Giorno per giorno – 13 Maggio 2009

Carissimi,
“Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli” (Gv 15, 7-8). “Se rimanete in me”. Oggi ci chiedevamo perché Gesù insista tanto sul fatto che noi si rimanga in lui. Forse, semplicemente, perché Dio ha paura a restare solo. Quel giorno si rivolgeva ai Dodici. Che, di più scalcinati, non ce n’era. Povera gente, economicamente, culturalmente, religiosamente, umanamente. E Lui a dirgli: per favore, restate. Almeno voi. Farò quel che volete, ma restate! Stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, abbiamo avuto tre battesimi, forse i primi ad essere celebrati qui. E si è mosso niente meno che dom Eugenio, il vescovo. Si è trattato di Letícia, la piccola di Divina e Divino, di Andressa, figlia di Luciana e Robson, e di Kawã, il bimbo di Janaina. Degli amici di Gesù si sa che alcuni erano pescatori, uno esattore delle tasse, altri, chissà, saranno stati come lui, carpentieri, o muratori, di uno è detto che era stato una testa calda, uno “zelota”. Di intellettuali, neppure l’ombra, o, forse, solo, Giuda. E anche i suoi amici di oggi, quelli che gli hanno portato i loro bimbi stasera, sono casalinghe, manovali, braccianti, molte volte, negli ultimi tempi, solo disoccupati. Noi, in passato, si nutriva una certa resistenza a dare il battesimo a chi non facesse parte della comunità. Se proprio lo volevano, che andassero in parrocchia, che spesso fa le funzioni di un ufficio dell’anagrafe. Ma questi, noi li si conosce da vicino: è la sua gente. Come dirgli, a Suo nome, di no. Poi, in questi casi, c’è sempre una carta di riserva: i padrini. Che, questa volta, uno che li giudicasse con metro canonico potrebbe storcere il naso. Come, appunto, gli zelanti farisei con gli apostoli di Gesù. Che poi, però, se ci sono chiese che ammettono tranquillamente padrini di battesimo o di cresima nei clan mafiosi, in ricchi pluridivorziati, in politici ladri e corrotti, che , sotto sotto, se la ridono di Cristo e del Vangelo, perché non accettare questi nostri, che, tutto sommato, a Dio ci credono davvero e al loro prossimo gli vogliono bene, anche se si sa come vanno queste cose: che la carne è debole e la tentazione è sempre lì a portata di mano. Ma sono quisquilie, a cui il buon Dio non ci fa neppure caso. Noi, l’altra sera, parlando con loro, genitori e padrini e madrine, gli si diceva, additando il grande crocifisso, vestito da risorto, ma con le piaghe bene in vista, che domina la parete di fondo (l’aveva scolpito il vecchio Pedrão): di Lui ci possiamo fidare, perché, se c’è bisogno, è disposto a morire ogni volta di nuovo, per ciascuno di noi. Perché noi si viva. Ci potranno anche abbandonare tutti e noi sentirci perduti, ma Lui non ci mollerà. È per questo che chiediamo il battesimo per i nostri figli e figliocci. Per impegnarci a insegnarglielo. Il resto viene, quando viene, piano piano, un po’ per volta. Al punto che riusciremo persino a fare frutti, a essere un po’ come Lui. Chi, noi? Precisamente noi.

Oggi il nostro calendario ci porta le memoria di Bede Griffiths, monaco-sannyasi, e di René Voillaume, piccolo fratello di Gesù.

13 BEDE GRIFFITHS.jpgAlan Richard Griffiths era nato, ultimo di tre figli, il 17 dicembre 1906 a Walton-on-Thames, in Inghilterra, da una famiglia un tempo benestante, ma ora impoverita. Giunta l’età degli studi, il giovane ottenne tuttavia una borsa di studio, che gli consentirà di studiare fino al conseguimento della laurea in giornalismo, a Oxford. Dopo la laurea, per circa un anno, il giovane Griffiths visse con due amici un’esperienza di vita semplice ed essenziale, a contatto con la natura, alimentata dalla lettura della Bibbia e di altri testi di letteratura cristiana. Dopo una visita all’abbazia benedettina di Prinknash, chiese di ricevere il battesimo – che gli fu somministrato la vigilia del Natale 1931 e, l’anno successivo entrò in monastero, assumendo il nome di Bede. Nel 1937 pronunciò i suoi voti perpetui e nel 1940 fu ordinato sacerdote. Per circa quindici anni se ne stette relativamente tranquillo, scandendo la sua vita, come vuole la Regola, tra preghiera, studio e lavoro. Nel 1955, la svolta, con la richiesta di trasferirsi in India, “alla scoperta dell’altra metà dell’anima”. Assieme a Benedict Alapott, un prete indiano nato in Europa, si stabilì per tre anni a Kengeri, nel Bangalore, poi nel 1958, raggiunse p. Francis Acharya, nel Kerala, collaborando alla fondazione dell’ Ashram Kurisumala, un monastero di rito siriaco, dove assunse il nome di Dhayananda (Beatitudine della preghiera). Nel 1968, infine, si trasferì, con altri due monaci indiani, Swami Amaldas e Swami Christodas, all’Ashram Saccidananda, a Shantivanam, nello stato del Tamilnadu, vicino a Tiruchirappalli. L’ashram, fondato nel 1950 da Jules Monchanin e Henry Le Saux, era stato il primo tentativo di fondare in India una comunità cristiana che seguisse i costumi di un ashram e s’adattasse, nel modo di vivere e di pensare, allo stile indù. Bede Griffiths, che adesso prese a chiamarsi Dayananda (Beatitudine della Compassione), si conformò in tutto al costume vedico, vestendo la veste arancione del sannyasi e vivendo in assoluta povertà, fino alla morte, che lo colse, uomo dal cuore universale, il 13 maggio 1993.

13 Voillaume.jpgRené Voillaume era nato a Versailles il 19 luglio 1905. Ordinato prete nel 1929, aveva proseguito gli studi all’Angelicum di Roma e si era poi specializzato in lingua araba e islamistica a Tunisi. L’8 settembre 1933, nella basilica parigina del Sacro Cuore a Montmartre, insieme a Guy Champenois, Marcel Boucher, Georges Gorrée e Marc Gerin, Voillaume dava inizio alla famiglia dei Piccoli fratelli di Gesù. Decisero di stabilirsi insieme a El-Abiodh, nell’Algeria del Sud, seguendo le impronte di Charles de Foucauld, l’eremita solitario che a lungo sognò, senza riuscirvi, di fondare una congregazione che avesse come ideale la vita nascosta di Gesù a Nazareth. Nel 1939, dall’incontro di Voillaume con Magdeleine Hutin, avvenuto l’anno prima, sarebbe nata la congegazione delle Piccole sorelle di Gesù. Altre famiglie sarebbero in seguito sorte, alimentate dall’intuizione spirituale di fratel Charles e dalla traduzione che Voillaume seppe farne nel cuore del nostro tempo. Quando, prima di morire Voillaume diede spazio ai ricordi autobiografici, volle sottolineare l’importanza che, nella sua vicenda spirituale, ebbero il Santissimo Sacramento e Nazareth. Quest’ultima letta nei suoi due significati di vita di silenzio, preghiera, lavoro e povertà, e quello di inserimento in un ambiente povero, in cui, fuori da ogni troppo facile retorica, si condivide la vita e il lavoro di tutti. Il 13 maggio 2003, alle soglie dei 98 anni padre Voillaume moriva a Aix-en-Provence, assistito dai rappresentanti delle varie famiglie spirituali nate dai suoi scritti e dalla sua vita.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap. 15, 1-6; Salmo 122; Vangelo di Giovanni, cap.15, 1-8.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia la religione, la cultura o la filosofia di vita.

La nostra amica Edna un po’ ci è abituata, ad andare con la sua motina, sulle strade di qui, per le quali sarebbe più conveniente una moto da cross. E quando non ce la si può permettere, bisogna abituarsi a cadere e a farsi male. Il che è successo, stamattina. Risultato: escoriazioni diffuse, la faccia gonfia, un occhio pesto e un punto sulla palpebra. Ma, graças a Deus, niente di rotto. Mettetela, comunque, nelle vostre preghiere.

Per stasera è tutto. Noi ci congediamo qui con uno scritto di René Voillaume, che, diretto alle sue fraternità, ci sembra valido per tutti noi. Lo troviamo nel sito dei “Piccoli fratelli di Gesù” ed è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Con la stessa spontaneità di Nicodemo a proposito della nuova nascita, ci domandiamo come sia possibile ritornare nel seno della propria madre. E una quantità di obiezioni, di sospetti ci assalgono in nome di quella fiducia che si ha in se stessi e che ogni uomo rivendica come essenziale alla propria personalità. Non è questo un atteggiamento da deboli, un complesso di inferiorità, un invito ad una spontaneità facile ma un po’ stupida che dispensa dall’interrogarsi, dal riflettere e che svuota l’individuo di ogni responsabilità? Tutto questo è fuori luogo. Ciò che Gesú vuol farci comprendere è tutt’altra cosa. Ciò che Egli denuncia in noi non è la nostra personalità, è la nostra sufficienza, la nostra tendenza a farci il centro del mondo, a vedere tutto, a giudicare tutto e spesso a condannare tutto attraverso i nostri punti di vista. No, non siamo il centro del mondo. Questo è già evidente sul piano ordinario della vita sociale, ma lo è ancora di più se vogliamo situarci in verità davanti a Dio. Ed è qui che Gesú ci insegna qualcosa di veramente nuovo, di fronte a questa situazione in cui noi potremmo sentirci superati, schiacciati, oppressi. Gesù ci insegna che non abbiamo nulla da temere, che al contrario dobbiamo riprendere fiducia, perché in realtà siamo Figli di un Padre che non ignora niente di noi e che ci ama, sul quale possiamo contare dovunque siamo e chiunque siamo. Gesù va così lontano che sembra dirci che non dobbiamo più preoccuparci di nulla, perché se Dio si occupa dei gigli del campo e degli uccelli del cielo, a maggior ragione penserà a noi. Quello che vuol dirci non è certamente di prendere le cose alla leggera e di lasciarci andare, ma neppure di lasciarci abbattere, come se Egli non esistesse, di dimenticare che Egli è nostro Padre e che conosce tutto ciò che ci fa soffrire e di cui abbiamo bisogno. È questa una realtà che ci dovrebbe rasserenare, aiutarci a guardare con più semplicità a noi stessi, ad amarci come Dio ci ama, a vivere nella pace, nella fiducia e nella gioia perché siamo in buone mani. È questo che ci apre le porte del Regno dei Cieli; ed è questo pure che si trova in sostanza nella preghiera dei poveri, che non sono capaci di una preghiera geniale, ma che sanno di non essere più soli perché hanno un Padre. (René Voillaume, Lettera n. 27, Marzo 1978).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Maggio 2009ultima modifica: 2009-05-13T23:51:00+02:00da fraternidade
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