Giorno per giorno – 23 Luglio 2009

Carissimi,

“Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: Perché parli loro in parabole? Egli rispose: Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Così a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono” (Mt 13, 10-13). Già, i misteri del regno, cioè il significato vero che la parola di Gesù, e anzi Lui stesso, riveste, è possibile comprenderli solo in un cammino di discepolato. Cioè, in un’alleanza che ci impegni in prima persona. Diversamente, resta come un muro, una barriera, che, se va bene, ci fa al massimo intuire qualcosa. Ma niente di più. Gesù sa bene la differenza tra la folla e i discepoli, conosce l’opportunismo, la superficialità, l’incostanza di quella, e il coraggio, l’adesione, la fedeltà, pur con tutte le possibili incomprensioni e fragilità, di questi. Eppure, fedele com’è a se stesso e alla nuova immagine di Dio che propone, si guarda bene dal negare alla folla i suoi “segni”: la fame saziata, le malattie guarite, i demoni cacciati. Segni che non sono mai utilizzati come mezzi in vista di un’autopromozione, né politica né religiosa (del tipo: che ve ne pare, non sarei ottimo come re, o come messia?), ma sempre e soltanto come espressione della cura disinteressata e della restituzione ad una vita degna di essere vissuta, come Dio la vorrebbe per tutti i suoi figli. Che ne intendano e ne accolgano o no la proposta. Noi abbiamo meditato questo testo, nel pomeriggio, con i ragazzi della chácara di recupero. E proprio da loro, da Jonatas, Ubiragir, Dantes, Rafael, veniva l’obiezione: ma non può essere, perché Dio è giusto! E una giustizia di Dio, così diversa da quella cui siamo stati abituati a pensare, non quindi come soppesare meticoloso delle nostre azioni in vista di un’adeguata retribuzione, ma come sua, unilaterale, ostinata fedeltà a una proposta di vita, che faccia salva la nostra libertà, e sconti perciò anche i nostri errori, è sì una buona notizia, ma di quelle da brivido, che difficilmente possono lasciarci indifferenti, e ci caricano di responsabilità che non sappiamo davvero preventivamente calcolare. Sì, Dio è di quelli che se solo ti disponi a socchiudere la porta, ti invade e ti butta per aria tutta la casa. O se gli dai un dito, si è già preso il braccio e tutta la persona. Qui c’è tutta la differenza tra il sonnacchioso e distratto ascoltare della Parola in una abitudinaria liturgia domenicale (quand’anche ci sia ancora), e il ritrovarsi, giorno per giorno, dopo che quella stessa Parola ti ha scaraventato  giù dal letto, e ti fa reincontrare  vecchi e sempre nuovi compagni di viaggio, prima di fiondarti nuovamente nella vita.

             

Oggi il calendario ci porta le memorie di Giovanni Cassiano, monaco, e di  Antonio delle Grotte di Kiev, fondatore del monachesimo russo.

 

23 GIOVANNI CASSIANO.jpgDi lui, non si sa bene dove sia nato. Qualcuno suggerisce Dobrugia, nell’attuale Romania, verso il 360. Da famiglia altolocata, che potè garantirgli un’istruzione di tutto rispetto.  Senza che questo lo legasse più di tanto. Che anzi, ventenne, partì con un amico, Germano,  per il Medio Oriente. Entrambi cercavano di saperne di più, sulla vita dei monaci che avevano preso a popolare quella regione, optando per una radicale contestazione della logica e dei valori mondani. Dei quasi vent’anni che trascorse nel deserto sono frutto le Conferenze Spirituali e le Istituzioni Cenobitiche, due opere  che completerà più tardi e che alimenteranno la spiritualità di molte generazioni di monaci.  Verso il 400 Cassiano si recò a Costantinopoli, dove divenne presto amico e collaboratore del santo patriarca di quella che era la capitale dell’Impero romano d’Oriente, Giovanni Crisostomo. Dopo che, nel 404, questi cadde in disgrazia presso l’imperatrice Eudosia e fu mandato in esilio, troveremo Giovanni Cassiano a Roma, per alcuni anni e, successivamente, in Gallia, dove nel 415 fondò, a Marsiglia,  il monastero di San Vittore, alla cui guida resterà fino alla morte avvenuta nel 435.

 

23 ANTONIO DI KIEV.jpgAntip  era nato nel 983 a Lubec, nei pressi di Tchernigov. Recatosi in pellegrinaggio al Monte Athos, rimase affascinato dalla vita che i monaci vi conducevano e scelse di entrare nel monastero di Esphigmenon, assumendo il nome di Antonio. Qualche anno più tardi, il suo igumeno, Teotisto, lo convinse a ritornare in patria, per piantarvi il fermento della vita monastica. Tornato dunque a Kiev, Antonio si stabilì in una grotta sul monte Berestov, sulle rive del Dnjepr, nei pressi della città, presto seguito da altri giovani della zona, tra cui Nicon, che era già sacerdote, Teodoro e Barlaam. Quando i suoi seguaci giunsero a dodici, Antonio, designò  come loro igumeno Barlaam e, successivamente, Teodosio, e si ritirò a vivere in solitudine in un luogo più appartato. Nel frattempo, ricevuto in dono dal principe Isiaslav la proprietà delle terre intorno alle grotte, i monaci cominciarono a costruirvi la Pecerskaja Lavra, il Monastero delle Grotte. L’igumeno Teodosio, convinto che il monastero non potesse vivere solo in funzione di se stesso, lo dotò di un ospedale, per accogliervi i malati della regione, una foresteria per i pellegrini e una mensa, dove potessero saziarsi coloro che avevano fame. Lui stesso poi, guidò i suoi monaci più con l’esempio che con le parole, continuando a prestare il suo servizio in cucina e nei campi, così come nella cura dei malati. Antonio morì novantenne il 10 luglio 1073 (data del calendario giuliano, corrispondente al 23 luglio del nostro calendario). Teodosio morì un anno più tardi, il 3 maggio 1074. Della Lavra di Kiev, un’antica cronaca dice: “Molti monasteri furono costruiti con la ricchezza di principi e nobili, ma questo fu il primo ad essere costruito con lacrime, digiuni e preghiere”.

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dell’Esodo, cap.19, 1-2. 9-11. 16-20;  Siracide, cap. 44,1.10-15;  Salmo  (Dan 3); Vangelo di Matteo, cap. 13,10-17.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Noi ci congediamo qui, lasciandovi alla lettura di un brano tratto dalle “Conferenze” di Giovanni Cassiano. Che ci riportano a una delle parole più difficili del Vangelo, anzi decisamente “impossibili”. Che sono tuttavia, quelle che più rivelano se il Regno è davvero tra noi. In noi.  È questo, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Se il nostro fratello ha qualcosa contro di noi, Dio non accetta più le nostre preghiere. In altre parole: Dio non accetta l’offerta delle nostre preghiere finché non avremo allontanato con pronta riparazione, la tristezza dal cuore del fratello, sia essa prodotta per nostra colpa, sia che noi non ne abbiamo colpa. Il Signore non dice: se tuo fratello ha un giusto motivo per lamentarsi di te, lascia la tua offerta dinanzi all’altare e corri prima a riconcíliarti con lui. No! Dice: se ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, vale a dire: anche se il dissapore che ha provocato il malinteso fra te e il fratello è cosa da nulla, e il ricordo di ciò colpisce all’improvviso la tua memoria, sappi che non devi offrire i doni spirituali della preghiera, senza aver fatto prima scomparire i segni della tristezza dal cuore del fratello, – qualunque ne sia stata la causa – con una soddisfazione piena di affetto. Così il vangelo ci comanda di far le nostre scuse ai fratelli imbronciati, anche per un contrasto passato e leggero. E noi, per collere molto recenti e serie, per di più nate da nostra colpa, ostentiamo una noncuranza sprezzante? Che sarà di noi? Gonfi di superbia diabolica e timorosi di umiliarci, non vogliamo riconoscere di essere responsabili della tristezza del fratello: il nostro spirito ribelle sdegna di sottomettersi al comando del Signore e ci difendiamo col dire che quel comando non va preso alla lettera ed è impossibile a praticarsi. Ma quando giudichiamo impossibili i comandi del Signore, diventiamo, come dice l’Apostolo, non come uno che osserva la legge, ma come uno che la giudica (Gc 4,11). (Giovanni Cassiano, Conferenze).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Luglio 2009ultima modifica: 2009-07-23T23:40:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo