Giorno per giorno – 01 Maggio 2009

Carissimi,
“Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere?” (Mt 13, 54-55). Già, il figlio del carpentiere. Come si fosse arrivati a questo, è presto detto. Trent’anni prima, Lui dev’essersi chiesto dove e da chi suo Figlio, cioè il Verbo, la sua Parola, sarebbe stato meglio accolto, cresciuto, posto in condizione di adempiere la sua missione e di diventare buona notizia per il mondo. Quanto a garanzie dal punto di vista sociale, economico, culturale e religioso, bisogna riconoscere che aveva davanti un buon numero di scelte. Uomini giusti, persone dabbene, gente in buona fede, ce n’era senza dubbio in ogni categoria, tra scribi, leviti, dottori della legge, sacerdoti, e chissà, forse, anche sommi sacerdoti, o tra sadducei e farisei, esseni o quant’altri. Certo, con un po’ di ottimismo, avrebbe potuto scegliere qualcuno di questi e, in così buone condizioni di partenza, il suo figliolo avrebbe anche avuto maggiori probabilità di successo. Resta il fatto che Lui cercò altrove e scelse uno più in basso degli altri, forse perché ci si potessero riconoscere tutti. Uno che faticava, perché nessuno arrivasse a pensare che la sua Parola sia riducibile a chiacchiera tra intellettuali o professionisti della religione. Lo prese da una regione oscura, mezzo pagana, guardata con sospetto dai custodi dell’ortodossia del tempo e dei rituali del tempio. Forse, per far sapere di non essere interessato a ciò che gli uomini pensano di Lui, né alle loro preoccupazioni per più adeguatamente rendergli culto. Dio cerca soltanto, da sempre, gente che si prenda cura della gente. Come fa Lui. Come avrebbe fatto il carpentiere Giuseppe con quel suo figlio. E suo figlio con gli altri. Dato che, poi, per la tutela dei suoi diritti e delle sue prerogative (se ancora gliene sono rimasti), l’Eterno sa sbrigarsela da solo. Beh, la festa di oggi, è per dire che Dio ha le sue priorità, i suoi interlocutori privilegiati. In questo caso i lavoratori (e le lavoratrici), anche disoccupati(e), se e quando, naturalmente, si danno da fare per eliminare le ingiustizie (Giuseppe è detto semplicemente “giusto”) e per far crescere in mezzo a noi il seme divino del Regno. Che è vita, e vita in abbondanza, per tutti.

01 JOSEPH WORKER BIS.jpgBene, assieme alla Festa civile del 1° Maggio, oggi la Chiesa celebra la Festa di san Giuseppe operaio.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
Lettera ai Colossesi, cap.3,14-15.17.23-24; Salmo 90; Vangelo di Matteo, cap.13,54-58.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Il calendario ci porta, sempre oggi, la memoria di Takashi Nagai, testimone di pace.

01 TAKASHI NAGAI.gifTakashi Nagai era nato a Matsue City, in Giappone, il 3 febbraio 1908, primo dei cinque figli di Hiroshi e Tsune Nagai. Terminato il liceo, s’iscrisse alla Facoltà di Medicina di Nagasaki, vivendo a pensione nella casa dei Moriyama, una famiglia cristiana da diverse generazioni. Nel 1932, conseguita la laurea, si specializzò in radiologia al Medical College di Nagasaki. L’anno successivo, arruolato in fanteria, fu inviato sul fronte della guerra cino-giapponese, con cui il Giappone, sfruttando l’incidente di Mukden (1931), volle annettersi la Manciuria. Fu allora che ricevette in dono, speditogli dalla figlia dei Moriyama, Midori, un piccolo catechismo, che lo portò a interessarsi al cristianesimo. Tornato nel 1934 in Giappone chiese di essere battezzato, scegliendo il nome di Paolo. Due mesi dopo sposava Midori, da cui avrebbe avuto due figli. Nel 1937, fu inviato nuovamente in Cina, dove restò fino al 1940, quando, tornato a Nagasaki, riprese il suo lavoro universitario. Nel giugno 1945, fu diagnosticata a Nagai una grave forma di leucemia, conseguenza dell’attività di radiologo, che svolgeva e gli dissero che aveva solo tre anni di vita. Il 9 agosto 1945, alle 11:02 del mattino, una bomba atomica sganciata da un B-29 americano esplodeva su Nagasaki, seminando morte e distruzione. Nagai si trovava nel suo studio all’Università di Nagasaki, a circa 700 metri dall’epicentro dell’esplosione che provocò la morte di oltre 80 mila persone, tra cui sua moglie. Nonostante la malattia e le nuove terribili lesioni che lo colpirono, Nagai continuò a dedicarsi finché potè a portare soccorso ai superstiti, a fare attività di ricerca, a insegnare e a pubblicare libri. Nel marzo 1948, ottenuta la pensione, si trasferì nel Nyokodo, “il piccolo eremiterio”, costruito nei pressi delle rovine della cattedrale di Urakami. Sapendo che i suoi figli, Makoto e Kaiano, dopo aver perso la madre, sarebbero presto rimasti orfani anche di lui, scrisse numerosi racconti a loro dedicati, per poter in qualche modo continuare il dialogo anche dopo la sua morte. La maggior parte dei proventi dei suoi lavori fu destinato a quanti, bambini e adulti, stavano soffrendo le conseguenze della bomba atomica. Uomo di profonda preghiera, cercò di approfondire il significato che, alla luce della fede cristiana, poteva avere questo insostenibile cumulo di sofferenze. Pensò di aver trovato la risposta: Nagasaki era stata scelta come città vittima e testimone della causa della pace tra i popoli. E volle in questo leggere anche il significato della sua vita e della sua morte. La fine sopraggiunse improvvisa la mattina del 1° Maggio 1951, subito dopo aver invitato i presenti a pregare. Aveva 43 anni. Sulla tomba volle fossero incise le parole del Vangelo: “Siamo servi senza valore; abbiamo fatto ciò che dovevamo” (Lc 17,10).

Noi ci congediamo qui. Non senza offrirvi, chiudendo questa giornata che dovrebbe essere di festa e di lotta, con un testo di Sirio Politi, dal titolo, appunto, “Riscoprire la lotta”. Lo troviamo in rete, nel bel sito di pretioperai.it, ma è tratto dalla rivista “Lotta come Amore” dell’ottobre 1987. Ed è il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Sopravvivere oggi, nella realtà del mondo nel quale viviamo, non è miracolo di poco conto. Sopravvivere, s’intende, come uomini liberi, dove la libertà è possedere una propria identità personale e cioè pensieri che nascano dal se stesso, ideali raccolti nel cuore, trasparente possibilità di traduzione concreta di progetti sognati in fondo all’anima, il non rischiare con la necessità di essere venduti o comprati a prezzo sonante da questo o quel personaggio dalla voglia di accumular quattrini o dal prurito di carriere più o meno politicizzate… Ma l’esemplificazione del come è possibile perdere se stessi e cioè la propria verità e autenticità, è equivalente all’inesauribilità dei tentativi e dei mezzi a disposizione per la sopraffazione, lo sfruttamento, la strumentalizzazione, di cui il “progresso”, la civiltà di questo nostro tempo, sovrabbonda. Non arrendersi a questa “civiltà” così sottilmente e violentemente ravvolgente e coinvolgente, è già lotta e realmente nel concreto lotta dura, logorante. Tutto un rapporto di resistenza e non soltanto passiva ma attiva, capace cioè d’inventare e di render vita vissuta, una alternativa di pensiero, di cultura, di esistenza diversa e nuova, questa resistenza è lotta, spesso conflittuata, sempre cocciutaggine di convincimento assoluto, identificabile con il se stesso, con la spiegazione della propria vita. Di questa lotta il cristiano (la Chiesa) dovrebbe essere esemplificazione, riferimento visibile, come “la città situata sulla cima della montagna”, direbbe Gesù o come “la luce accesa da illuminare tutta lo casa” direbbe ancora. Perché il Cristianesimo è progetto di umanità immaginato dal Cuore di Dio e “fatto carne” e storia in Gesù Cristo. È chiaro che non può andare d’accordo con il “mondo”. Perché il Cristianesimo (e quindi la Chiesa) di per se stesso, per natura sua e per l’essenzialità della sua missione nella storia dell’umanità, è una lotta. Una lotta di respinta. Una lotta di resistenza. Una lotta per l’alternativa. Una lotta implacabile, come è implacabile l’amore. Una lotta che coinvolge il Cielo e la Terra come il Mistero di Dio. (Sirio Politi, Riscoprire la lotta).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Maggio 2009ultima modifica: 2009-05-01T23:05:00+02:00da fraternidade
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