Giorno per giorno – 22 Giugno 2009

Carissimi,

“Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate sarete misurati” (Mt 7, 1-2). Siamo ancora nell’ambito del cosiddetto Discorso della Montagna (capp.5-7), in cui Gesù, dopo aver enunciato, nelle beatitudini, chi siano i destinatari del Regno, illustra le condizioni e le modalità del suo accadere. Oggi ci dice che Dio regna là dove non si giudica. O, quanto meno, dove non si giudica con rigore, ma con misericordia. Punto e basta. E questo ci rivela quanto si sia ancora lontani dal Regno. Certo che, difficile, è difficile. Lo deve essere anche per il buon Dio, se è vero, come è scritto nel Talmud, che Lui stesso prega così: “Possa essere la volontà mia che la mia misericordia vinca la mia ira, e la mia misericordia si sovrapponga al mio rigore e che io usi con i miei figli la misura della misericordia, e che io mi trattenga di fronte a loro dall’usare la misura del rigore” (T.B. Berakhòt 7a).  Questa preghiera, alla fine dei tempi, ci salverà probabilmente in corner, perché Lui ci giudicherà con misericordia anche se noi non ne saremo stati capaci. Ma il problema che il Vangelo pone non riguarda la destinazione finale delle nostre anime, ma ciò che vogliamo fare del nostro qui ed ora. Concretamente, come assumerci l’onere della testimonianza del Regno, nella pratica della misericordia (Mt 5,7), senza sacrificare la fame e sete di giustizia (v.6) e la costruzione dello shalom-vita piena per tutti (v.9)? Si accettano suggerimenti. Anche se, sotto sotto. Forse.     

 

Le Chiese cattolica e anglicana fanno oggi memoria di Albano, martire in Britannia, durante la persecuzione di Settimio Severo, e di John Fisher, pastore, umanista e martire in Inghilterra, sotto il regno di Enrico VIII.

 

22 ALBAN.jpgLe prime comunità cristiane furono impiantate nella Britannia Romana sul finire del II secolo e fu la scoperta della loro esistenza che scatenò la persecuzione da parte dell’imperatore Settimio Severo (192-211) all’inizio del III secolo. Albano, in quel tempo, era ufficiale in forza all’esercito romano e abitava nella città-fortezza di Verolamium che sorgeva nei pressi del fiume Ver. Un giorno un vecchio prete, sfuggendo la persecuzione, bussò alla sua porta chiedendo rifugio. Qualcosa del comportamento dell’uomo spinse Albano ad accettare di nasconderlo. Lo rifocillò e cominciò a chiedergli ragione della sua condizione. Il prete gli parlò a lungo della sua fede nel Signore Gesù e il soldato ne restò talmente affascinato da chiedergli di essere battezzato. Nel frattempo, il governatore, scoperto il rifugio del fuggitivo, ne ordinò l’arresto. Appresa la notizia, Albano convinse il prete a restarsene nascosto e a cedergli le vesti.  Si presentò così ai soldati, dicendo: Sono io quello che cercate. Seguirono il processo, la condanna e l’esecuzione.  Sul luogo del supplizio fu eretto un monumento, che, qualche decennio più tardi fu visitato da San Germano di Auxerre. Le invasioni di angli e sassoni nel V secolo distrussero l’organizzazione romana e dispersero le comunità cristiane. In seguito alla nuova evangelizzazione della Britannia, nel VI secolo, sul luogo del martirio di Albano fu edificata una chiesa e la città di Verolamium prese il suo nome,  Saint Albans.

 

22 JOHN FISHER.jpgJohn Fisher era nato a Beverly, nello Yorkshire, nel 1469, figlio di Robert, ricco mercante, e di sua moglie Agnes. Dopo gli studi brillanti all’Università di Cambridge, era stato ordinato prete nel 1491. Nel 1494 incontrò per la prima volta Lady Margaret Beaufort, madre di Enrico VIII e ne divenne confessore e consigliere. Nominato vescovo di Rochester nel 1504, guidò per trent’anni quella che era la più povera delle diocesi, prodigandosi nel ministero della predicazione,  edificando il clero con il suo stile di vita, favorendone inoltre un’adeguata formazione. Amico dell’umanista Erasmo di Rotterdam e di Thomas More, si preoccupò con essi di contrastare il diffondersi delle dottrine luterane, ma, sempre e solo, con la forza della ragione e della persuasione. Nel 1527 scoppiò il conflitto con la corona. Il desiderio del re di vedere dichiarato nullo il matrimonio con Caterina d’Aragona, che non gli aveva dato figli maschi, e di passare a  nuove nozze con Anna Bolena, si scontrò con il diniego del papa e quello, tra gli altri, di un uomo del prestigio di Fisher, che Enrico avrebbe voluto dalla sua parte. Nel 1534 il re fece approvare dal Parlamento la Legge di Successione, con cui si dichiarava nullo il matrimonio con Caterina e legittimo quello con la Bolena, i cui figli entravano pertanto nella linea di successione. Fisher e More rifiutarono di sottoscriverlo. Nella primavera di quello stesso anno entrambi vennero incarcerati nella Torre di Londra. Il 20 maggio 1535, papa Paolo III giocò la carta della nomina a cardinale di Fisher, sperando così di salvargli la vita. Ma ottenne solo che il re, infuriato, premesse per la rapida conclusione del processo e la relativa condanna. Vennero approvate nel contempo la Legge di Supremazia  e il nuovo Statuto sul Tradimento, che  riconosceva come traditori quanti si pronunciassero contro i titoli del re e non lo riconoscessero capo supremo della Chiesa d’Inghilterra. John Fisher non si piegò. Nel processo celebrato il 17 giugno 1535 venne condannato a morte come traditore. Benché anziano e prossimo alla fine per un male incurabile, fu decapitato la mattina del 22 giugno 1535. Il corpo fu lasciato esposto nudo, per l’intera giornata, sul luogo dell’esecuzione, mentre la testa fu messa in mostra sul Ponte di Londra e vi restò fino al 6 luglio, quando fu gettata nel Tamigi, per lasciare posto a quella dell’amico Thomas More.

 

O testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro della Genesi, cap.12, 1-9; Salmo 33; Vangelo di Matteo, cap.7, 1-5.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

 

È tutto per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano del Commento al Salmo 101 (102) di John Fisher. Che ci parla anch’esso di misericordia. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Dio recise noi dall’oleastro dei gentili (cf Rm 11,24), che ci era connaturale – noi che eravamo ancora pagani e che ci lasciavamo trascinare verso gli idoli muti secondo l’impulso del momento (cf 1Cor 12,2) – e ci innestò sul vero ulivo del popolo giudaico, anche spezzandone i rami naturali, e ci rese partecipi della radice feconda della sua grazia. Ancora: egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come offerta a Dio in sacrificio di soave odore, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga (cf Rm 8,32; Ef 5,2; Tt 2,14).  Ma, sebbene tutte queste cose siano non semplici indizi, ma prove certissime del suo immenso amore e della sua generosità verso di noi, noi uomini ben più ingrati, anzi giunti oltre ogni limite di ingratitudine, non consideriamo l’amore di Dio, né riconosciamo la grandezza dei suoi benefici, ma anzi rifiutiamo e quasi disprezziamo colui che ci ha creati e ci ha donato beni così grandi. Neppure la sorprendente misericordia, continuamente dimostrata ai peccatori, ci muove a regolare la vita e i costumi secondo le sue santissime norme. Queste cose sono davvero degne di essere scritte a perpetua memoria delle generazioni venture, perché tutti quelli che in avvenire si chiameranno cristiani, conoscendo tanta bontà di Dio verso di noi, non tralascino mai di celebrare le divine lodi. (John Fisher, Commento sui Salmi).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 22 Giugno 2009ultima modifica: 2009-06-22T23:08:00+02:00da fraternidade
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