Giorno per giorno – 20 Maggio 2009

Carissimi,
“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16, 12-13). Le cose che Gesù dice non sono solo parole, sono accadimenti. Sono l’univoco agire di Dio nella vita nostra e del mondo. Ed è logico che noi, al pari dei discepoli, non lo si capisca di primo acchito. Perché, Dio, noi e loro, l’abbiamo sempre pensato un’altra cosa, anzi “cosona”, che più grande e potente non ce n’è. E invece. Lui, da lì a poco, sarebbe stato schiacciato, ucciso, e puff, morto e sepolto. Chi riesce a leggerne e reggerne ancor oggi il significato? Ora il mestiere dello Spirito è di quelli difficili, impossibili, si direbbe, se non fosse Dio. Considerato il materiale umano che ha davanti. Eppure, Lui ci guiderà alla Verità tutta intera. Che, poi, è ancora una volta Gesù. E mica a capirla con la testa. No, a viverla con la nostra vita. Noi resi Cristo.
“Non direi che la fede è nell’ordine dell’indicibile. Io credo che il simbolismo fondamentale del cristianesimo – la figura del servitore sofferente che dà la sua vita per i suoi amici -, è immediatamente accessibile. Ogni uomo può capire ciò. Entrare nel movimento della credenza, significa decidere di fare di questo servitore, di Gesù Cristo, l’organizzatore della propria vita, della comprensione di sé e dei propri rapporti con gli altri. Con la fede, non siamo quindi nell’irrazionale. Se la ragione sola non può condurci alla fede, la fede non si oppone alla ragione e suscita un sovrappiù di ragione”. E ciò che Ricoeur chiama “fede”. In Gesù Cristo. Come verità di Dio.

Oggi noi si fa memoria di Pietro di Cordova, missionario difensore degli indigeni, Michael e Margaretha Sattler, martiri anabattisti, e Paul Ricoeur, cristiano e filosofo.

20 PEDRO DE CORDOBA.jpgNato a Cordova, in Spagna, nel 1460, il giovane Pietro entrò nell’Ordine dei Predicatori e fece parte con Antonio di Montesinos e Bernardo di Santo Domingo, del primo gruppo di domenicani inviato a evangelizzare l’isola Española (l’attuale Repubblica Dominicana), dove giunse nel settembre del 1511. La difesa della popolazione indigena fu il grande compito che questi frati coraggiosi si diedero, da subito, comprendendo bene che non è possibile predicare l’Evangelo, senza denunciare l’ingiustizia e l’oppressione che regnano nella società. Fu così che, a pochi mesi dal suo arrivo sull’isola, la comunità decise di denunciare pubblicamente la situazione drammatica che si presentava ai suoi occhi. Insieme i frati redassero l’omelia della IV domenica di Avvento (21 dicembre 1511), delegando poi il padre Antonio de Montesinos a pronunciarla davanti alla popolazione e alle autorità. Quando l’ammiraglio Diego Colombo, vicere dell’isola, figlio del più celebre Cristoforo, si precipitò per fare le sue rimostranze dal superiore del convento, che era appunto Pietro di Cordova, questi gli rispose fermo e tranquillo: “Signore, mi permetta di ricordarle che noi, avendo posto le nostre parole e le nostre azioni al servizio del Re dei re, non possiamo che conformarci a ciò che è giusto, assolutamente giusto, e d’accordo con le leggi divine. Nulla, né nessuno, per quanto potente, riuscirà a piegare la nostra energia e distogliere da esse i nostri sforzi”. Si deve a Pietro di Cordova la redazione del primo catechismo destinato agli indigeni. Il frate morì a 38 anni, di tubercolosi, conseguenza della grandi penitenze cui si era sottoposto in vita.

Michael Sattler era nato nel 1490 a Stauffen, nella regione tedesca del Baden Württenberg. Entrato nel monastero benedettino di San Pietro, nella Foresta Nera, vi aveva compiuto gli studi ed emesso i voti religiosi, ed in seguito era stato eletto priore. Erano gli anni della Riforma e Michael, turbato dalla corruzione che vedeva diffusa nella chiesa e dalle miserabili condizioni di vita dei contadini della regione, e questionato dalla rilettura che Lutero faceva della proposta cristiana, decise di lasciare lo stato religioso. Recatosi a Zurigo nel 1525, apprese e cominciò ad esercitare il mestiere di tessitore. Venuto nel frattempo in contatto con gli anabattisti della zona, chiese di far parte del loro gruppo e di essere ribattezzato. A Strasburgo, l’anno seguente, conobbe e sposò Margaretha, la donna che ne avrebbe condiviso il destino fino alla morte. Il 24 Febbraio 1527, nella cittadina svizzera di Schleitheim, Sattler redasse, per conto della sua chiesa, i Sette articoli di Schleitheim, il documento che sintetizza i fondamenti dell’anabattismo. Poco dopo la conclusione della riunione di Schleitheim, Settler, la moglie ed altri 18 anabattisti furono arrestati e trasferiti a Rottenburg, nel Baden Württenberg, per esservi processati. Il processo, apertosi il 15 Maggio 1527, si concluse tre giorni dopo con la condanna di Sattler al mozzamento della lingua, alla mutilazione delle membra con tenaglie roventi e alla morte sul rogo. Sattler affrontò la condanna e la sua esecuzione, avvenuta il 20 maggio 1527, con grande serenità. Due giorni dopo, la moglie Margaretha fu uccisa mediante annegamento nel fiume Neckar. Era questa la pena che il cattolicissimo Ferdinando d’Asburgo definiva il migliore antidoto contro l’anabattismo, il terzo battesimo.

20 PAUL RICOEUR.jpgPaul Ricoeur era nato il 27 febbraio 1913 a Valence (Drôme) in una famiglia di antica tradizione protestante. Rimasto orfano dei genitori ancora bambino (la madre morì poco dopo averlo dato alla luce, il padre nel 1915, al fronte, durante la Preima Guerra mondiale), fu allevato, assieme alla sorella, dai nonni, a Rennes. Nel 1935 sposò Simone Lejas, un’amica d’infanzia da cui avrà cinque figli. Prigioniero di guerra per cinque anni nei lager tedeschi a partire dal 1940, al ritorno in patria fu tra gli animatori della rivista Esprit, tribuna dell’esistenzialismo cristiano, e amico di Emmanuel Mounier, suo fondatore. Insegnò in seguito all’Università di Strasburgo, poi alla Sorbona e presso la nuova Università di Nanterre e, a partire dal 1970, negli Stati Uniti, alle università di Chicago, Yale e Columbia, oltre che a Lovanio (Belgio), Ginevra (svizzera) e Montréal (Canada). Morì il 20 maggio 2005, presso la sua abitazione di Châtenay-Malabry (Hauts-de-Seine). Ebbe a definire l’uomo “la Gioia del Sì nella tristezza del finito”. E propose un’antropologia da cui emerge un uomo fragile, “sproporzionato” e continuamente sul baratro tra il Bene e il Male, capace di peccato e fallimenti. E tuttavia, “per quanto radicale sia il male, esso non è così profondo come la bontà. Qualunque sia il male commesso, in ogni uomo esiste una particella di bontà da tirar fuori. La religione non è fatta per condannare; è una parola che dice: ‘Tu vali più delle tue azioni’. Si può liberare il fondo di bontà che è in ciascuno di noi se si accetta d’essere strutturati dai grandi simboli che sono alla base delle grandi religioni”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.17, 15.22 -18, 1; Salmo 148; Vangelo di Giovanni, cap.16, 12-15.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

È ora di congedarci. Lo facciamo, lasciandovi alla lettura di un testo di Paul Ricoeur, dal titolo “Dolcezza e violenza nella Bibbia”, pubblicato sul quotidiano Avvenire, il 10 giugno 2007. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’atto di creazione non è un atto di violenza, bensì di dolcezza, come ben mostrano l’opera creazionale che culmina nella proclamazione del sabato come riposo di Dio e, più segretamente, l’instaurazione di un regime alimentare che accomuna l’uomo e l’animale; l’utopia vegetariana posta all’origine (cf Gen 1,30) suggerisce all’occhio del lettore attento che il dominio dell’uomo sulla natura dovrebbe a sua volta essere caratterizzato unicamente dalla dolcezza, come lo fu il gesto iniziale. È a tale potenza mite che si indirizza la lode dei Salmi, questo tesoro condiviso dalla comunità di Israele e dalla Chiesa cristiana nelle loro rispettive liturgie; la lode a sua volta mantiene il grido di angoscia sulla via della preghiera, elevandola al rango della supplica; con quest’ultima, poi, sono la storia e le sue violenze che vengono a interrompere la lode. Resta un unico sbocco al canto contrastato del salmista: lo slancio proteso verso la promessa, parola che apre il futuro. Partendo dal legame con il tema della promessa, ecco la concezione dell’unità dei due Testamenti. Infatti è il medesimo legame tra cosmo creato e speranza che noi ritroviamo nell’incipit di Genesi e in quello dell’Evangelo di Giovanni: “In principio era la Parola”; ma è anche lo stesso che regge i finali delle raccolte profetiche (Osea, Amos, i tre libri di Isaia, Ezechiele) e che ricompare nella Lettera di Paolo ai cristiani di Roma (cf Rm 8): c’è da una parte e dall’altra la medesima fiducia e il medesimo gemito, così come alla fine c’è il medesimo dilatarsi escatologico in Daniele e nell’Apocalisse di Giovanni. La salvezza – vi si annuncia – verrà a posarsi su un’interruzione, su una fessura del tempo. (Paul Ricoeur, Dolcezza e violenza nella Bibbia).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Maggio 2009ultima modifica: 2009-05-20T23:11:00+02:00da fraternidade
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