Giorno per giorno – 19 Settembre 2009

Carissimi,

“Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto” (Lc 8, 5-8). Il seminatore è Gesù, che annuncia la presenza del Regno, l’instaurazione di relazioni nuove tra gli umani, secondo l’originaria Parola del Padre, che poi è Lui stesso. Gesù sa da principio che la sua proposta avrà accoglienza ed esiti differenti, ma non si risparmia né si nega a nessuno. Nella spiegazione che di questa parabola viene proposta, subito dopo, alla comunità (Lc 8, 11-15) appare, a prima vista, una qualche incongruenza. Vi si dice che: “Il seme è la parola di Dio” (Lc 8, 11), e subito si aggiunge: “I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori” (v.12). E via di seguito. Gli uditori della Parola, da terreno che l’accoglie, secondo modalità diverse, divengono ora essi stessi semi. E tuttavia, ci dicevamo stamattina, possiamo accettarla così anche noi questa spiegazione che Luca offre alla sua comunità. Anche noi siamo chiamati a diventare, con la nostra vita,  semi,  “parola di Dio”, testimonianza del Regno. È questa del resto la promessa che abbiamo fatto al momento del battesimo e confermato con la Cresima. Ma succede che. Succede quello che poi sperimentiamo. Per esempio che, “lungo la strada”, dove passano tutti, noi ci si faccia soffiar via il nucleo vivo della Sua proposta e non si abbia così più nulla da offrire dell’alternativa gioiosa di cui eravamo chiamati ad essere testimoni. O anche, pur avendola accolta con entusiasmo, non si abbia sufficiente costanza per aiutarla a mettere radici profonde nella nostra vita, prima, e nel nostro ambiente, poi. E finisce lì. O, ancora, c’è dell’altro che prende il sopravvento, c’intristisce e soffoca. Il vangelo dice: “le preoccupazioni, le ricchezze, i piaceri della vita”. E il regno non accade. Ma dopo tutte queste esperienze, resta nondimeno la speranza – Sua più che nostra –  che anche noi, una volta o l’altra, si giunga ad essere buon seme capace di germogliare, crescere e fruttificare adeguatamente. E gli altri a dire: qui c’è lo zampino di Dio.       

 

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Al-‘Arabī ad-Darqāwī, mistico musulmano.

 

19 Sheikh al-'Arabi ad-Darqáwi.jpgLo sheikh Al-‘Arabī ad-Darqāwī nacque verso la metà del 18° secolo in un villaggio nei pressi di Fez, in Marocco. Poco più che ventenne incontrò colui che sarebbe divenuto il suo maestro spirituale, al-‘Imrâni al-Hassanî, noto come Sidi Ali al-Jamal, che, sconosciuto ai più, era tuttavia uno dei grandi punti di riferimento della confraternita shadhili nel Maghreb. Alla morte del maestro, Darqāwī gli succedette alla guida dell’ordine, che sarebbe arrivato a contare fino a quarantamila membri, sparsi in tutta l’Africa settentrionale. Per venticinque anni ad-Darqāwī e la sua famiglia vissero alla giornata, senza mai accantonare nessuna provvista per il giorno successivo, ma affidandosi senza riserve alla provvidenza di Dio, non diversamente dagli uccelli del cielo del detto evangelico. La sua fama e popolarità raggiunsero tali dimensioni che i governanti, impauriti, arrivarono ad imprigionarlo. Si racconta che un giorno, ad un discepolo che si lamentava con lui della persecuzione di cui era fatto oggetto, disse: Se desideri eliminare colui che ti opprime, uccidi il tuo io, perché, uccidendolo, eliminerai tutti i tuoi oppressori. Darqāwī morì nel 1823 nel villaggio di Bu Barih, sulle montagne a nord di Fez. La sua tomba è ancor oggi visitata da moltissimi pellegrini ed ogni anno vi si tiene una grande festa di ringraziamento.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera a Timoteo, cap.6, 13-16; Salmo 100; Vangelo di Luca, cap.8, 4-15.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Rosh ha shana.jpgPer i nostri fratelli ebrei oggi è il 1° di Tishri dell’anno 5770, e perciò Rosh haShanah, Capodanno. È una festa che dura due giorni e ricorda la creazione di Adamo ed Eva, e, in essi, di ciascuno(a) di noi: occasione per chiederci che cosa abbiamo fatto finora della nostra vita e, più specificamente, dell’anno che abbiamo alle spalle. Il precetto centrale che riguarda questa festa è il suono dello shofar, il corno d’ariete, che chiama i fedeli a pentirsi e a imboccare la strada del ritorno, o teshuvah. Rosh haShanah è anche il primo dei cosiddetti iamim noraim”, i dieci “giorni terribili”, una specie di full immersion nella preghiera e nella penitenza, che culmineranno nello Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione, la maggior festa del calendario ebraico. In cui Dio, augurabilmente, pronuncerà la sua parola di perdono.   

 

Per stasera è tutto. Noi ci congediamo, offrendovi in lettura un brano di  Al-‘Arabī ad-Darqāwī, tratto dal libro  Lettere di un maestro sufi” (SE). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Se vuoi che ciò di cui hai bisognoti sia dato senza doverlo cercare, allontanatene e concentrati sul tuo Signore; se Dio lo vorrà, lo riceverai. E se trascuri totalmente i tuoi bisogni e ti occupi solo di Dio, Egli ti darà tutto quel che desideri tra i beni di questo mondo e dell’altro; camminerai sia nel cielo che sulla terra; e ancor più, poiché il profeta – su di lui la benedizione e la pace – ha detto, riferendo una parola del suo Signore: “Colui che il mio ricordo (dhikr) distrae dal domandare, riceverà più di coloro che domandano”.  Ascolta, o faqîr, quanto ho detto a uno dei fratelli – sia soddisfatto Dio di tutti loro -: ogni volta che m’occorreva una cosa, grande o piccola che fosse, e me ne sono distolto volgendomi al mio Signore, l’ho avuta dinanzi, per la potenza di Colui che intende e conosce. I bisogni della gente comune, noi lo vediamo, possono esser soddisfatti solo a furia di occuparsene, mentre quelli degli eletti lo sono proprio perché se ne distolgono e si concentrano su Dio. Salute a te.  (Al-‘Arabī ad-Darqāwī, Lettere di un maestro sufi).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 19 Settembre 2009ultima modifica: 2009-09-19T23:31:00+02:00da fraternidade
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