per affermare la grandezza del Signore, Santo e Benedetto Egli sia. Perché l’uomo quando vuole coniare delle monete le fa tutte identiche, mentre Dio, pur creando l’uomo con il marchio di Adamo, non crea nessuna creatura simile all’altra”, e perciò, conclude il passo, ogni uomo può e deve dire “per me è stato creato il mondo!”. Se io sono irripetibile, io sono importante e prezioso. Avvertire la propria individualità e unicità e agire di conseguenza è un connotato fisiologico dell’esistenza umana e come tale non può essere un male, anzi. “Se non sono io per me, chi sarà per me?…”.  Ma finché l’uomo non sente altro fondamento di sé che il suo io, egli rimane escluso dal processo di autenticazione del sé che lo può condurre alla fondazione della totalità rispetto alla quale l’io è unicamente parte. “…E quand’anche io pensi solo a me, che cosa sono io?…” (Mishnàh, Avot 1, 13).  Secondo alcuni Maestri i Dieci Comandamenti (Esodo 20, 2-17) potrebbero essere sintetizzati collegando semplicemente la prima e l’ultima parola del testo: “Anochì” (“Io Sono”) e “lere‘echa” (“per il tuo prossimo”). Per comprendere l’alterità, il “lere‘echa”, bisogna prima individuare la propria identità, l’Io Sono, l’ “Anochì”, altrimenti al prossimo si può offrire ben poco. Il capitolo 12 della Genesi si apre con il comando di Dio ad Abramo “Lech lechà”, “Vattene via”, che potrebbe però anche significare “va verso te stesso”, ossia, “alla ricerca di te stesso”. Questo processo di individuazione, tuttavia, esige una forma di distacco dal passato, dai preconcetti ereditati, dagli assiomi e dalle norme etico-religiose, sociali e psicologiche non elaborate consapevolmente. “Vattene dentro te stesso”, ascolta la voce che ti viene da dentro e non sempre quella che ti proviene dall’esterno; soltanto attraverso questo processo Avràm, Abramo, diventa Avraham “padre di numerose genti” (Genesi 17, 5), un vero universalista. (Rav Roberto Della Rocca, E Dio creò la diversità).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 21 Ottobre 2009ultima modifica: 2009-10-21T23:31:00+02:00da fraternidade
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Un pensiero su “Giorno per giorno – 21 Ottobre 2009

  1. Il vangelo di oggi mi fa confrontare con una serie di parabole che hanno uno
    stesso messaggio:
    lo stile di vita di ognuno di noi dovrebbe essere caratterizzato dall’attenzione all’
    altro, a qualsiasi altro, che ci è vicino, soprattutto a chi è più nel bisogno,
    chi soffre la fame, la sete, chi invoca giustizia, libertà, accoglienza. Quello di
    Gesù non è un invito sdolcinato, è perentorio. Questo mi mette in difficoltà
    perché so che non posso giocare con la mia vita, né con quella degli altri, so
    perfettamente che sono messa di fronte ad una piena assunzione di
    responsabilità per quello che succede intorno a me e che a posto mio non c’è
    nessuno che può fare ciò che io sono chiamata a vivere. Non posso sprecare
    doni, talenti che mi sono stati dati: vanno usati, spesi nella mia vita
    quotidiana. Non posso fare a meno di pensare anche a chi ha il potere di
    amministrare la giustizia, ai grandi, ai potenti della terra che potrebbero/dovrebbero usare davvero autorità e potere a servizio di tutti,
    soprattutto di chi non ha scelto di vivere in situazione di povertà ed
    indigenza e che, invece “curano” soltanto i propri interessi. Come risponderanno, come risponderemo quando nostro Padre ci chiederà conto delle nostre azioni?

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