Giorno per giorno – 14 Aprile 2009

Carissimi,
“Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”. Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: “Rabbunì!”, che significa: Maestro!” (Gv 20, 14-16). Quello che si arriva a capire di questi racconti di apparizione, è che tutti gli amici di Gesù erano abbattuti, tristi e delusi, per molteplici ragioni. Semplicemente perché Lui non c’è più, o perché non è finita come speravamo, o, infine, Lui non era chi pensavamo. Questo succede all’andarsene di qualunque persona, sempre che le si si sia voluto bene. Ma succede, a maggior ragione, quando il suo significato ci era talmente entrato dentro, da diventare anche l’ultimo significato della nostra vita. Quello che la illuminava definitivamente. Il che adeguatamente lo si può dire, forse, solo di Dio. E improvvisamente. Improvvisamente non c’è più. Persino il corpo (vai a sapere cosa possiamo designare oggi come “corpo di Dio”), persino questo corpo, che ci poteva aiutare a dire la “realtà” di un’esperienza, a un certo punto non c’è più. E noi siamo perduti. Come fosse stato tutto un sogno, un’illusione. Ora, cos’è stato di fatto, per Maria, il sentirsi chiamata per nome, e l’aver rivisto, con certezza, in una presenza, per altro, non immediatamente riconoscibile, la persona del Maestro scomparso? Quando e come è possibile a noi ripetere questa esperienza? Valdecí, stamattina, diceva che l’esperienza del risorto che Maria compie sta proprio nell’atto di riconoscere Gesù nell’altro che le si presenta. Ora, noi non potremmo giurare sulla correttezza di questa lettura della nostra amica, però la troviamo in linea con l’insegnamento di Gesù: chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato (Mt 10, 40). Ma noi riusciamo davvero a vedere nell’altro, chiunque egli sia, Gesù, cioè, alla fin fine, Dio? Se non ci siamo ancora riusciti, forse non crediamo ancora per davvero che l’amore incondizionato sia il motore che regge il mondo.

Oggi è il Terzo Giorno dell’Ottava pasquale. I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.2, 36-41; Salmo 33; Vangelo di Giovanni, cap.20, 11-18.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Maria Egiziaca, eremita e penitente, e di Râmana Mahârshi, mistico indiano.

14 maria egiziaca.jpgSu Maria Egiziaca, eremita e penitente del VI secolo, che trascorse gran parte della vita e fu sepolta nel deserto di Giuda, sorsero ben presto numerose leggende, di cui non riusceremo mai a sapere gli eventuali elementi di storicità. La più famosa di queste, attribuita a Sofronio, narra che Zosimo, ieromonaco di una laura palestinese, essendosi recato durante una Quaresima nel deserto, vi incontrò un’anziana donna, consunta dagli stenti e bruciata dal sole, a cui chiese di raccontargli la vita. Lei disse di essere egiziana. A dodici anni era fuggita di casa e si era recata ad Alessandria, dove per diciassette anni aveva vissuto in modo dissoluto. Incontrando un giorno un gruppo di pellegrini che si imbarcavano per Gerusalemme, decise di unirsi a loro, mossa dal desiderio di nuove avventure. Giunta nella città santa, avrebbe voluto entrare a visitare la basilica del Sepolcro, ma una forza misteriosa l’aveva trattenuta. Fu allora che maturò la sua conversione. E scelse il deserto. Giunta sulle rive del Giordano, fece visita al santuario di S. Giovanni Battista e scese nel fiume per purificarsi. Ricevuta la Comunione, si inoltrò nel deserto, dove, quando incontrò Zosimo, abitava da quarantasette anni. Terminato il racconto, chiese al monaco di tornare l’anno successivo, il Giovedì santo, per portarle l’eucaristia. Cosa che egli fece. Maria si comunicò e rinnovò l’appuntamento per l’anno successivo. Ma quando il monaco tornò, trovò solo il corpo della donna morta e una scritta: “Padre Zosimo, sotterra il corpo dell’umile Maria; restituisci alla terra ciò che è della terra, aggiungi polvere a polvere ed in nome di Dio prega per me; sono morta nel mese di pharmouti, secondo gli egiziani, che corrisponde all’aprile dei Romani, la notte della Passione del Salvatore, dopo aver partecipato al pasto mistico”. Era dunque morta un anno prima, la notte successiva al loro ultimo incontro. Zosimo, aiutato da un leone, scavò la fossa e la seppellì, tornando poi al suo monastero, dove raccontò la storia all’ egumeno Giovanni e agli altri monaci, per loro edificazione. I copti ne celebrano la memoria il 6 barmudah/miyazya, che coincide con il 14 aprile).

14_RAMANA_MAHARSHI.JPGRâmana era nato il 30 dicembre 1879 a Tiruchuli, a circa trenta miglia di distanza da Madurai, nell’India meridionale, nella famiglia di Sundaram Aiyar e Alagammâl. Ricevette il nome di Venkateswaram. Successivamente, quando si iscrisse a scuola, il nome gli fu cambiato in Venkataraman e presero a chiamarlo Râmana. Alla morte del padre, fu affidato ad uno zio e andò a vivere a Madurai, dove frequentò la Scuola superiore della Missione americana. Negli studi non si rivelò particolarmente brillante, era però un giovane forte e sano. A diciassette anni, dopo aver “vissuto” a livello di coscienza l’esperienza della morte e il superamento di questa nel processo di assorbimento/identificazione con il Sé divino, lasciò ogni cosa e si recò sulla montagna sacra di Arunachala, a Tiruvannamalai, dove sarebbe rimasto per il resto della sua vita. Passò molti anni in silenzio e solitudine. Poi cominciò a diffondersi la sua fama, che richiamò presso di lui folle di visitatori e di curiosi. Nel 1907, uno dei suoi primi devoti lo chiamò Baghavan Râmana Mahârshi (il beato Râmana Grande Saggio) e il nome gli restò. Attorno a lui sorse un ashram, che via via si ingrandì. Râmana sedeva la maggior parte del tempo nella sala dell’ashram, come testimone di tutto quello che accadeva intorno a lui. Non permetteva mai che gli venisse mostrata qualsiasi preferenza e anch’egli trattava tutti con lo stesso rispetto e amore. Il suo insegnamento era quasi muto: bastava uno sguardo e il suo significato veniva compreso da tutti. Se gli veniva posta una domanda, rispondeva brevemente e con dolcezza. Il 5 Febbraio 1949, si manifestò la malattia che l’avrebbe portato alla morte: un sarcoma maligno. Ramana rimase distaccato e del tutto indifferente alla sua sofferenza, ma si preoccupava di confortare quanti, vicino a lui, se ne addoloravano. La fine arrivò la sera del 14 Aprile 1950. Dopo che i presenti nell’ashram ebbero eseguito il suo inno ad Arunachala, Râmana chiese ai suoi aiutanti di metterlo a sedere: sorrise e entrò nel suo Mahanirvana, o, semplicemente, morì.

È tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una breve citazione di Râmana Mahârshi, tratta dal suo libriccino “Chi sono io?” (Il Cerchio). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Anche se si è un grande peccatore, non ci si deve tormentare e lamentare: “Ah, sono un peccatore, come potrò essere salvato?”. Bisogna assolutamente rinunciare al pensiero: “Io sono un peccatore” e concentrarsi ardentemente nella meditazione sul Sé; allora otterremo certamente il successo. Non ci sono due menti: una buona e una cattiva; la mente è una. Sono le tendenze della mente ad essere i due tipi: favorevoli o sfavorevoli. Quando la mente è sotto l’influenza di tendenze favorevoli, viene considerata buona, e quando è sotto influenze sfavorevoli, viene considerata cattiva. Non dobbiamo permettere alla mente di dirigersi verso oggetti mondani e su ciò che riguarda altre persone. Per quanto cattivi possano essere gli altri non si deve nutrire odio nei loo confronti ed è bene evitare sia il desiderio che l’odio. Tutto ciò che uno dà agli altri, lo dà a se stesso. Se questa verità viene compresa, chi non sarà generoso con gli altri? Quando il senso dell’ “io” sorge, tutto sorge, quando è trasceso, tutto svanisce. Nella misura in cui ci comportiamo con umiltà avremo come risultato il bene. Se la mente è controllata possiamo vivere in qualsiasi luogo. (Râmana Mahârshi, Chi sono io?).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Aprile 2009ultima modifica: 2009-04-14T23:54:00+02:00da fraternidade
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