Giorno per giorno – 30 Aprile 2009

Carissimi,
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6, 50-51). Quel pane è Gesù, ma è anche più di Gesù. Nel senso che il suo significato va oltre il segno che la persona di Gesù è stato duemila anni fa. Quel significato, ci dicevamo stamattina, è “la mia carne per la vita del mondo”, che la risurrezione ha come “liberato” dall’esistenza storica di Gesù, per destinarlo, attraverso il vento dello Spirito, a chiunque si disponga ad accettarlo come senso ultimo del proprio esistere. In ogni tempo e luogo. È questo, e solo questo, che può portare ad affermare, assieme all’apostolo Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2, 20). Ovvero, è la “vita come dono” che mi orienta in ogni cosa e che opera in me. Che Gesù sia Figlio di Dio, io lo affermo o lo nego, non con la testa o con le risposte del mio personalissimo catechismo, né con i miei gesti di culto, ma con la dedizione della mia vita a quel significato: Vivo e sono disposto a morire, perché tu viva. Diversamente è superstizione o idolatria.

Oggi facciamo memoria di Giuseppe Benedetto Cottolengo, amico degli ultimi.

30 Cottolengo.jpgGiuseppe Benedetto Cottolengo era nato a Bra, in provincia di Cuneo, il 3 maggio 1786, primo di una famiglia di dodici figli. Nel 1811 fu ordinato prete a Torino. Il 17 gennaio 1828 inaugurò, con l’aiuto di un gruppo di volontari, il Deposito della Volta Rossa, una sorta di pronto soccorso per accogliere quanti erano rifiutati dagli altri ospedali e vivevano in uno stato di abbandono. Tra i volontari spiccava la figura di una vedova, Marianna Nasi, a cui il prete decise di affidare alcune ragazze che accettarono di giocare la loro vita amando Dio, nel servizio gratuito ai poveri. Nacquero così le Figlie di san Vincenzo ( o Cottolenghine). Nel 1832, chiusa la Volta Rossa, inaugurò a Valdocco, nella periferia degradata di Torino, la Piccola Casa della Divina Provvidenza, in un rustico semiabbandonato che il prete aveva preso in affitto. Dopo pochi mesi affittò un altra casa nelle vicinanze. Entrambe per occuparsi di coloro che erano considerati pesi morti dalla società e spesso anche dalle loro [cristiane] famiglie. Ed erano solo figli e figlie di Dio. Tra il 1833 e il 1836 portò a termine la costruzione di un grandioso ospedale; poi si diede ad aprire scuole popolari e asili infantili. Non mancarono ovviamente crisi e difficoltà, ma la fede nella provvidenza ebbe sempre la meglio. Nel 1842 un’epidemia di tifo investì Torino, soprattutto le zone più povere. Cottolengo si ammalò, ma continuò a lavorare e a pregare instancabilmente, fino a quando le forze vennero meno. Il 29 aprile dello stesso anno, nella casa del fratello sacerdote, a Chieri, ricevette l’estrema unzione e, la sera successiva, morì.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.8, 26-40; Salmo 66; Vangelo di Giovanni, cap.6, 44-51.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Non abbiamo sottomano scritti di Giuseppe Benedetto Cottolengo, come il suo Maestro, del resto, non aveva trovato il tempo per scrivere nulla. Ogni tanto, però, si trova qualcuno che dedica tempo per riflettere insieme ad altri sul significato e le implicazioni di un’intuizione, di una chiamata, di un cammino. Così, abbiamo pensato di attingere all’esperienza di un personaggio, che, in comune con la nostra memoria di oggi, ha, quanto meno, l’attenzione agli ultimi degli ultimi. Vi proponiamo, dunque, nel congedarci, un brano tratto dal libro “Comunidade lugar do perdão e da festa” (Paulinas) di Jean Vanier, il fondatore dell’Arche, e anche di Fé e Luz. Che è il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il povero è sempre profetico. Egli rivela i disegni di Dio. I veri profeti non fanno alro che mostrare la missione profetica del povero. È per questo che è bene spendere tempo per ascoltarli. E per ascoltarli, bisogna star loro vicino. Infatti, parlano a bassa voce e solo in alcune circostanze, perché hanno timore di esprimersi, non hanno fiducia in se stessi, tanto sono stati schiacciati e oppressi. Ma se li ascoltiamo, ci collocano davamti all’essenziale. […] Se le comunità si chiudono ai poveri, si chiudono a Dio. Questo non significa che i monasteri di vita contemplativa debbano aprire le loro porte ai poveri, ma che ognuno di questi monasteri deve sentirsi solidale con i poveri e con i feriti del mondo. Devono avvicinarsi ai poveri che siano loro più vicini e che li invitano ad amare. Forse i fratelli o le sorelle ammalati e anziani dello stesso monastero, o quanti hanno fame e chiedono ospitalità per qualche giorno, o chi vive nei dintorni e soffre, cercando una parola di conforto. Tutti i discepoli di Gesù sono chiamati ad avere compassione, a camminare con i poveri e i feriti, a pregare per loro. Non è possibile mangiare il corpo spezzato di Cristo nell’Eucaristia, bere il suo sangue versato per noi sotto tortura, e nello stesso tempo non aprire il cuore alle persone ferite e crocifisse del nostro mondo di oggi. (Jean Vanier, Comunidade lugar do perdão e da festa).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Aprile 2009ultima modifica: 2009-04-30T23:48:00+02:00da fraternidade
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