Giorno per giorno – 26 Settembre 2009

Carissimi,

“Mentre tutti erano sbalorditi per le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini. Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento” (Lc 9, 43b-45). Nelle mani degli uomini, nelle nostre mani. Se non capiamo questo, non avremo compreso nulla del mistero di Cristo. Lui resterà un messia (vero o falso, a questo punto, importa poco) rifiutato, o addirittura mandato a morte, se non da tutto il popolo ebreo, come piaceva a Lefebvre e ai suoi emuli o nostalgici (su questo tema specifico se ne trova negli ambiti più disparati), possibilmente da qualche autorità giudaica – che, a dire il vero, anche volendolo, non avrebbe potuto condannare a morte nessuno (ma è sempre bene dirottare su altri le colpe dei padri, prima che giungano, un giorno o l’altro, a incriminare noi, l’Occidente divenuto poi “cristiano” di deicidio. Il che sarebbe, del resto, assai più realistico, anche per il presente). No, il Vangelo, Gesù, non ci sta a questa versione di comodo. Lui, la verità di Dio, sarà consegnato nelle mani degli uomini. Il suo destino sarà deciso, ogni volta, in ogni tempo e luogo, da noi. Sempre che davvero si creda che Lui è il figlio di Dio. E non un figlio dei fiori o un romantico rivoluzionario  nella Palestina del primo secolo. 

 

La comunità fa oggi memoria di Cosma e Damiano, medici e martiri del 3° secolo, nonché dei Martiri di Timor Est. 

 

26_COSMA___DAMI_O.JPGArabi cristiani, buoni conoscitori dell’arte medica, Cosma e Damiano passarono la vita, assistendo i malati, senza farsi pagare. Per questo furono chiamati anàrgiri (parola greca che significa “senza argento”, “senza denaro”). Al giorno d’oggi, sarebbero quanto meno tacciati di “assistenzialisti”. Come Gesù del resto. I medici, i poveri, è bene che li paghino, perché capiscano così il valore del denaro (una visita medica costa qui da un terzo a metà del salario minimo)! I ricchi e i loro frequentatori, poi, o hanno l’assicurazione, o rimediano sempre una visita gratis, tramite gli amici degli amici. Mica da un medico qualsiasi, no, dal luminare di turno, ovviamente! In una situazione come la nostra (parliamo del Brasile, naturalmente!!), dove molti diventano medici solo per guadagnare soldi a palate (non di rado con “licenza d’uccidere”, data l’impunità garantita per i casi di malasanità), in una situazione in cui l’ “assistenza sanitaria”, ormai privatizzata, è uno dei “mercati” più floridi, è facile intendere il perché della popolarità di questi due santi. Che finirono, come spesso accade a chi dedica la vita al prossimo, per lasciarci la testa. Durante la persecuzione di Diocleziano, furono infatti decapitati per ordine del governatore Lisia, nell’anno 303, a Egea di Cilicia, in Asia Minore, o, secondo altri, a Ciro (nei pressi dell’attuale Antakya, in Turchia). Numerosi luoghi di culto sarebbero stati loro presto dedicati. Nella chiesa d’occidente il loro culto risale almeno alla fine del sec. V.

 

26_ERMINIA_CAZZANIGA BIS.jpg“Mentre i politici fanno la loro campagna di propaganda, noi realizziamo la nostra campagna di preghiera, offrendo i nostri sacrifici per commuovere il cuore di Cristo, re della pace e dell’amore. […] Oggi la nostra missione consiste non solo nell’aiutare, come dice san Paolo, ma in piangere con chi piange, condividere con chi è nel bisogno, dare nuova speranza e fiducia nel Padre che non abbandona i suoi figli”. Sono frasi dell’ultima lettera della canossiana, suor Erminia Cazzaniga (69 anni), scritta pochi giorni prima di essere uccisa dai miliziani del governo indonesiano, assieme ad un’altra suora, Celeste de Carvalho,  tre seminaristi, Jacinto Xavier, Fernando dos Santos e Valerio Conceição, due operatori  pastorali, un giornalista e due bambini, il 26 settembre 1999, a Los Palos (Timor Est). Nel loro martirio è riassunto il martirio di un intero popolo, migliaia di uomini, donne, bambini, uccisi per l’unica colpa di essere cristiani.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Zaccaria, cap.2, 5-9. 14-15a; Ger 31, 10-13; Vangelo di Luca, cap.9, 43b-45.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

La memoria dei due santi medici “a gratis”, Cosma e Damiano, ci suggerisce di proporvi in chiusura una riflessione sul tema della sofferenza, con cui la categoria dei medici ma soprattutto quella dei loro pazienti si trova ogni volta a confrontarsi. Scegliamo di farlo con le parole di padre Yves de Montcheuil, teologo del secolo scorso, cappellano delle formazioni partigiane nella resistenza al nazismo, fucilato per questo, in Francia, dalle truppe tedesche d’occupazione durante la Seconda Guerra Mondiale. Di cui quanti ci seguono sanno che noi facciamo memoria il 10 agosto. La riflessione è svolta a partire dall’evento di Cristo, e il brano è tratto dal suo libro “Leçon sur le Christ”, (Édition de l’Épi). È questo per oggi il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La sofferenza non è segno dell’abbandono di Dio. Essa non è, come gli spiriti non ancora sufficientemente illuminati dell’Antico Testamento hanno creduto, segno che Dio abbandona chi patisce ai suoi nemici. In realtà colui che soffre sulla croce, è colui per il quale il Padre testimoniava: Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi san compiaciuto (Mt. 3, 17). Chi è crocefisso, è colui nel quale Dio si compiace. Chi ha familiarità con la reazione di tante anime dell’Antico Testamento di fronte alla sofferenza – la cui eco risuona lungo tutto lo svolgersi della Bibbia – dovrebbe cogliere la trasformazione avvenuta. Il senso della sofferenza è mutato, non tanto per dichiarazioni o teorie nuove, quanto per l’atto stesso di Cristo e per la sua particolare posizione. Colui che soffre può ad ogni istante ripetere quella che fu l’ultima espressione di Cristo sulla croce: Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito! (Lc. 23, 46). Egli può essere consegnato al tormento dell’abbandono sensibile: la fede gli darà la certezza che perfino nelle tenebre, volendolo, egli si trova nelle mani di un Padre che lo ama. Egli non è lontano da Dio; al contrario, è a lui vicino più di quanto non sia prossimo a tutto ciò che lo opprime. […] Ora, il fatto che il Figlio di Dio ha sofferto, dà forza a questi sentimenti e solidità al nostro abbandono, in quanto ci assicura che, nel momento cruciale della nostra sofferenza, noi siamo avvolti dall’amore di Dio. Infatti, il simbolo della sofferenza, la croce, é nel medesimo tempo il simbolo dell’amore. Essa toccò in sorte a colui che il Padre ama soprattutto. La sofferenza, fisica o morale che sia, (lutto, separazione, insuccesso, delusione…) non è per questo attenuata o assopita. Essa acquista, invece, una qualità ed una risonanza del tutto diverse. Essa viene interiormente trasformata, prende un senso nuovo. (Yves de Montcheuil, Leçon sur le Christ).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Settembre 2009ultima modifica: 2009-09-26T23:15:00+02:00da fraternidade
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