Giorno per giorno – 18 Luglio 2009

Carissimi,

loro avevano già deciso di eliminarlo (Mt 12, 14). Solo perché, contravvenendo alla legge (mica una legge qualsiasi, la Legge del su’ Babbo!), aveva deciso di guarire un povero cristo. “Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là” (v.15), perché aveva tutto meno che voglia di litigare. Anche per essere fedele alla parola del Profeta:   e a ciò che aveva detto di sé (l’altro ieri): “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29). Noi invece, a litigare, ci s’ha sempre un aliquale piacere! Più per difendere i nostri discutibili diritti, privilegi e prebende, che per annunciare ai poveri la giustizia. Lui, dunque, rinuncia a litigare, ma non smette di fare ciò per cui è venuto: “prendersi cura” di tutti “Egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo” (v.15-16). Extracomunitari e clandestini compresi. Anche oggi, fuor di metafora, il Potere, come spesso accade, ha deciso di eliminare Gesù, cioè il “principio della cura” nelle relazioni tra le persone, le classi, i popoli e le nazioni. C’è bisogno di discepoli(e) che, anche nascostamente, continuino a tenerlo in vita. Per dimostrare, se non altro, che Lui è risorto davvero. Alla faccia di tutti i potenti. 

 

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria del Pastore luterano Paul Schneider, martire, vittima della barbarie nazista.

 

18 PAUL E MARGARETE SCHNEIDER.jpgPaul Schneider nacque il 29 agosto 1897, a Pferdsfeld, in Germania, secondo dei tre figli di Elizabeth e del pastore Gustav Adolf Schneider. Tornato dal fronte, dopo la Grande Guerra, iniziò i suoi studi teologici, che si conclusero con la sua ordinazione a pastore nel 1925. L’anno successivo sposò Margarete Dieterich, da cui avrà sei figli, e assunse la cura della chiesa di Hochelheim, succedendo al padre. Quando, nel 1933,  Hitler salì al potere, il giovane pastore per qualche tempo si illuse che il nuovo Cancelliere, con l’aiuto della provvidenza, avrebbe guidato la Germani verso un futuro luminoso. Si rese però presto conto dell’abbaglio e ne trasse tutte le conseguenze. Nel 1934 entrò a far parte della Lega dei Pastori fondata dal pastore Martin Niemöller. Dopo ripetuti arresti, Schneider fu deportato nel lager di Buchenwald nel 1937, a motivo della sua opposizione al nazismo, e ripetutamente  sottoposto a maltrattamenti e a torture crudeli per il rifiuto ripetutamente opposto a rendere omaggio alla croce uncinata di Hitler. Nell’aprile 1938 fu rinchiuso in isolamento nel bunker del campo, ove trascorse gli ultimi 14 mesi di vita. Da lì non cessò di proclamare la parola di Dio. Come testimonia un suo compagno di prigionia: “Nei giorni di festa, nel silenzio della conta, proveniente dalle tetre inferriate del bunker, risuonava improvvisamente la voce potente del pastore Schneider. Teneva la sua predica come un profeta, o meglio: la incominciava. La domenica di Pasqua, per esempio, improvvisamente udimmo le parole: ‘Così dice il Signore: Io sono la risurrezione e la vita!’. Le lunghe file dei prigionieri stavano sull’attenti, profondamente turbate dal coraggio e dall’energia di quella volontà indomita… Non poté mai pronunciare altro che poche frasi. Poi sentivamo abbattersi su di lui i colpi di bastone delle guardie…” Seriamente malato per le torture e gli stenti, il pastore confidò a un prigioniero: “Non c’è più un posto, in tutto il mio corpo, che non sia stato battuto fino a farlo diventare nero. Mi hanno fatto delle iniezioni; da quando mi hanno fatto la seconda, ho il cuore terribilmente agitato. Non vivrò più a lungo. Prima che ci lasciamo voglio benedirti, e pregherò per te, perché tu possa percorrere la via giusta”. L’eroico Pastore morì, qualche giorno dopo, il 18 luglio 1939, finito con un’iniezione di strofantina. Al suo funerale, presero parte 200 pastori e migliaia di partecipanti. Karl Barth scrisse allora: “Con la sua testimonianza egli ha dovuto mostrare e dire a molti qual è la posta in gioco, e Dio lo ha considerato degno di soffrire”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dell’Esodo, cap.12, 37-42; Salmo 136; Vangelo di Matteo, cap.12, 14-21.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

“In una visione teocentrica, noi cristiani abbiamo già un Martirologio comune. […] Ho già constatato, e con gioia, come la comunione, imperfetta ma reale, è mantenuta e cresce a molti livelli della vita ecclesiale. Ritengo ora che essa sia già perfetta in ciò che tutti noi consideriamo l’apice della vita di grazia, la martyria fino alla morte, la comunione più vera che ci sia con Cristo che effonde il suo sangue e, in questo sacrificio, fa diventare vicini coloro che un tempo erano lontani” (Giovanni Paolo II, Ut unum sint n.84). Questa stessa convinzione espressa da papa Wojtyla circa il valore dell’ecumenismo dei martiri, la ritroviamo in una citazione di Jürgen Moltmann, tratta dal suo libro “Nuovo stile di vita. Piccoli passi verso la comunità” (Queriniana), che troviamo nel sito de Il Dialogo. E che vi offriamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

I più anziani di noi si ricorderanno come essi stessi o i loro amici hanno sperimentato in questo modo la comunione con Cristo, nei campi di prigionia della seconda guerra mondiale. Dietro al filo spinato, le tradizionali dottrine che differenziano le chiese separate non avevano più importanza. Si sedeva insieme, là dove ci si trovava, si leggeva insieme la Bibbia, si pregava insieme e ci si rafforzava a vicenda nella fede. In questa situazione di necessità, l’intercomunione e la concelebrazione non erano problemi tali da impedire a qualcuno di partecipare alla prassi comune dello spezzare il pane. Cercavamo solo quell’Unico importante e sperimentavamo nel dolore la presenza di Cristo. Questo ci dava un sostegno interiore e una salda fiducia. Preti o laici, studenti di teologia oppure operai, qui non c’era nessuna superiorità e nessun privilegio. Qui contava solamente la veracità della fede, l’impegno della persona e la comunione di cristiani confessanti la fede. Ciascuno di noi era chiamato in causa: si trovava senza l’appoggio della propria tradizione e senza la protezione delle consuetudini della propria confessione, ed era provato nel fuoco della tentazione. Altri, nelle prigioni e nei campi di concentramento, hanno vissuto esperienze più dure. Quelli che sono riusciti a sopravvivere e a ritornare hanno poi parlato della straordinaria comunione “col Cristo provato dalle tentazioni” e della sorprendente “comunione fra di loro” che avevano sperimentato. […] Le divisioni confessionali ci erano diventate estranee. Ci apparivano come cose esteriori. Per un breve periodo di tempo, noi avevamo costituito un frammento dell’unica chiesa di Cristo nella comunione tra cristiani evangelici, cattolici e delle libere chiese. (Jürgen Moltmann,  Nuovo stile di vita. Piccoli passi verso la comunità).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Luglio 2009ultima modifica: 2009-07-18T23:57:00+02:00da fraternidade
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