Giorno per giorno – 12 Ottobre 2009

Carissimi.,

“Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno più vino. E Gesù rispose: Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora. La madre dice ai servi: Fate quello che vi dirà” (Gv 2, 1-5). No, non ci siamo sbagliati. Il Vangelo qui da noi, oggi, è questo delle nozze di Cana, per via della festa di Maria, che, con il nome di Aparecida, è patrona del Brasile, ed è titolare (si dirà così?) di un santuarietto, grande una spanna, alle porte di Goiás, no alle porte, ma ad una dozzina di chilometri e forse venticinque da Itaberaí, che si trova dall’altro lato. Chilometri che una fila ininterrotta di pellegrini si macina per tutta la notte e poi lungo la giornata, con allegria, fatica e devozione (quest’ultima, a volte, un po’ mascherata). Adorazione di un piccolo, insignificante idolo, per alcuni dei nostri fratelli evangelici. Ma per la povera gente di qui (che neppure sa bene cosa significhi adorazione) è solo chiederle (per qualcuno una volta all’anno, per altri un po’ più spesso): Almeno tu, ci sei? E sentirsi rispondere: Sì, ma voi? Fate quello che Lui vi dice? E non c’è neppure bisogno di vergognarsi. Solo, di pensarci un po’ su.     


Dunque, oggi
, è la festa di N.S. Aparecida, che è chiamata anche la Vergine piccolina, Madre dei Poveri, Patrona del Brasile.

 

12. NS APARECIDA.jpgContrariamente a quello che può far pensare il nome (aparecida = apparsa), non si tratta della storia di un’apparizione mariana. La piccola statua in terracotta della Vergine Madre di Gesù, che è venerata in Brasile con questo titolo, fu trovata da alcuni pescatori nelle acque del fiume Paraíba nell’anno 1717, nell’entroterra dello Stato di São Paulo, a 160 chilometri dalla capitale. Per quasi vent’anni restò custodita, con affetto e devozione, nella casa di uno dei pescatori. Nel 1737 fu deciso di collocarla in una cappella. Più tardi, nel 1745, fu costruita una chiesa, poi una basilica (1888), fino a giungere alla basilica attuale, consacrata nel 1980, meta di pellegrinaggi e luogo di preghiera.

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:

Libro di Ester, cap.5, 1b-2; 7, 2b-3; Salmo 45; Libro dell’Apocalisse, cap.12, 1.5.13a.15-16a; Vangelo di Giovanni, cap.2, 1-11.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

 

Il nostro calendario ci porta anche la memoria di Elisabeth Fry, quacchera, amica dei carcerati e riformatrice delle prigioni, e di don Luigi di Liegro, prete dalle mani sporche.

 

12 ELIZABETH FRY.jpgElizabeth Gurney era nata a Norwich, nel Norfolk, in Inghilterra, il 21 maggio 1780, in una famiglia quacchera.  Diciottenne, durante un culto della Societa degli Amici,  dall’amica Deborah Darby si era sentita rivolgere le parole: “Tu sei nata per essere luce per i ciechi, parola per i muti, piede per gli zoppi”.  Ora, lei sapeva che quello non era semplicemente un messaggio della sua amica, ma la voce dello Spirito. Però non sapeva bene come e da dove cominciare. Decise di aprire una scuola domenicale, in casa. Dapprima fu solo per un ragazzino del vicinato, ma presto sarebbe stata una banda di un’ottantina di elementi ad invaderle la casa.  La ragazza dava loro da mangiare, vestiti, e gli insegnava a leggere usando la Bibbia.  A vent’anni sposò Joseph Fry, banchiere e anche lui quacchero osservante  e si trasferì nella sua casa, nei pressi di Londra. Insieme ebbero undici figli, ma lei potè ugualmente diventare predicatrice famosa  in seno alla Società. Nel 1812 fu per la prima volta a visitare la prigione femminile di Newgate e ne fu sconvolta. Le detenute vivevano ammucchiate coi loro bambini in piccole celle, dove dormivano sul pavimento, cucinavano da sé quel che potevano e provvedevano al bucato. Cominciò allora a dedicarsi alla missione di alleviare le condizioni di vita di quelle infelici, non solo a Newgate, ma presto in tutto il Paese e più tardi nel resto dell’Europa, sollevando il problema della riforma del sistema penitenziale. Nel frattempo, Elizabeth contribuì a creare un rifugio per i senzatetto, a Londra, fondò un’associazione di volontari con la finalità di visitare i quartieri più poveri, offrendo soluzione ai casi più difficili,  aprì una scuola per infermiere, e via di questo passo. Poi, sessantacinquenne, il 12 ottobre 1845, riposò in pace.        

 

12 LUIGI DI LIEGRO bis.jpgLuigi Di Liegro nasce a Gaeta, in provincia di Latina, il 16 ottobre 1928, ultimo di otto figli, di una famiglia che conobbe la sofferenza, le umiliazioni e lo sfruttamento della condizione propria degli emigrati. Entrato in seminario giovanissimo, fu ordinato sacerdote il 4 aprile del 1953, ed esercitò il suo primo incarico pastorale nelle parrocchie di borgata. Nel 1958 si recò in Belgio per approfondire i temi della pastorale del lavoro e per conoscere da vicino le condizioni di vita e di sfruttamento degli emigrati italiani che lavoravano nelle miniere del posto. Nel 1964 fu nominato responsabile dell’Ufficio pastorale della diocesi. Ricoprendo questo ufficio, organizzò nel 1974 il convegno “sui mali di Roma”, che denunciò la pessima amministrazione democristiana della città, nonché l’ostilità e l’indifferenza di gran parte della comunità cristiana nei confronti dei poveri. Nel 1979 diede vita alla Caritas Diocesana di Roma. Scontrandosi con la resistenza e l’aperta avversione di numerosi ambienti, dedicherà gli anni successivi ad organizzare servizi che rispondessero alle necessità delle categorie più deboli ed emarginate della popolazione: anziani, malati, senza tetto, nomadi, immigrati, tossicodipendenti e aidetici. La sua azione si estese oltre i confini della sua diocesi e del suo Paese: in Irpinia, in Armenia, nel Sud Est Asiatico, in Palestina e in Albania. Nell’estate del ’97, fu ricoverato all’Ospedale S. Raffaele di Milano per una crisi cardiaca. Il 12 ottobre 1997,  una nuova crisi ne provoca la morte. Aveva detto un giorno: “Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere”. Lui l’ha fatto.

 

E per ricordare don Luigi Di Liegro vi proponiam, nel congedarci, il brano di un articolo di Marco Damilano, apparso con il titolo “Sulle strade di don Luigi” in “Il Margine” n. 2, del febbraio 1998. Che è per oggi il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La politica di don Luigi, ha detto in un’intervista Emilio, il responsabile della mensa del quartiere di Primavalle, alla periferia ovest di Roma, era tutta contenuta nell’inizio del Vangelo di Giovanni: e il verbo si fece carne. La vicinanza con gli ultimi doveva diventare carne, progetto, competenza: su questo si fondava il modello Caritas costruito da Di Liegro. Di qui l’opera incessante di informazione e di conoscenza, i dossier sui temi più disparati, dall’annuale ricerca statistica sull’immigrazione in Italia (un appuntamento fisso per gli esperti del settore) alle indagini sulle condizioni dei minori. Di qui la denuncia nei confronti della politica corrotta e tutta immagine di destra e sinistra, di qui il tentativo di formare una nuova generazione di giovani attenti al bene comune, con le scuole di formazione politica, i corsi per giovani volontari nelle parrocchie, le settimane per gli obiettori di coscienza cui don Luigi era particolarmente legato. Di qui anche la strategia di coinvolgere il territorio, e in particolare i laici, nella gestione diretta dei servizi Caritas. Di Liegro era stato l’organizzatore del famoso convegno del febbraio ‘74 sui “mali di Roma”, e non aveva dimenticato quella lezione conciliare di partecipazione delle realtà di base. Una scelta che difendeva strenuamente, in tempi di neoclericalismo e di movimenti carismatici. E tuttavia cercava il dialogo, il confronto, il consenso, partecipava anche alle più sperdute assemblee dove sapeva che sarebbe stato duramente contestato per ascoltare, convincere. Era un uomo dal forte carattere, a volte addirittura accentratore, ma che riusciva a mobilitare attorno alle sue intuizioni le energie collettive, le intelligenze migliori, la partecipazione di un’intera città.  […] Il giorno dei suoi funerali è stato letto quel salmo che dice “ho invocato la tua giustizia, non ho tenuto chiuse le labbra”. Don Luigi non teneva le labbra chiuse, mai. Era un uomo che non faceva parte di nessun schieramento, ma che – come ha scritto Luigi Pintor sul Manifesto – stava da una parte sola. Per questo ci mancherà, ci manca già. (Marco Damilano, Sulle strade di don Luigi).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Ottobre 2009ultima modifica: 2009-10-12T23:23:00+02:00da fraternidade
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