Giorno per giorno – 11 Ottobre 2009

Carissimi,

“Mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna? Gesù gli disse: Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre” (Mc 10, 17-19). E, fino a qui, ci dicevamo giovedì sera a casa di , potrebbe andare bene anche a noi e bastare  a Dio, che non ha grandi pretese. Se non fosse che. Se non fosse che, se siamo corsi ai suoi piedi, e solo in questo caso, è perché sentiamo che c’è dell’altro, ci può essere dell’altro. Qualcosa come una sana inquietudine, una speranza a cui ci pare quasi impossibile credere, ma che tuttavia. Gli è che noi vorremmo essergli amici. Per questo non abbiamo mai smesso di corrergli incontro. E lui, con quel suo sguardo che ci penetra fino in fondo al cuore, ce ne fa credito. Per questo, non si ferma lì, ma osa chiederci di più: “Una sola cosa ti manca” (v.21). E noi a dirci: È fatta! Solo una cosa. Noi saremmo disposti a dargliene dieci, cento, mille. Poi, però, quando ascoltiamo ciò che ci chiede – non lo chiede per sé – lo chiede per i suoi piccoli: “Vendi quello che hai e dallo ai poveri” -, a noi, che pure non siamo ricchi, frana il mondo addosso. E così ci accorgiamo quanto poco lo amavamo. Qualunque altra cosa avrebbe potuto chiederci, ma questa proprio no. Eppure Lui e noi (noi come individui e noi come chiesa) sappiamo che è proprio il dono di quest’unica cosa (che è sempre ciò che noi consideriamo il nostro più importante possesso) la condizione della nostra libertà e perciò anche la prova provata della nostra amicizia. Unica ed esclusiva. Capace, a questo punto, di abbracciare il mondo intero.

 

Oggi è la XXVIII Domenica del Tempo Comune e i testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.5, 1-7; Salmo 80; Lettera ai Filippesi, cap. 4, 6-9; Vangelo di Matteo, cap.21, 33-43.  

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e le Chiese cristiane.

 

Oggi il calendario ci porta la memoria di un buon numero di quei discepoli fedeli:  padre João Bosco Penido Burnier e Tutti i Martiri dell’America Latina.

 

11 JOÃO BOSCO PENIDO BURNIER.jpgEra la sera dell’11 ottobre 1976. Due contadine, Margarida e Santana, erano sotto tortura nella prigione del presidio di polizia di Ribeirão Bonito, nel Mato Grosso, località del latifondo prepotente, del bracciantato semischiavo, della brutalità poliziesca.  La Comunità celebrava l’ultimo giorno della novena della patrona, N.S. Aparecida. E, in quel giorno erano arrivati in paese il vescovo, dom Pedro Casaldáliga e padre João Bosco Penido Burnier, un gesuita missionario tra gli Indios Bakairi. Informati di quanto stava succedendo, i due si recarono al commissariato per intercedere a favore delle due donne torturate. Quattro poliziotti li aspettavano sul posto. Solo un accenno di dialogo: Sapete che non potete fare questo. Dovete smetterla. Come tutta risposta, uno degli agenti colpì il p. João Bosco prima con un pugno, poi con il calcio della pistola infine gli sparò. Durante l’agonia che seguì, il prete riuscì a sussurrare: Offro la mia vita per il CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) e per il Brasile. Poi invocò il nome di Gesù, ripetutamente, e ricevette l’unzione degli infermi. Fu trasportato a Goiânia e morì il giorno dopo, festa della Vergine Aparecida, coronando così con il martirio una vita santa. Le sue ultime parole furono le stesse del maestro: “Abbiamo compiuto la nostra missione”. In questo giorno le Comunità cristiane dell’America Latina uniscono alla celebrazione del martirio di p. João Bosco, la memoria di tutti i martiri del nostro continente. Memoria di uomini, donne e perfino di bambini, di differenti razze, fedi e culture, assassinati per il solo fatto di lottare per un mondo più giusto e fraterno, per affermare i diritti degli indigeni, dei negri, delle minoranze, dei lavoratori, contro la violenza e la tortura, per la riforma agraria, la protezione dell’ambiente e la pace.

 

TORAH-SIMHAT.jpgOggi le comunità ebraiche della diaspora celebrano Simchat Torah, ovvero la “Gioia della Legge”. Entrando nella festa, la sera della vigilia, i rotoli della Torah vengono prelevati dall’aron-ha-kodesh (“arca santa”), e consegnati agli uomini che, a turno, abbracciati ad essi, compiono le sette hakafot (“giri”), cantando e danzando intorno alla bimah (la piattaforma da cui viene letta la Torah). Il rituale è ripetuto la mattina seguente, quando viene anche proclamato l’ultimo brano del Deuteronomio, subito seguito dal primo di Genesi, dando così inizio al nuovo ciclo annuale delle letture liturgiche.  Chi legge l’ultimo brano della Torah è chiamato Chatan Torah (“Sposo della Torah”), mentre colui che ne ricomincia la lettura è il Chatan Bereshit (“Sposo del Principio”). Che anche noi si possa sempre gioire del dono della Parola che ci viene fatto e si sappia danzarla con la nostra vita. Oltre tutti i possibili acciacchi della vecchiaia.      

 

11 CONCILIO VATICANO II.jpgL’11 ottobre 1962,  Giovanni XXIII  inaugurava il Concilio Vaticano II, che, a tutt’oggi, rimane profezia, o Pentecoste, incompiuta. Magari, e più specificamente, proprio sul tema che il Vangelo ci proponeva oggi: “Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri”. Chiesa povera, libera da ogni allenza con i potenti, solidale con i poveri. Ce n’è ancora di strada da fare. Nel congedarci, vi proponiamo una citazione del discorso inaugurale, pronunciato da papa Giovanni, dal titolo “Gaudet Mater Ecclesia” (La Madre Chiesa gioisce). È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Nell’esercizio quotidiano del Nostro ministero pastorale Ci feriscono talora l’orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni esse non vedono che prevaricazione e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando; e si comportano come se nulla abbiano imparato dalla storia, che pur è maestra di vita, e come se al tempo dei concili ecumenici precedenti tutto procedesse in pienezza di trionfo dell’idea e della vita cristiana, e della giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover dissentire da cotesti profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo. […] Non si può negare, che queste nuove condizioni della vita moderna hanno almeno questo vantaggio, di aver tolto di mezzo quegli innumerevoli ostacoli, con cui un tempo i figli del secolo impedivano la libera azione della Chiesa. Infatti, basta scorrere anche fuggevolmente la storia ecclesiastica, per rilevarne chiaramente come gli stessi concili ecumenici, le cui vicende furono una successione di vere glorie per la Chiesa Cattolica, siano stati sovente celebrati con alternative di gravissime difficoltà e tristezze, per l’indebita ingerenza di autorità civili. Esse, infatti, si proponevano bensí talora di proteggere con tutta sincerità la Chiesa; ma piú spesso ciò avveniva non senza danno e pericolo spirituale, poiché se ne occupavano secondo i calcoli di una loro politica interessata e pericolosa. (Giovanni XXIII, Gaudet Mater Ecclesia).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

Giorno per giorno – 11 Ottobre 2009ultima modifica: 2009-10-11T23:19:00+02:00da fraternidade
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