Giorno per giorno – 24 Settembre 2009

Carissimi,

Il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: Giovanni è risorto dai morti, altri: È apparso Elìa, e altri ancora: È risorto uno degli antichi profeti. Ma Erode diceva: Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose? E cercava di vederlo” (Lc 9, 7-9). La paura dei profeti e il desiderio di metterli a tacere con ogni mezzo e prima che facciano troppi danni sono caratteristica comune in chi usa e soprattutto abusa del potere. Ed Erode Antipa era smanioso di esso, oltre che di sollazzi. Cose che i profeti usano da sempre denunciare. Dunque, il tetrarca era solo da poco riuscito ad eliminarne uno, fastidioso e inopportuno come il Battista, che ecco, ne spunta un altro. Che diavolo succede?, deve aver pensato, una cospirazione? Chi è costui? È venuto per rovinarmi? No, a dire la verità, Lui è venuto a salvare pure il potente di turno. Se solo gli aprisse la porta. Non facendolo, continuerebbe (come continuò) a perdere se stesso e il paese, il suo popolo, con lui. Ora Erode non incarna solo se stesso, è figura, certo, di ogni potere che non accetta di essere messo in discussione, ma anche di ognuno di noi, nelle nostre possibili reazione davanti alla verità che è Cristo. Chi sia Gesù per noi (e chi siamo, perciò, noi per Lui) lo dimostreranno, in definitiva, le nostre azioni. Se, pentiti di ogni forma di arroganza, di auosufficienza e autogiustificazione,  affideremo e conformeremo la nostra vita alla sua Parola che salva, e salva tutti, dimostreremo che l’Erode che sta in noi è morto, o meglio, si è trasformato in un figlio di Dio. Fratello suo.        

 

Il calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di un grande starec dei nostri tempi: Silvano del Monte Athos, monaco e mistico ortodosso.

 

24_SILVANO_DO_MONTE_ATHOS_I.JPGNato in una famiglia contadina del villaggio di Chovsk (Russia), nel 1866,  Simeone Ivanovic Antonov deve molto di quello che sarebbe diventato a suo padre, Ivan, analfabeta, ma non nella fede. Di lui il futuro monaco dirà: Da mio padre ho imparato a non affliggermi per la perdita dei beni materiali e a confidare sempre nel Signore. Quando in casa sopraggiungeva una contrarietà, il suo cuore non si turbava. Dopo un incendio che gli aveva distrutto ogni cosa, non si disperò, ma ripeteva con fiducia: “Il Signore farà in modo che tutto si rimetta a posto”. Una volta passavamo vicino al nostro campo e io gli dissi: “Guarda, ci rubano il raccolto!”. Ma egli mi rispose: “Figlio mio, il Signore non ci ha mai fatto mancare il pane. Se quell’uomo ruba è perché ne ha bisogno”. Un’altra volta gli dissi: “Tu fai sempre elemosine, ma altri, più ricchi di noi, danno molto meno”. Ma egli rispose: “Figlio mio, il Signore ci da il necessario.” E riconoscerà: Non sono arrivato alla statura di mio padre. Era un uomo completamente analfabeta. Anche quando recitava il Padre Nostro – l’aveva imparato a forza di sentirlo in chiesa – ne pronunciava certe parole in modo maldestro. Ma era un uomo pieno di dolcezza e di sapienza”. E ancora: “Ecco uno starec (padre spirituale) come vorrei averlo io. Non andava mai in collera, non aveva mai alti e bassi, era sempre dolce”. Dopo una giovinezza che conobbe le passioni, le intemperanze e le cadute caratteristiche di questa età, Simeone decise di dare una svolta alla sua vita e, nel 1892, si recò al Monte Athos, nel monastero di San Panteleimon, dove divenne monaco, assumendo il nome di Silvano. La vita, anche lì, non fu niente facile: l’aridità spirituale, il desiderio di desistere, di andarsene via, di sposarsi, di avere una vita come tutti, l’angoscia spirituale, la disperazione della salvezza furono prove che l’accompagnarono per anni. Ma tenne duro. Scoprì con entusiasmo la preghiera del Nome (“Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi compassione di me”) e divenne uomo di grande ascesi e di straordinaria umiltà e dolcezza, arricchito di numerosi carismi: profezia, discernimento, chiaroveggenza, cura. Ma fu, soprattutto, apostolo della speranza e dell’amore universale. Soleva dire: “Chi ha in sé lo Spirito Santo, si preoccupa di tutti gli esseri umani, notte e giorno; il suo cuore soffre per ogni creatura di Dio, particolarmente per quelli che non conoscono Dio e che gli si oppongono”. E ancora: “Non conosce Dio nello Spirito Santo chi non ama i suoi nemici”. Morì il 24  settembre 1938 e fu canonizzato nel 1987 dal Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Dimitrios.     

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Aggeo, cap.1, 1-8; Salmo 149; Vangelo di Luca, cap.9, 7-9.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

È tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di un testo di Silvano dell’Athos, tratto dal piccolo, prezioso, libretto “Non disperare!” (Qiqajon). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Una volta fui preda dello spirito di disperazione: sembrava che Dio mi avesse rigettato per sempre e che per me non ci fosse più salvezza. Percepivo in me con chiarezza di trovarmi sull’orlo della perdizione eterna e che Dio era inesorabilmente spietato nei miei confronti. Rimasi in preda a questo spirito per più di un’ora. L’angoscia e la tortura provocate da questo spirito sono tali che il semplice ricordo è terribile. L’anima non può sopportarlo a lungo: in momenti simili ci si può perdere per l’eternità. Il Signore misericordioso ha permesso allo spirito della malvagità infernale di muovere guerra all’anima mia. Dopo un po’ mi recai in chiesa per i vespri e, fissando lo sguardo sull’icona del Salvatore, esclamai: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore!”. A quelle parole vidi, al posto dell’icona, il Signore vivente, e la grazia dello Spirito santo mi riempì totalmente l’anima e il corpo. Così conobbi, nello Spirito santo, che Gesù Cristo è Dio, e questa grazia divina fece sorgere in me il desiderio di soffrire per Cristo. Da quel preciso istante l’anima mia anela al Signore, e null’altro più mi rallegra sulla terra: la mia unica gioia è Dio. È lui la mia letizia, la mia forza, la mia speranza, il mio bene. (Silvano dell’Athos, Non disperare!).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Settembre 2009ultima modifica: 2009-09-24T23:56:00+02:00da fraternidade
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