Giorno per giorno – 22 Maggio 2009

Carissimi,
“La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16, 21-23). Com’è vero, dice subito dona Dominga. E Gerson spiega sottovoce a Elzamar che viene da fuori: ha avuto diciassette figli. E, continua dona Dominga, anche se alcuni non sono sopravvissuti, resta l’allegria di aver generato dei figli a Dio. Dona Maria fa: È come quando si è malati e sembra che non ci sia via d’uscita e ci si dispera, poi, invece, si guarisce, ed è come rinascere! , oggi, e anche Valdecí, se ne stanno zitte, forse perché qualche preoccupazione di troppo per la salute ce l’hanno loro questa volta. Anche se poi, quest’ultima riesce sempre a nascondere le sue dietro alle preoccupazioni per gli altri o a mascherarle con quel buonumore, che si porta comunque appresso. Giovanni aveva ben donde a richiamare questa parola del Maestro. La situazione di persecuzione che la sua comunità viveva, sul finire del primo secolo, seminava inquietudine, paura, desolazione. Anche oggi, in molti luoghi, si vivono esperienze angoscianti, a livello di regioni, di popolazioni, di nazioni intere. Qui, in Brasile, il pensiero va subito alle conseguenze delle alluvioni nel Nordeste e alle difficoltà di organizzare gli aiuti e di farli giungere a destinazione. Durce suggerisce: allora, quando arriveranno, sarà un po’ come se fosse arrivato Gesù, vero? Sì, e c’è anche un’infinità di altre situazioni che portano a chiedersi: perché Dio permette? Dov’è Dio? C’è un canto evangelico che recita così: “Quando Deus se cala, tenha fé, ó meu irmão. Ele tarda mas não falha, Ele vem com a solução”, cioè: “Quando Dio tace, abbi fede, fratello mio, Lui tarda, ma non fallisce mai, Lui viene con la soluzione”. Che, certo, non può essere una soluzione miracolistica, perché Dio non è la fata turchina, né intende trattarci da bambini. Esige, invece, che ci si rimbocchi le maniche e che ci apriamo alla sua proposta (“vita piena per tutti”), assumendo la sua maniera d’essere. Allora è il suo Spirito che agisce in noi.

Oggi è memoria di Rita da Cascia, sposa, madre di famiglia e contemplativa, che qui da noi la chiamano Ritinha e le vogliono un gran bene; e anche, per noi almeno, di Israel ben Eliezer, il Baal Shem Tov (Signore del nome buono), mistico, guaritore e carismatico ebreo del XVIII secolo, fondatore del Chassidismo.

22 RITA DE CÁSSIA.jpgRita era nata nel 1381, in Umbria, nel villaggio di Roccaporena, da Antonio Lottius e Amata Ferri, una coppia non più giovanissima, che aveva dovuto sudare dodici anni l’arrivo della figlia. Mandata in sposa dai genitori ad un giovane rissoso e violento, tale Paolo di Ferdinando, tanto s’impegnò e fece che, un giorno, ottenne mettesse la testa a posto. Troppo tardi, però, per riuscire a sottrarlo al desiderio di vendetta di antichi rivali che, neanche a dirlo, ne fecero ritrovare il cadavere lungo la strada di casa. E cominciarono le preccupazioni per i figli, Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, perché: Uomini siamo, dobbiamo vendicarlo! E lei cominciò a pregare Dio: piuttosto che farne strumenti di morte, prenditeli con te. E solo una madre sa cosa significa una preghiera così, perché sa cos’è dare la vita. E pensa anche alle altre, di madri. I due figli, vai a sapere come, si ammalarono e morirono entrambi. Lei fu allora a bussare al convento delle agostiniane a Cascia. Le quali, per via della biografia complicata, mica volevano riceverla e la rimandarono a casa. Ma inutilmente, perché Lui la voleva là. Finalmente ammessa in convento, vi rimase, edificando tutte le buone monachelle, fino alla morte, il 22 maggio 1447.

22 BAAL_SHEM_TOV.JPGIsrael ben Eliezer era nato a Okop, un piccolo viaggio dell’Ucraina, al confine russo-polacco il 18 Elul del 5458 (25 agosto 1698). I suoi genitori, Eliezer e Sara, erano vecchotti quando lui nacque e morirono che era ancora bambino. La sua educazione fu allora affidata alla comunità. Lui era uguale in tutto agli altri bambini, ma anche un po’ diverso. Gli piaceva appartarsi, vagare per campi e foreste, aprendo il suo cuore a Dio. Divenuto adolescente, lo misero sotto, a lavorare nella scuola locale. Più tardi, cominciò a lavorare nella sinagoga e questo gli permise di studiare e approfondire una gran mole di testi ebraici, compresa la Kabbalah, mantenendo tuttavia sempre la sua immagine di semplicità. Trasferitosi a Brody, una cittadina vicina, trovò lavoro come insegnante. Qui conobbe, Rabbi Efraim di Brody, che seppe intuire chi si nascondeva dietro quelle semplici apparenze e gli offrì in sposa la figlia, Leah Rochel. Dopo il matrimonio, la coppia si trasferì in un villaggio sui Carpazi, dove, Israel, con l’aiuto della moglie, si dedicò ad una vita di preghiera e di studio. Fu solo a trentasei anni che egli si manifestò per il maestro che era, stabilendosi dapprima a Talust e poi a Medzibosh, nell’Ucraina occidentale, dove visse per il resto della vita e dove fondò il movimento chassidico. La sua fama si diffuse rapidamente e molti rabbini e studiosi di valore divennero suoi discepoli. Insegnava l’importanza della preghiera gioiosa, del canto, della danza, dell’amore di Dio e del prossimo e diceva che questi cammini portano a Dio come e quanto lo studio della Torah. Il Baal Shem Tov morì il secondo giorno di Shavuoth, la Pentecoste ebraica, il 7 Sivan del 5520 (22 maggio 1760).

I testi che la litugia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.18, 9-18; Salmo 47; Vangelo di Giovanni, cap.16, 20-23a.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

È un fioretto del Baal Shem Tov, quello che vi proponiamo in chiusura, tratto da “I racconti dei chassidim” (Garzanti) di Martin Buber. Vi si parla di afflizione e di gioia e della capacità che la comunità ha di trasformare l’una nell’altra. Ed è ciò che si dovrebbe fare anche noi in ogni occasione che lo richieda. E che, per il momento, è almeno un nostro sogno e il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Una volta, la sera dopo il Giorno del Perdono, la luna rimase coperta dalle nuvole, e il Baalshem non potè uscire a dire la benedizione della luna. Ciò l’angustiava molto; ché, come tante volte, anche ora sentiva che un destino imponderabile era affidato all’opera delle sue labbra. Invano diresse la sua profonda forza verso la luce del pianeta, per aiutarlo a gettare i suoi gravi veli; ogni volta che mandava qualcuno a vedere, sempre gli veniva risposto che le nuvole s’erano ancora infittite. Finalmente la speranza l’abbandonò. Intanto i chassidim, che non sapevano la pena del Baalshem, si erano riuniti nella parte più esterna della casa e avevano incominciato a danzare, ché in tal modo solevano festeggiare lietamente il perdono dell’anno, compiuto attraverso il servizio sacerdotale dello zaddik. Quando la santa gioia crebbe, invasero danzando la camera del Baalshem. Presto il fervore li sopraffece, presero per le mani colui che sedeva afflitto e lo trassero nel loro girotondo. In quel momento di fuori risuonò un grido. Improvvisamente la notte s’era rischiarata; in splendore mai visto la luna si librava nel cielo purissimo. (Martin Buber, I racconti dei chassidim).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 22 Maggio 2009ultima modifica: 2009-05-22T23:22:00+02:00da fraternidade
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