Giorno per giorno – 21 Maggio 2009

Carissimi,
“Ancora un poco e non mi vedrete; un po’ ancora e mi vedrete” (Gv 16, 16). Arcelina stamattina fa subito: noi, che sappiamo come sono finite le cose, capiamo immediatamente che Gesù si riferiva alla sua risurrezione, ma Durce ha subito aggiunto: sì, va bene, ma cosa significa per noi oggi? Quando lo vedremo ancora? Già, perché il fatto che i suoi discepoli l’abbiano poi rivisto ci fa contenti per loro, ma a noi? In cosa consiste per noi questo vedere e non vedere Gesù? Ieri sera, in chiesa, era venuto per la prima volta Ademy (vai a sapere se si scrive così), il figlio di Maria Ferreira, compagno di Jessica e papà di Maria Clara. Lui è uno di quelli che ce ne dovrebbe essere in ogni chiesa, per essere sicuri che Gesù non si senta a disagio. Ora, quando, commentando il brano degli Atti degli Apostoli che racconta il discorso di Paolo in mezzo all’Aeropago (At 17, 15-22), frei Paulo ci ha chiesto dove e quando noi potremmo cogliere la presenza del “Dio ignoto”, Ademy, senza né uno né due, ha risposto: quando qualcuno vede un mendicante buttato lì sul marciapiede e non si gira dall’altra parte, ma fa qualcosa per lui. “Vedere”: già questo è Dio. Come anche “l’altro” è Dio. E il “soccorrerlo” è sempre Dio. Scrisse un giorno frère Luc, il più anziano dei monaci di Tibhirine: “Non bisogna parlare troppo di Dio. È meglio prestare a Dio il nostro volto, la nostra bontà, il nostro sorriso… donando a tutti speranza e gioia”. E ci sembra proprio la teologia espressa dal nostro amico Ademy. Stasera, invece, ci raccontavano che, non ricordiamo più dove, in una scuola retta da religiose e destinata al recupero di bambini in condizioni di svantaggio, per motivi economici, famigliari, caratteriali o altro, i genitori di 28 bambini sono stati convocati dalla direzione, che ha comunicato loro l’esclusione dei loro figli dalle attività pomeridiane (che integrano a pieno titolo il progetto educativo dell’istituto). Ecco, per rispondere a Durce, quand’è che Gesù non si vede più. È sparito, Lui stesso rifiutato, cacciato, escluso, assieme a quei bambini “terribili”, che “Gesù stesso metterebbe alla porta” (parole testuali della direttrice), che portano già nella loro storia lo stigma di altre dolorosi esclusioni. A cui si aggiunge questa. Che, rispetto a quelle, è anche blasfema.

Oggi la comunità fa memoria di Christian de Chergé e gli altri Monaci trappisti, martiri a Tibhirine, in Algeria, e Irene McCormack e compagni,, martiri in Perù.

21 Monaci dell'Atlas.jpgChristian de Chergé era priore del Monastero trappista di Nostra Signora dell’Atlante, che sorge nei pressi di Tibhirine, in Algeria. Lui e i gli altri monaci furono sequestrati la notte tra il 27 e il 28 marzo 1996. Christian era nato il 18 gennaio 1937 a Colmar ed era monaco dal 1969. Gli altri erano: Luc Dochier, nato il 31 gennaio 1914 à Bourg-le-Péage, monaco dal 1941; Christophe Lebreton, nato l’11 ottobre 1950 a Blois, monaco dal 1974; Bruno Lemarchand, nato il 1º Marzo 1930 a Saint-Maixent, monaco dal 1981; Michel Fleury, nato il 21 maggio 1944 a Sainte-Anne, monaco dal 1981; Célestin Ringeard, nato il 27 luglio 1933 a Touvois, monaco dal 1983, Paul Favre-Miville, nato il 17 aprile 1939 a Vinzier, monaco dal 1984. Il loro sequestro fu rivendicato dal G.I.A (Gruppo Islamico Armato), con un comunicato che porta la data del 18 aprile. Con un un secondo comunicato del 23 maggio, il gruppo comunicava che i monaci erano stati decapitati il 21 maggio. Di loro, come atto di supremo sfregio, furono fatte ritrovare solo le teste. I funerali furono celebrati il 2 giugno e le teste dei monaci furono sepolte nel terreno del loro monastero due giorni dopo. Amici della popolazione islamica tra cui avevano scelto di vivere, presenza credente e orante in mezzo ad altri credenti e oranti, avevano voluto restare lì, per essere “oscuri testimoni di una speranza”, anche dopo essere stati ripetutamente avvisati che la loro permanenza era a rischio. Dovevano restare, perché “il monaco – come diceva Chesterton, citato da Christian – è come un albero, sta lì e purifica l’atmosfera”. Con altri amici musulmani, i monaci avevano creato il Ribat-es-Salam, il Vincolo-di-Pace, che si riuniva periodicamente per approfondire la conoscenza delle rispettive fedi: il primo passo in direzione – o già sua espressione – dell’amore. Profezia, forse, del nostro domani.

21 Irene McCormack.jpgIrene McCormack era nata il 21 agosto 1938, a Kununoppin, nell’Australia occidentale, e aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza in una fattoria, studiando in un collegio di suore. Poi, nel 1957, aveva scelto di essere lei stessa religiosa tra le suore di san Giuseppe. Dopo molti anni di insegnamento in Australia, nel 1987 era stata mandata in Perù, in un piccolo villaggio sulle Ande, Huasahuasi. Non era uno scherzo vivere lì, in quegli anni, sotto la minacia di un gruppo terrorista come Sendero Luminoso, che giudicava più pericolosi coloro che aiutavano i poveri di coloro che li opprimevano. E, coerentemente, li facevano fuori. Anche Irene avrebbe potuto scegliere di andarsene, ma preferì restare. La sera del 21 maggio 1991, giunse nel villaggio una banda di terroristi, secondo i testimoni, tutti giovanissimi ed evidentemente drogati. Presero la suora e quattro uomini, tre cattolici e un evangelico, e nella piazza centrale improvvisarono un processo farsa, accusandoli di essere al soldo degli yankee imperialisti e di gestire i fondi della Caritas, una forma di aiuto ai poveri che loro non tolleravano. I quattro furono condannati a morte come nemici del popolo. Gettati a terra, furono liquidati, uno dopo l’altro, con un colpo a bruciapelo sparato alla testa. Irene fu sepolta a Huasahuasi, secondo il suo espresso desiderio. Ogni mattina, al risveglio soleva dire questa preghiera: O Dio, mio Padre, tu mi ami e mi perdoni, così OGGI io accetto tutto come un dono e chiedo di trovare te, il Signore Donatore, nel dono. Scelgo di affrontare la vita senza paura e di vivere con cuore indiviso ogni momento presente. Possa il mio cuore cantare oggi un canto di ringraziamento riconoscente e di lode. Io sono un’opera d’arte di Dio. Sono preziosa al suo sguardo!”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.18, 1-8; Salmo 98; Vangelo di Giovanni, cap.16, 16-20.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

21 Frère Luc.jpgNon sappiamo se il brano della lettera di Frère Luc Dochier, che troviamo citato in un articolo di Thomas Georgeon, apparso con il titolo “La transparence de l’absolu – Frère Luc, moine martyr de Tibhirine” in Collectanea Cisterciensia (69, 2007), abbia proprio a che fare con quanto siamo venuti riflettendo oggi, ma ci pare di sì. Se non altro per l’immagine del mendicante, la stessa richiamata da Ademy, e quella in cui, troppo facilmente, rinchiudiamo i nostri “bambini terribili”. Forse non ce ne accorgiamo, ma essa è lo specchio nostro e dei nostri fallimenti. Per i quali speriamo di trovare, “a tempo debito”, un giudice meno severo di quello che siamo abituati ad essere noi. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il Cristo ci mostra il cammino. La morte è il “Passaggio” obbligato. Come sarà questa morte per noi: violenta, o al termine di una malattia? È l’imprevisto di ogni vita. Quando l’ora sarà venuta, mi presenterò a Dio come il mendicante, a mani vuote, coperto di piaghe. Noi camminiamo verso Lui, attraverso la povertà, l’insuccesso, la morte. Il cristianesimo è il capovolgimento di tutti i valori. Andrò verso Dio, mio Padre, come coloro che sono senza domicilio fisso, per raggiungere una dimora stabile e definitiva. La mia sola fiducia, la mia sola speranza è la Misericordia infinita di Dio che ci accogliecosì come siamo. Malgrado le disgrazie della vita, è una grazia essere nati, perché in fondo al male c’è qualcuno. Il segreto della vita è Amare. (Frère Luc Dochier, Lettre du 25 mars 1994)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Maggio 2009ultima modifica: 2009-05-21T23:36:00+02:00da fraternidade
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