Giorno per giorno – 27 Settembre 2009

Carissimi,

“Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare” (Mc 9, 41-42). Chi è di Cristo? Coloro dei quali è il Regno. E di chi è il Regno? Dei poveri, secondo la prima e fondamentale beatitudine: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Lc 6, 20). Gli altri, che poveri non sono, o si lasciano da questi convertire alla logica del Regno, cioè alla prassi di Gesù, che ha occhi solo per loro, i più piccoli, carenti, dimenticati, oppressi, emarginati, esclusi, fosse anche solo con il dono di un bicchiere d’acqua, o, il regno, se lo saranno irrimediabilmente perso. “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me”, che credono cioè nella vita come bene, benedizione, promessa, che è ciò che era Gesù, chi cioè avrà contribuito anche solo con la sua indifferenza a spegnere la speranza di vita, giustizia, amore, pace, di uno qualunque di questi piccoli, meglio che si butti a mare. Perché la sua vita sarà valsa meno di zero. E, se lo dice Dio, c’è da credergli. Se il tuo occhio guarda con disprezzo o la tua lingua si rivolge con sarcasmo al piccolo che incontri sul tuo cammino, o se la tua mano lo respinge,  il tuo piede lo scansa e se ne allontana, se il tuo cuore si chiude al suo lamento, se la tua voce non si fa grido per l’ingiustizia che egli patisce (è questa la profezia, ma quanti sono ancora i profeti?), meglio per te cavarti l’occhio, strapparti la mano, tagliarti il piede e quant’altro, perché tu stai attentando direttamente al cuore della creazione, negando il Padre che ne è l’origine, tradendo il Figlio che ce lo ha rivelato, mortificando lo Spirito che è inviato a fare dell’umanità la storia di Dio. “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!” (Nm 11, 29). Che la parola di Mosè si avveri almeno per noi. Già oggi.   

 

I testi che la liturgia di questa XXVI Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dei Numeri, cap.11, 25-29; Salmo 19; Lettera di Giacomo, cap;5, 1-6; Vangelo di Marco, cap.9, 38-43.45.47-48.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Il nostro calendario ci porta oggi la memoria di Vincenzo de’ Paoli, servitore dei poveri, e di Don Germano Pattaro, pioniere dell’ecumenismo.

 

27 Vincent de Paul.jpgNato a Pouy in Guascogna il 24 aprile 1581, da una famiglia contadina, Vincenzo de’ Paoli fu, da ragazzo, guardiano di porci, poi studiò e divenne prete a soli 19 anni. Caduto nelle mani di pirati turchi, durante un viaggio marittimo, passò due anni in prigione a Tunisi. Questa esperienza lo segnò profondamente e, da allora, decise di lasciare i libri, per dedicare la  vita a lenire le sofferenze della gente e a restituire dignità alle numerose categorie di bisognosi della società del suo tempo. Fondò a tal fine la confraternita delle Dame della Carità, i Servi dei Poveri, la Congregazione dei Preti della Missione (con il compito di aiutare la formazione dei futuri sacerdoti e di organizzare “missioni” di evangelizzazione tra la gente semplice dei campi) e le Figlie della Carità. Soleva dire ai suoi preti: “Amiamo Dio, fratelli miei, ma amiamolo a nostre spese, con la fatica delle nostre braccia, col sudore della fronte”. Morì a Parigi il 27 settembre 1660.

 

27 germano pattaro.jpgGermano Pattaro era nato  il 3 giugno 1925 a Venezia. Rimasto orfano di madre all’età di tre anni, entrò tredicenne in seminario, ma una grave forma di tubercolosi lo costrinse ad abbandonare gli studi, per sottoporsi alle lunghe terapie del caso. Il tempo della malattia, pur difficile e penoso, permise tuttavia al giovane di estendere i suoi interessi a diversi ambiti del sapere e di dedicare gran parte del suo tempo a letture di autori, come Dostoevskij e Guardini, che segneranno la sua formazione umana e spirituale; ma, più ancora, lo aiutò nella scoperta della “vocazione che guiderà tutta la sua esistenza, cioè il dono gratuito ad ogni uomo, soprattutto ai più deboli, di un amore prima accolto e sperimentato” (Ugo Sartorio). Guarito dalla tubercolosi e tornato in seminario, concluse gli studi e fu ordinato sacerdote nel 1950. Negli anni successivi fu assistente ecclesiastico della FUCI e animatore dei gruppi di Rinascita cristiana. Svolse un approfondito e coraggioso lavoro teologico, attraverso omelie, conferenze e incontri, scontando sospetti, avversioni e diffide nei settori più conservatori della gerarchia, compreso il suo Patriarca, quell’Albino Luciani, che però, eletto papa, lo chiamò inaspettatamente a Roma, come suo consulente teologico. Il manifestarsi di una pancreatite, se ne limitò gli spostamenti, gli consentì però di intensificare l’attività pubblicistica su temi come il matrimonio, l’ecumenismo e la teologia contemporanea. Fino alla morte, che lo colse il 27 settembre 1986.

 

E, per stasera, è tutto. Noi ci congediamo, proponendovi in lettura un brano dell’omelia che il card. Marco Cè pronunziò, il 27 settembre 2006, nella Messa per il ventennale della morte di don Germano Pattaro, che ne delinea bene la testimonianza spirituale. È, per oggi, il nostro 

 

PENSIERO DEL GIORNO

Don Germano per 46 anni ha celebrato l’Eucaristia, molte volte l’ha celebrata non sull’altare di pietra, ma su quello delle sue sofferenze. Anche quella era un’autentica Eucaristia, perché vissuta come comunione con Cristo morto e risorto. Proprio da qui gli veniva la forza non solo di “resistere”, ma di vivere in pienezza i giorni che il Signore gli andava donando. Ricordo l’Eucaristia celebrata con me prima di partire per l’ultimo intervento chirurgico a Londra: durante la celebrazione volle che gli amministrassi l’Unzione degli Infermi. Fu un momento di intensa commozione e di profonda comunione fra noi, ma soprattutto col mistero pasquale di Cristo: fu la celebrazione della sua consegna totale al Padre, con Gesù e in Lui, ma anche della speranza pasquale. Negli ultimi giorni di malattia Don Germano non riusciva più a celebrare, ma volle sempre comunicare anche sacramentalmente alla Pasqua del Signore. Così egli ha incarnato nella vita quella “Theologia Crucis” che aveva tematizzato con la finezza del teologo. La visione pasquale della vita cristiana, uno dei frutti più generosi del Concilio vaticano, don Germano l’ha vissuta e celebrata nella sua esistenza intrisa di fede. E’ stato questo il segreto della sua serenità in una vita trascorsa quasi tutta da ammalato. Una serenità faticosamente conquistata e poi generosamente donata a credenti e non credenti. […] “Signore, noi ti ringraziamo per il dono di Don Germano, per il suo amore alla Chiesa e la sua passione per l’accoglienza del Concilio, proponendolo nell’insegnamento in Seminario e in infiniti incontri, dovunque fosse chiamato a parlarne. Ti ringraziamo per quanto ha fatto per promuovere e far crescere a Venezia e nella Chiesa il dialogo ecumenico: studiando, parlando e intrecciando relazioni fraterne. […] Fa che la nostra vita parli di Te ai nostri fratelli, con la passione con cui di Te ha parlato, dialogando e soffrendo, don Germano, tuo servo fedele. Donaci, Signore, di aver parte al suo amore per la Chiesa e per i fratelli, avvolgendoli nella sindone della tua misericordia, con amore mite e umile, consapevoli di avere tutto, assolutamente tutto da Te: per farne dono. O Dio, che sei Amore!” (Card. Marco Cè, Omelia nella S. Messa per il  ventennale della morte di don Germano Pattaro).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

Giorno per giorno – 27 Settembre 2009ultima modifica: 2009-09-27T23:15:00+02:00da fraternidade
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