Giorno per giorno – 24 Luglio 2009

Carissimi,

“Voi dunque intendete la parabola del seminatore: tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende…” (Mt 13, 18 ss). L’altro ieri, la memoria di Maria Maddalena ci ha fatto ascoltare un testo diverso da quello che normalmente la liturgia del Tempo Comune propone. Doveva essere infatti la Parabola del seminatore (Mt 13, 3-9), che, nel Vangelo di Matteo, introduce il terzo grande discorso di Gesù, chiamato, appunto, “delle parabole”. Di essa, oggi, ci viene comunque offerta la spiegazione (Mt 13, 18-23), maturata nel confronto diretto tra la Parola e la comunità matteana. Noi ci prendiamo la libertà di offrirvi come contributo alla riflessione una lettera che un amico di costì ci ha fatto avere proprio stamattina: “Carissimi, come vedete,  mi faccio presente a voi sempre più raramente. Voi continuate, comunque, a essere per me, e per chissà quanti altri, un faro, una luce di speranza nelle tenebre del mondo. Non vi leggo più, lo confesso, con l’assiduità di una volta. Il problema della vista, che mi affligge dopo l’intervento per il distacco della retina, mi costringe a limitare moltissimo l’uso del computer. Altre, forse troppe, preoccupazioni e nuove  responsabilità appesantiscono i miei giorni e la speranza di pace e serenità si affievolisce di giorno in giorno. Mi domando quanto grande, quanto piccola, è la mia fede; ma se la fede non ti aiuta a vivere  a che serve? Mi domando: a nulla mi è servito leggere e rileggere la Parola? Meditarla, masticarla,  pregarla, invocarla presente ed efficace? Tante professioni di fede, tanti ritiri spirituali, tanta vita sacramentale, noi ci “nutriamo” del corpo e del sangue di Cristo! Come è possibile che tutto questo non fruttifichi in me? È di oggi la spiegazione della parabola del seminatore: quale seme sono io? Che cosa mi chiede oggi la fedeltà al mio Signore e Maestro Gesù? Come posso invocarlo così, se la mia vita è tutta una contraddizione? Nella realtà non è il mio Signore e neanche il mio Maestro. È triste ammetterlo, ma è così. Vorrei che non lo fosse; davvero c’è un abisso tra quello che vorremmo essere e quello che siamo! Basta desiderarlo? Oggi ho pregato e pregherò ancora per Luiz, che torni presto tra la sua gente; che ritrovi presto il senso di sé. Sostenetemi con la vostra preghiera e con il vostro ricordo. Signore, non guardare alla mia fragilità ma alla fede della tua chiesa, in particolare a quella della chiesetta dell’Aparecida. Un fraterno abbraccio e un grande grazie per la vostra  presenza”. Beh, gli interrogativi, i dubbi, le inquietudini e le delusioni del nostro amico non sono solo suoi, sono spesso anche i nostri. Quanto al tipo di seme che siamo, la risposta che Dayane suggeriva stamattina, è che noi si è, di volta in volta, un seme differente: che non dà punto frutti, o ne dà soltanto pochi o invece molti. Però, alla fine, è solo Lui a saperlo. Lasciamo, dunque e comunque, a Lui il giudizio. Lui è generoso.

 

Il martirologio latinoamericano ci porta oggi la memoria di Ezechiele Ramin, missionario e martire in Brasile.

 

24 LELE RAMIN.jpgEzechiele (Lele) Ramin era nato a Padova il 9 febbraio 1953, nella famiglia di Mira e Mario Ramin, di solide radici cristiane. Durante gli studi aveva preso progressivamente coscienza dei soprusi, ingiustizie e disuguaglianze che caratterizzano l’attuale modello di sviluppo. Si era perciò avvicinato all’Associazione Mani Tese, e aveva contribuito ad organizzarne un gruppo locale nella sua città, partecipando poi a numerosi campi di lavoro per sostenerne i progetti nei paesi del sud del mondo. Alla fine del 1972, si sentì chiamato ad un impegno più radicale e scelse di entrare tra i missionari comboniani. Ordinato sacerdote il 28 settembre 1980, fu inviato, nel gennaio 1984, a Cacoal in Rondonia, Brasile. Impegnatosi nel CIMI (Consiglio Indigenista Missionario), verrà da lì a poco assassinato per il suo impegno a fianco degli indios e dei sem-terra. Era il 24 luglio 1985. Pochi mesi prima di essere ucciso aveva scritto: “La vita è bella e sono contento di donarla. Voglio che sappiate questo”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dell’Esodo, cap. 20, 1-17; Salmo 19B; Vangelo di Matteo, cap.13, 18-23.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

 

Come Chiesa cattolica che cammina pellegrina nell’Honduras occidentale, vogliamo ricordare ai 124 deputati del partito liberale e del partito nazionale, responsabili del colpo di stato e attualmente al potere, che non sono padroni dell’Honduras e che nulla può stare al di sopra della legge. I deputati attuali devono ricordare che ricevono il loro stipendio da questo popolo che stanni opprimendo. Se avessero regolamentato il plebiscito e il referendum, come i vescovi della Conferenza Episcopale dell’Honduras suggerirono nel loro comunicato del 19 giugno, non ci troveremmo a questo punto; hanno invece preferito essere fedeli ai gruppi economicamente più forti, nazionali e transnazionali. Speriamo che nelle prossime elezioni il popolo li punisca con il suo voto”. Sono le parole severe del comunicato con cui il salesiano mons. Luis Alfonso Santos e la diocesi di Santa Rosa de Copán  hanno condannato un mese fa il colpo di stato avvenuto in quel Paese. Analoga posizione di condanna è stata espressa da gesuiti, domenicani, e dalle realtà ecclesiali presenti e operanti tra i ceti poveri della popolazione. Non così si può dire di altri membri della gerarchia, compreso l’arcivescovo di Tegucigalpa, che hanno scelto, invece, di schierarsi di fatto a fianco dei politici e militari golpisti. È dei giorni scorsi una lettera indirizzata al card. Rodriguez Maradiaga dal premio Nobel per la Pace, Adolfo Pérez Esquivel, in cui è detto tra l’altro: “Il Pastore che abbandona le sue pecore e permette atrocità e sostiene la dittatura per difendere i suoi interessi economici e politici, non è degno di essere riconosciuto come Pastore di Cristo e del suo popolo. […] Dobbiamo perseverare nella speranza, fratello Rodriguez, e questa speranza cammina assieme alle persone e non sulla via degli oppressori o dei potenti di turno. Sono molte le domande. Tu hai la risposta: Solo la verità ci farà liberi. Che il Dio della Vita ti guidi e ti illumini”. Lo speriamo anche noi.

 

È tutto per stasera. Noi vi proponiamo in chiusura il brano di una lettera di Ezechiele Ramin, quando era ancora giovane seminarista. Che rappresenta, forse, una risposta possibile alle domande di cui dicevamo in apertura. La troviamo nel sito di Giovani e missione ed è per oggi il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Venendo a noi, lasciati dire una cosa: accetta la croce. Se leggi Matteo 5, ti accorgerai di essere già beata, sei beata non perché soffri né perché sei afflitta, ma perché il Signore è con te. Andando se vuoi ancora più in profondità a livello di significato di parole, la parola beato, in ebraico ‘asher’ significa che, se te non sai dove andare e, chiedi a me “dove posso trovare questa via?” io, ti dovrei rispondere per rispettare l’uso ebraico della parola, “vai pure di là beata te”, cioè vai pure, sì, è proprio la direzione giusta, sei proprio beata perché sei sulla strada. Spero tu abbia capito con queste poche parole. Carissima sorellina, voglio che tu sappia che fino ad ora, ti ho ricordata sempre nelle preghiere, perché il Signore ti aiuti in ogni tua necessità. Domenica scorsa c’era la parabola del figliol prodigo. Non so se hai fatto attenzione o meno, il significato è davvero grande. Al figlio che da sempre era col Padre e, che si stupiva per l’accoglienza riservata a quello scappato, che tutto aveva sperperato, la parola del Signore giunge, ed è motivo di salvezza, e per quello che era scappato, e per quello che da sempre era con lui. Sorellina, è davvero un problema di cuore, noi non si capisce mai la bontà e la misericordia del Signore. Se non allargherai il tuo cuore, non c’è meraviglia alcuna nel vedere la difficoltà che incontri a camminare sui passi del Signore. Ti arriva una croce e credi già di non farcela, ma non temere, tu fai parte di questa chiesa che il Signore stesso ha voluto e che Cristo stesso ama; mai ti lascerà perdere. Ho la testa piena zeppa di tante cose da dirti ma, che vuoi, il regno di Dio non è nelle parole, ma nella potenza di Dio. Carissima, ti voglio un gran bene nel Signore al quale tutti noi apparteniamo, affidati a lui. Io solo ti posso dire “vai pure di là, sì sei proprio sulla strada, non puoi sbagliare”. (Ezechiele Ramin, Lettera a Gin, 26 marzo 1977).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Luglio 2009ultima modifica: 2009-07-24T23:07:00+02:00da fraternidade
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